Guido Olimpo, Corriere della sera 12/06/2009, 12 giugno 2009
L’AMERICA CON AMANDA NEW YORK TIMES IN CASMPO
Per il quotidiano Usa il «processo italiano è ridicolo»
WASHINGTON – Il titolo non lascia spazio a dubbi: «Un’innocente all’estero». Sotto la foto di Amanda Knox. Quindi un lungo articolo nella sezione commenti del New York Times affidato a Timothy Egan, firma prestigiosa e premio Pulitzer. Il giornalista, che vive a Seattle, la città di Amanda, ricorre ad argomenti già sentiti per difendere la ragazza. Come la mancanza di prove certe e la condotta del procuratore Giuliano Mignini, al quale rinfaccia le controverse indagini sul «mostro di Firenze». Egan non è sfiorato dal minimo dubbio, Amanda con il delitto non c’entra.
L’intervento ha avuto un ritorno immediato con oltre 200 commenti sul sito del quotidiano. Che hanno mostrato posizioni contrastanti. Ci sono persone che la pensano come Egan, altre che invitano alla cautela e si affidano ai giudici, altre ancora che dubitano della versione di Amanda e accusano il giornalista di aver scritto sulla base di pregiudizi.
Una contrapposizione che è lo specchio dei «partiti» che si fronteggiano sul giallo di Perugia. Schieramenti che superano i confini e trovano seguaci negli Usa, in Gran Bretagna e in Italia. Certamente quello più agguerrito ed organizzato è il movimento pro-Amanda. I genitori hanno provato da subito a contrastare l’immagine «luciferina» della ragazza. E a questo fine hanno esibito qualsiasi testimonianza utile a presentare la figlia sotto una luce diversa. Ex compagni di scuola, professori, fidanzatini. Ma se questo atteggiamento è comprensibile per i genitori, la stessa cosa non si può dire per alcuni testimonial arruolati nel corso dell’anno.
Egan è solo l’ultimo. Ma prima di lui si sono esibiti altri personaggi. Come lo scrittore Douglas Preston, l’avvocatessa Anne Bremner o l’investigatore privato Paul Ciolino. Poche settimane fa, la rete Cbs ha dedicato una puntata della sua trasmissione «48 News Mistery» al delitto. Incredibile la presentazione del giornalista, Peter Van Sant, anche lui di Seattle. Questa la sintesi: non appena avrete finito di seguire il programma vi verrà voglia di «mandare l’Ottantaduesima divisione aerotrasportata in Italia per tirare fuori la ragazza dalla prigione ».
La linea di Van Sant segue quella tracciata dal movimento pro-Amanda: buchi nell’inchiesta, poliziotti e giudici maldestri, sistema italiano ridicolo. Mancano solo la pizza e il mandolino. Parole d’ordine che vengono poi rilanciate da consulenti con biglietti da visita chilometrici per dire: guardate che questi sono veri esperti. E dall’alto dei loro pulpiti «bombardano» in ogni direzione usando i giornali – Seattlepi.com, West Seattle Post – e le tv. I toni sono aggressivi, la fiducia nella versione di Amanda incrollabile, la memoria è selettiva. Raccolgono fondi – anche online – e firme, promuovono eventi di solidarietà, mantengono un flusso continuo di informazioni, tengono l’attenzione viva sul dramma e quando è necessario contrattaccano. Un confronto che diventa aspro sulla rete. In difesa di Amanda sono schierati «Italian women at table» sul Seattlepi, «Perugia Shock» e «Friends of Amanda». Sul fronte opposto «True Justice for Meredith Kercher» e «Perugia Murder File» di Peggy Ganong. Quest’ultima si è rivolta alla polizia dopo che qualcuno ha lanciato velate minacce nei suoi confronti diffondendo su Internet informazioni sulla sua famiglia. Un segno che il «gioco» si è fatto pericoloso.