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 2009  giugno 12 Venerdì calendario

LAPO IN ISRAELE «TORNO ALLE RADICI, VOGLIO DIVENTARE EBREO»


GERUSALEMME – Vestito di bianco, rosso malpelo, un giovane uomo s’avvicina al Mu­ro del Pianto. L’accompagna un rabbino. Ha una stella di David tatuata sull’avambraccio. Si chiama Lapo Elkann e si sente finalmente a casa: «Mio padre è ebreo, mia mamma no. E io mi sto convertendo all’ebraismo». Lo dice senza farsi pregare: «L’ho deciso un anno fa. E’ un mondo dove sono me stesso: l’ho lasciato da parte per quasi tutta la mia infanzia e fino a 18 anni la mia vita religiosa, se co­sì possiamo chiamarla, era tut­t’altro. Io nasco cattolico, poi mia madre si sposò con un rus­so ortodosso. Ma quella è una spiritualità che non ho mai sen­tito mia. Ora voglio diventare ebreo, anche se è molto diffici­le. Shmuel Rabinovich è una persona dolcissima, un rabbino che mi ha dato tre volte più for­za per continuare. La forza che altri rabbini mi avevano tolto». Quattro giorni in Israele. Che sembrano quaranta. Il nipote dell’Avvocato torna alle radici per «un viaggio personale». Per se stesso e le sue aziende, «co­noscere una città che è capitale spirituale del mondo» ed «esplorare campi nuovi in un Paese che è un laboratorio». In­contra il sindaco di Gerusa­lemme e parla di cultura da pro­durre insieme. Va da Shimon Peres, «un’intelligenza superio­re », e discute dell’immagine d’Israele da comunicare al mon­do. E poi è da Tzipi Livni. E ab­braccia il medico palestinese che ha perso tre figlie a Gaza. E rivà all’ospedale Tel ha-Sho­mer, per cui raccoglierà fondi. E vede designer, imprenditori: «Gli ebrei mi piacciono, sono gente diretta: ti dicono subito come la pensano. Lottano per una vita normale, come i pale­stinesi. E non si fermano mai. Hanno una forza che vorrei por­tare da noi. Perché noi siamo provinciali quanto loro, ma lo­ro sono più duri e cazzuti».

Ebreo senza se e senza ma: «Sono consapevole degli attac­chi, ce ne sono già stati. Ma non m’importa. Convertirsi al­l’ebraismo è un’apertura, non una chiusura. Sono stato nello studio di Peres, ho visto un Buddha e ho pensato che que­sto non m’impedirà di rispetta­re i buddisti o di lasciare ai miei figli, se ne avrò, libertà di scelta. Però sono a mio agio so­lo nell’ebraismo. Perché si fa una preghiera comunitaria. E perché la preghiera è una bene­dizione. E’ un modo di guardare alla vita che mi aiuta». E in fa­miglia che dicono? «Ognuno ha una sua storia. I fatti belli o brutti ti fanno capire te stesso o ti distruggono. Io sono una per­sona sensibile, purtroppo o per fortuna: si vede, non posso na­sconderlo. Sono determinato, ma buono. Duro, ma vero. De­vo andare a fondo nelle cose. Ed è così anche stavolta».