Marco Cremonesi, Corriere della Sera 13/6/2009, 13 giugno 2009
MILANO
Quando è troppo, è troppo. Mercoledì scorso, il coordinatore Pdl nonché ministro alla Cultura Sandro Bondi si è arrabbiato come neanche a Ballarò, quando chiese a Franceschini di dargli del «lei».
Il fatto è che al quinto piano del palazzone settecentesco di via dell’Umiltà, sede del partito, si è svolta una riunione per affrontare la più delicata delle questioni: la guerra intestina in terra di Sicilia. Lacerante, insidiosa, possibile apripista di altri scontri. A rappresentare i vertici del Pdl, i due coordinatori Denis Verdini e Ignazio la Russa. E il terzo? Dov’era quel Sandro Bondi che oltretutto è sin dal lontano 1994 il più stretto fiduciario di Silvio Berlusconi? Non c’era. Non lo sapeva.
Né pare lo abbiano convinto le giustificazioni dei due colleghi sul fatto che non si sarebbe trattato di una riunione ma di incontro pressoché casuale.
Il problema è che quello dell’altro giorno è stato soltanto l’ultimo episodio di una lunga serie. Con un asse di fatto tra Verdini e La Russa che, in via dell’Umiltà, trova una rappresentazione anche fisica: al quinto piano, appunto, ci sono gli uffici affiancati del ministro siculo-milanese e del coordinatore toscano. Mentre Bondi sta, da solo, al piano di sotto. Vicino al vecchio sodale Fabrizio Cicchitto, il quale ha però cambiato mestiere e fa il capo dei deputati del Pdl.
I problemi, nel triumvirato che guida il Popolo della libertà, sono iniziati pressoché da subito, a partire dalle nomine dei responsabili dei diversi dipartimenti del partito. Un valzer delle cariche in cui La Russa non ha certo lasciato a bocca asciutta la componente che fu di Alleanza nazionale. Anzi. Per non parlare, in giorni ben più recenti, delle candidature alle recenti elezioni. In cui la regola del 70% dei posti agli ex Forza Italia e il 30% agli aennini, è stata applicata – sulla base di un discusso allegato allo statuto del Pdl – in un modo decisamente favorevole agli esponenti del partito con la fiamma.
La Russa, è vero, è un maestro spregiudicato e riconosciuto della trattativa politica. Ma Denis Verdini, come raccontano i suoi amici, è «furbo come un gatto». E se ha lasciato spazio al collega, non è certo per ingenuità o quieto vivere: il fare asse con un garante del calibro del reggente di An, rende ferrea la sua presa sul partito, mettendolo al riparo da qualsiasi gioco di sponda.
Per Sandro Bondi – che oltretutto da ministro alla Cultura un giorno è a Venezia per l’inaugurazione della Triennale e quello dopo è ad Ancona per gli scavi dell’anfiteatro romano – il rischio quotidiano è quello di trovarsi di fronte al fatto compiuto. Non per nulla, a suo tempo, il pur fedelissimo ministro aveva fatto qualche resistenza prima di pronunciare il suo «obbedisco » a Silvio Berlusconi che gli chiedeva di dedicarsi anche al partito: da un lato, intuiva le insidie del doppio ruolo. Dall’altro, Bondi non è certamente persona da ricoprire un incarico in modo ornamentale.
Soprattutto, il ministro-coordinatore non condivide l’ultimo progetto del tandem Verdini- La Russa: la designazione di tutti i coordinatori municipali del Pdl da parte di via dell’Umiltà. Una centralizzazione che Bondi teme possa risultare altamente demotivante per l’intero partito. Per giunta, anche in questo caso si tratterebbe di applicare la regola del 70 a 30 che ha già esasperato buona parte dei quadri intermedi provenienti da Forza Italia. Gente che lavora da dieci o quindici anni con la casacca azzurra, e che in molti casi si è ritrovata tagliata fuori non soltanto dai casting per giovani promettenti, ma anche dalla famigerata proporzione tra i soci fondatori del Pdl.
E così, nelle prossime ore, Bondi è intenzionato a richiamare in modo deciso l’attenzione di Silvio Berlusconi su quanto sta accadendo ai vertici del partito. Chi ne raccoglie le confidenze, è convinto che l’ex sindaco di Fivizzano faccia sul serio: sarebbe pronto a chiedere al premier di risolvere la questione una volta per tutte.
Marco Cremonesi