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 2009  giugno 13 Sabato calendario

Non c’è estate per il Pd. Numeri da Grande Freddo. Meno 47,1% in Trentino Alto Adige. Meno 47,7% in Abruzzo

Non c’è estate per il Pd. Numeri da Grande Freddo. Meno 47,1% in Trentino Alto Adige. Meno 47,7% in Abruzzo. Un buco nero di 4.133.579 voti in tutt’Italia: pari alla somma degli abitanti di Roma e Milano. Tra Europee e Provinciali l’emorragia è stata tale da incuneare in alcuni os­servatori il sospetto del «cedimento strutturale». Quando capita a un ponte, va ricostruito. Con i partiti la cosa si complica. Un mare di consen­si volatilizzati. Dove? «Due milioni e mezzo nell’astensionismo – spiega Paolo Natale, docente di analisi dei sondaggi all’università di Milano ”, circa 800 mila a Di Pietro e altri 400 mila sulle liste di sinistra». Ha perso ovunque, il Pd, con una coe­renza numerica che ha dell’incredi­bile. Alle Europee si è quasi dimezza­to nelle Isole (-42.9%). Ha subito pe­santi amputazioni al Sud (-37.1%). rotolato a -33% al Centro, portan­dosi dietro il mito dell’invincibilità rossa. Si è prosciugato al Nord-Ovest (-33.7%). Solo un po’ meglio nel Nord-Est (-28.6%), dove forse aveva già dato quanto a perdi­te. Alle Provinciali – poi – da brivi­di, valutando il numero degli eletto­ri persi da un anno all’altro. Al Nord la flessione oscilla tra il 30 e il 40% (Torino, Padova, Bergamo, Rimini, solo alcune). Un calo che arriva fino al 50% al Centro (Fermo, Macerata, Grosseto e Frosinone) così come si spinge tra il 50 e il 60% al Sud (Bar­letta, Brindisi, Taranto, Lecce e Co­senza). «Sia nel centrodestra che nel centrosinistra – è l’analisi del­l’istituto Cattaneo di Bologna – il partito maggiore perde voti a favore della sua stessa area politica. Un fe­nomeno fisiologico al quale però si aggiunge, nel caso del Pd, un deficit più profondo di credibilità della sua classe dirigente e della sua proposta politica». Un modo elegante per dire che il peggior nemico del Pd è il Pd. «Lo scontento degli elettori è evidente – ha detto Mercedes Bresso, gover­natore del Piemonte ”, va risolto il nodo di fondo: l’identità del nuovo partito». Ds e Margherita. Socialisti e cattolici. Romano Prodi chiedeva ’mescolanza’ tra filoni culturali di­versi. «Ci vuole tempo» predica il se­gretario Franceschini. Nel frattempo si rischia lo strabismo. Piccolo esem­pio. A Bologna, il candidato sindaco Flavio Delbono vuole rivalutare le vecchie Feste dell’Unità, mentre il se­gretario De Maria definisce orgoglio­samente il Pd bolognese «il più gran­de partito cattolico in città». Intanto a Roma Massimo D’Alema chiede «un maggior profilo di sinistra». Ma nell’ex triangolo rosso (Modena, Reggio, Bologna) i primi cittadini vengono tutti dalla scuola diccì.  probabile che i ballottaggi (22 Province, 16 Comuni) daranno ossi­geno al Pd. I dati di oggi però dico­no altro. Il -47,1% del Trentino è co­me un velo strappato sulla conqui­sta, solo qualche settimana fa, del sindaco di Trento: Franceschini allo­ra esultò, ma viene il sospetto che fosse Lorenzo Dellai il padre di quel­la vittoria. «Cedimento strutturale? No, solo tanta delusione. Il confron­to con le Provinciali 2004 è impieto­so: allora vivevamo un momento al­to » rincuora i suoi Stefano Draghi, coordinatore del Pd milanese e do­cente di metodologia delle scienze sociali a Milano. Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, non si fa illusio­ni: «Dal Po in su il Pd è ancor meno che forza di minoranza. Non sa par­lare alla gente». E Draghi: «C’è da ri­costruire un apparato concettuale: un tempo si andava dagli operai in fabbrica: ora dovremmo convocare un’assemblea di 1.500 boutique...». Poche bandierine sulla mappa del Pd. La leadership è stata mante­nuta solo in Emilia e in Toscana, do­po aver perso Marche e Umbria. Su 50 province, sono 15 quelle conqui­state al primo turno (16 al Pdl). Troppo facile dare la colpa all’avan­zata della Lega, che pure ha conqui­stato posizioni tra i calanchi dell’Ap­pennino tosco-emiliano. «Nelle Marche – afferma la parlamentare Marina Magistrelli – ci siamo fatti male da soli». Racconta: «Il caso di Ascoli: avevamo in Provincia un pre­sidente uscente di Rifondazione, una parte del partito non l’ha voluto ricandidare. Morale, due liste divi­se: Pd e Prc. Insieme avrebbero fatto il 50%. E ora in vantaggio c’è il Pdl». In Umbria, le liti a Terni e a Orvieto: «Sono volati gli stracci e abbiamo pagato» dice il deputato Walter Veri­ni. Frammentazione, tanta. A Lecce, dice il segretario pd Salvatore Capo­ne, «il nostro elettorato si è spalma­to su 4 liste: i dati ci danno al 13%, in realtà siamo al 24%». Tutto sem­bra congiurare contro il Pd. «In Pu­glia – afferma Paolo De Castro, fre­sco europarlamentare – ha influito il successo di Vendola». A Napoli, di­ce il commissario pd Enrico Moran­do, «l’epicentro è stata l’emergenza rifiuti». E in Abruzzo (altro gelo: ­47,7%) è andata in onda la giostra degli arresti: prima il governatore Del Turco, poi il sindaco di Pescara, Luciano D’Alfonso. «Pd: zero tituli» è scritto su una t-shirt che circola in ambienti del Pdl. Sì, tutta colpa di Mourinho. Francesco Alberti