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 2009  giugno 13 Sabato calendario

Vogliamo rileggerla parola per pa­rola, la «lezione» di democrazia da­ta all’università di Roma da Muam­mar Gheddafi, al potere solitario da 40 anni esatti senza la scomodità delle elezioni? Trascrizione testuale stenografica: «La definizione di de­mocrazia… Prima di tutto la demo­crazia è una parola araba che è stata letta in latino

Vogliamo rileggerla parola per pa­rola, la «lezione» di democrazia da­ta all’università di Roma da Muam­mar Gheddafi, al potere solitario da 40 anni esatti senza la scomodità delle elezioni? Trascrizione testuale stenografica: «La definizione di de­mocrazia… Prima di tutto la demo­crazia è una parola araba che è stata letta in latino. Democrazia: demos vuol dire popolo. Crazi in arabo vuol dire sedia. Cioè il popolo si vuole sedere sulle sedie. Questa è l’origine etimologica della parola». «Se noi ci troviamo in questa sala siamo il popolo, seduti su delle se­die, questa andrebbe chiamata de­mocrazia, cioè il popolo si siede su delle sedie. Invece se noi prendessi­mo questo popolo e lo facessimo uscire fuori, se avessimo invece pre­so dieci persone e le avessimo fatte sedere qua, scelte dalla gente che stava fuori, e loro invece sono sedu­ti qua, quei dieci, questa non sareb­be da chiamarsi democrazia. Questa si chiamerebbe diecicrazia. Cioè die­ci su delle sedie. Non è il popolo a sedersi sulle sedie, questa è la demo­crazia. Finché tutto il popolo non avrà la possibilità di sedersi tutto quanto sulle sedie, non ci sarà anco­ra democrazia». «Se noi diciamo che il popolo ita­liano conta 50 milioni, togliendo i bambini e gli anziani ne rimarrebbe­ro diciamo 30 milioni. Li suddividia­mo in mille congressi. Ogni congres­so sarà composto di 10 uomini, op­pure li suddividiamo in 2.000 con­gressi così ogni congresso viene a trovarsi composto da 5.000 perso­ne. Come questa sala ce ne saranno altrettante 2.000 sale in Italia. In ogni sala ci saranno 5.000 persone. Quando moltiplichiamo i 5.000 per 2.000, il numero delle sale, trovere­mo che tutto il popolo italiano avrà potuto sedersi su delle sedie del po­tere. Si devono fare 2.000 sale ugua­li a questa, in tutte le città italiane, in tutti i villaggi italiani. Se gli abi­tanti di ogni zona si siederanno, uo­mini e donne nella loro sala, e pro­ponessero qualsiasi legge… «Suppo­niamo che facciano una legge sul trattamento da riservare agli immi­grati: tutto il popolo italiano studie­rà la legge seduto su delle sedie. Questi sono i congressi del popolo. E ogni congresso esprimerà la pro­pria opinione sulla legge che sta esa­minando. Poi tutti i delegati di que­sti congressi giungeranno a Roma, ci saranno 2.000 persone e ognuno porterà l’opinione del suo congres­so espressa durante la discussione. Poi vengono formulate queste opi­nioni insieme per farne uscire un’ unica legge dove vengono osservate e tenute in considerazione le opinio­ni di tutto il popolo. Viene emanata questa legge e questa rappresenterà la volontà del popolo italiano». «Se per caso si intende mandare un esercito per combattere in Afgha­nistan, presentiamo questa propo­sta ai 2.000 congressi italiani dove si trova tutto il popolo italiano. E ogni congresso esprimerà la sua opi­nione circa l’invio di forze in Afgha­nistan e i delegati porteranno l’opi­nione dei loro congressi. E viene for­mulata una legge fatta secondo le decisioni del popolo italiano. Verrà emanata questa legge e tutti dovran­no comportarsi secondo i dettati di questa legge. Quindi, queste sono delle leggi emanate dal popolo. Que­sta è una politica designata dal po­polo. Questa è la democrazia». «Ora in Libia, abbiamo 30 mila congressi, comunità. Ogni comune è composto da un centinaio di per­sone, così fanno 3 milioni. Questo è il numero dei cittadini libici che pos­sono praticare il potere, gli altri so­no minorenni, bambini, hanno me­no di 18 anni o sono malati o sono assenti. Questi che praticano, eserci­tano il potere in Libia nessuno li ha eletti, eppure il popolo è lì. Tutti so­no politici. Il popolo non accetta di eleggere una persona che lo coman­da. Che lo governa». «L’alternanza del potere vuol dire che c’è della gente che si prende e si trasmette il potere tra di loro. Se ci fosse democrazia non ci sarebbe un’ alternanza di potere. La democrazia significa il popolo che detiene il po­tere. Come fa a consegnarlo a uno? Il popolo reale ha il potere. E’ per la democrazia popolare diretta. Come potrebbe eleggere delle persone per­ché lo governassero? Qualsiasi po­polo che sia giunto al potere come lo è il popolo libico non lo cederà assolutamente. Il popolo libico è or­mai arrivato alla fine del cammino, ossia l’esercizio della democrazia po­polare diretta. Auguriamo che la rag­giungano anche il popolo italiano e gli altri popoli del mondo. Finché ci sono le elezioni c’è la ’rappresentan­za’ del popolo». Ora: in nome del bene comune o almeno del danno minore ogni uo­mo di governo ha il dovere (non il diritto: il dovere) di cercare accordi, se possibile e senza vendere l’ani­ma, con tutti. Tutti. Nei rapporti in­ternazionali è così: non sempre puoi sceglierti il vicino. E neanche l’interlocutore. Né si poteva preten­dere che Luigi Frati, il ruspante ret­tore della Sapienza celebre per aver allestito nell’aula magna di medici­na la festa di nozze della figlia Paola (docente della sua stessa facoltà co­me anche la moglie Luciana e il fi­glio Giacomo) sapesse l’arabo e chie­desse perciò lumi al Rais sul fatto che in arabo «popolo» si dica «sha’b». Ma al di là del dubbio che perfino sull’etimologia araba di «democra­zia » l’estroso dittatore si sia preso lo sfizio di prendere per i fondelli tut­ti, che senso c’è a offrire una tale passarella accademica nella più grossa università italiana, con inchi­ni e salamalecchi e perfino uno stu­pefacente applauso dopo la sparata contro le elezioni, per una «lectio magistralis» di questo genere?