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 2009  giugno 12 Venerdì calendario

UN SUCCESSO PER GADDUR, VOCE DEL COLONNELLO A ROMA


ROMA – Le ambasciate stranie­re presso la Santa Sede sono, rispet­to alla politica italiana, una comoda retrovia. Ognuna coltiva qualche rapporto con parlamentari, ma più per caso o per fortuite frequentazio­ni che per ragioni d’ufficio. Per capi­re un po’ chi è l’uomo che ha aperto a Muammar Gheddafi quasi tutti i palazzi del potere di Roma – dal Quirinale a Palazzo Chigi, dalla Con­findustria all’attuale Parlamento – conviene tener presente chi andava ai ricevimenti di Abdulhafed Gad­dur, oggi ambasciatore libico a Ro­ma, quando è stato dal luglio 2003 al giugno 2006 il rappresentante del proprio Paese presso il Vatica­no.

I suoi ricevimenti di settembre per l’anniversario della «Rivoluzio­ne », la presa del potere da parte del Colonnello nel 1969, erano ospitati dal circolo del ministero degli Este­ri. Davanti ai buffet intorno a quella piscina dell’Acqua Acetosa arrivava­no Massimo D’Alema, Lamberto Di­ni, dirigenti del centrodestra, molti più ex democristiani che cardinali, alti ufficiali in divisa o in giacca e cravatta, docenti universitari.

Dal 2004, Gaddur era anche coor­dinatore dei rapporti con l’Italia per il suo ministero degli Esteri. Lo sa­pevano gli addetti ai lavori. Insoddi­sfatto dalle resistenze del governo Berlusconi di allora a concludere i negoziati per il Trattato di amicizia firmato poi nel 2008 – una tela di Penelope pluriennale che sfibrò schiere di diplomatici e governanti italiani – il Colonnello aveva deci­so di non rimpiazzare l’ambasciato­re presso il Quirinale Addulati Ibrahim Alobidi, partito nel 2004. Un segno di freddezza. Il personale della politica italiana in grado di orientarsi in campo internazionale, dal titolare della Farnesina a Giulio Andreotti o a Francesco Cossiga, era al corrente del fatto che il cana­le per raggiungere il Colonnello era Gaddur, uno a conoscenza di diretti­ve e segreti della Libia.

La nomina ad ambasciatore pres­so il Quirinale gli è arrivata nel 2006. Nato a Janzur, 50 anni, laurea in Lettere e filosofia, master sui Pae­si arabi e africani, padre di tre figli, Gaddur era entrato negli organici della diplomazia nel 1985. Tempi nei quali non erano facili i rapporti del suo Paese con l’Europa. Nello stesso anno venne assegnato al con­solato di Palermo. Tornò a Tripoli un anno e nel 2000 diventò console per rimanere in Sicilia fino al 2003. Gli bastò poco tempo a Roma per ricevere, nel 2005, la nomina a Grande ufficiale dell’Ordine del me­rito della Repubblica.

La nostra crisi finanziaria che ha spinto la Libia, dopo una stagione di prezzi alti del petrolio, a moltipli­care gli investimenti in Italia ha re­so il rappresentante dello Stato ara­bo che Ronald Reagan considerava pericoloso uno degli interlocutori più ambiti da uomini d’affari e mini­stri. Un po’ come Gheddafi, pur es­sendo aumentato il suo peso di fronte agli stranieri, Gaddur resta quello che era. Intuitivo, veloce, spiccio, essenziale. Non si perde in bizantinismi, va al sodo. Ascoltato tanto da Berlusconi e Franco Fratti­ni quanto da Romano Prodi.

 il caso di tenerlo d’occhio in fu­turo. La sua carica, nel linguaggio ufficiale, è di «Segretario dell’Uffi­cio popolare della Grande Jamahiri­ya araba popolare libica socialista». Uno dei suoi predecessori, Abdur­rahman Mohamed Shalgam, è stato per esempio ministro degli Esteri. Roma, per Tripoli, non è un capoli­nea dal quale scendere in giù.

Carica La sua carica, nel linguaggio ufficiale, è «Segretario dell’Ufficio popolare della Gran Jamahiriya libica socialista»

M. Ca.