Gabriele Romagnoli, Vanity fair 17/06/2009, 17 giugno 2009
LA LEGGENDA DELLO SCRITTORE SULL’OCEANO
Questo non è il racconto di un viaggio, è il racconto del viaggio. Quante volte lo avrete sentito dire: il punto non è l’approdo, ma il percorso. E questo è un percorso, nient’altro. Da Southampton a New York sull’oceano (3.072 miglia marine). Sbarcherò e tornerò indietro in aereo.
Non sto andando in America. sto andando. Fine. Potrei attraccare in qualunque altro posto del mondo, sarebbe la stessa cosa, quel che conta è il tragitto. Lo farò sulla Queen Mary 2, il transatlantico a cinque stelle, la più grande nave da crociera del mondo, una città galleggiante. L’ultima volta che l’ho vista era agosto 2004. Varata a gennaio, stazionava nel porto di Atene ospitando la squadra olimpica americana di basket, il Dream Team, destinato al naufragio. Allora la guardavo dalla banchina del Pireo, stavolta ci salgo a bordo, dove c’è il tutto esaurito. E’ la traversata numero 111.
Le regole del gioco sono precise: alla fine di ognuno dei sei giorni di navigazione scriverò il diario di bordo, a mezzanotte in punto. Quando questo settimanale mi ha ingaggiato, il direttore non sapeva bene in quale posizione dell’organigramma incasellarmi. Era indeciso tra correspondent at large, che prevalse, e lost at sea. Ora, finalmente, lo sono a tutti gli effetti: sperduto in mare. Da qui vi mando i miei dispacci.
Lunedi
Southampton Mare aperto 50° 17.37’ N, 002° 20.32’W
Dress code: Elegant casual
L"imbarco è un lussuoso ospedale da campo in tempo di guerra. Mi chiedevo: a chi viene in mente di andare in America via mare? Chi troverò a bordo: gente con la paura di volare? Nobildonne con un set di valigie di coccodrillo blu firmate Balenciaga? La risposta è, principalmente: invalidi, feriti - dalla vita - alle gambe, alla schiena, alla gola, portatori di impianti che non passerebbero i controlli aeroportuali, uomini e donne cosi anziani che nove ore su una poltroncina potrebbero stroncarli. Veterani di molte battaglie, davvero, tanto che il dress code delle serate «formal» specifica: è possibile presentarsi in uniforme o appuntare sulla giacca le decorazioni.
Prendiamo possesso delle cabine, vagando con mappe inadeguate: ci vorrebbe il navigatore per girare la nave. Palestre, sale giochi, ristoranti, casinò, negozi, piscine. saune: Las Vegas sull’acqua. Non siamo ancora partiti ma già incontro passeggeri inseparabili dal giubbotto salvagente arancione. Anche in porto si può affondare.
La sirena ci richiama sul ponte: sono le 5 della sera in Inghilterra e stiamo salpando. Guardiamo terra e non c’è nessuno da salutare, però agitiamo la mano ugualmente perché da qualcosa bisogna pur separarsi. Mi consegnano a una cabina più grande di alcuni appartamenti in cui ho abitato. Il frigobar è gratuito e il maggiordomo ci mette un carico da 11: rifornimento di champagne ogni volta che la bottiglia finisce, più gin e whisky offerti dalla casa. Immagino cerchino di confondere le ragioni del rollio: sarà la nave, saremo noi.
La terra scompare rapidamente. La Tv di bordo annuncia che il prossimo tramonto sarà alle 9 e 04, l’alba alle 5 e 04. Prima di dormire, avverte, spostate indietro le lancette di un’ora. Ogni notte si scala lungo la dorsale del fuso orario. Ogni giorno si conquista un’ora. E poi dicono che uno è relativista: basta prendere una nave per vedere il tempo farsi fisarmonica. Come può il resto mantenersi immutato? Come possono le idee non adeguarsi? La cena è servita dalle 6 e 30 alle 9. Siedo al tavolo e mi presento alla mia vicina, una signora tedesca.
«Gabriele».
«Gabriele».
Mai incontrato una donna col mio nome. Lei, mai incontrato un uomo. Mi chiede che cosa ci faccio qui. La domanda che mi segue da oltre quarant’anni. Per evitare la storia del lost at sea, ne invento una sui due piedi: «Sto scrivendo un romanzo. Lui, Vittorio, un fallito di Roma, decide di suicidarsi buttandosi sui binari della metropolitana, fermata Colosseo. Lei, Anne, americana in vacanza, lo salva. Si innamorano, ma lei deve tornare a New York alla fine del mese. Lui, non avendo nulla da perdere, decide di seguirla. Vuole raggiungerla all’aeroporto, ma mentre sta per prendere la metropolitana, fermata Colosseo, ha un giramento di testa e cade tra i binari. Non muore, entra in coma. Si sveglia dopo tre anni. Ricorda solo frammenti di vita. Ricorda Anne, e decide di andare a cercarla. Magari si è sposata o chissà. Non la avverte. Poiché, a causa di un impianto nella testa, non può prendere l’aereo, va in nave. Sale su questa nave. Sono qui per documentarmi sul viaggio di Vittorio e raccontarlo. Per proseguire il romanzo ... ».
So che mi sto intrappolando: domani rincontrerò Gabriele e vorrà sapere che cosa succede dopo. Mi alzo e vado al cinema. Si chiama Illuminations e non sfigurerebbe a Parigi. Danno W., di Oliver Storie. Benissimo. Ecco che cosa farò, simbolicamente: disperderò nell’oceano le ceneri della peggiore presidenza americana della storia. Finita. Buona notte. Domani, cioè adesso, è un altro giorno. Il mare è calmo. Il vento tira verso nordest, forza 1. Il cielo è parzialmente nuvoloso.
Martedì
Mare aperto 48° 18.02’N, 013° 58.01’W
Dress code: Formal
Sveglia alle 5 allora, per vedere questa imperdibile alba alle 5 e 4 minuti su un oceano quasi infinito. Dobbiamo ancora superare Bishop Rock per dichiarare transatlantica la traversata, ma all’occhio già basta e avanza. La cosa inaspettata è il fermento che c’è sulla nave. Sarà l’ora guadagnata, sarà l’esercito della quarta età, ma davanti alla palestra, che apre alle 6, c’è la fila. Corriamo sul tapis roulant mentre avanziamo sull’acqua, ed è una sensazione ben strana. Seconda solo a quella che si prova sul vogatore: a ogni colpo ti sembra di spingere avanti la Queen Mary 2. Intorno si odono sibili, grugniti, esalazioni. Solo ora mi rendo conto che la metà dei passeggeri è sovrappeso, molti faticherebbero a entrare in una poltrona di economy sull’aereo. Sarà anche per questo che vari per mare. Oltreché per la sicurezza.
Sicurezza? Il dramma esplode prima di colazione. Un’anziana signora cade e si frattura il femore. Non è chiaro se sia stato il rollio o il gin. Comunque sie, la nave inverte la rotta per consentire all’elicottero, decollato dall’ultimo scoglio di Cornovaglia, di raggiungerci, prelevare l’infortunata e depositarla in ospedale. Che sia la battigia di Lignano Sabbiadoro o i ponti della Queen Mary 2, fai succedere un imprevisto che spezzi la routine della vacanza e tutti accorreranno. Si alzano perfino dai letti, sbucano dalle tane per vedere la barella che viene issata e l’ambulanza dei cieli che vola via. «Fosse successo domani ci rimaneva», commenta qualcuno. E il fremito corre: nella fantasia siamo un soffio dal Titanic.
A colazione conosco un altro dei miei compagni di tavolo: Doug, da Dallas. Ha 63 anni, gestisce un fondo d’investimento, ha passato vent’anni a perdere soldi prima di imparare a farli, prende lezioni di boxe due volte a settimana, è alla quarantaduesima crociera. Sul fondo della sua piscina texana ha replicato i disegni dei marmi di Villa Adriana, a Tivoli. E’ stato a Roma, Parigi, Londra, doveva andare a Venezia, ma il tempo non lo convinceva. Ha appena comprato una casa in Toscana, da aggiungere al bouquet di sette che già possedeva. Passa in media un mese in ciascuna.
«Hey Doug, esattamente quand’è che lavori?».
Sorride, stringe gli occhi: «Qualcuno lo fa per me».
«E con la crisi come la metti?».
«Dannato Obama, sta facendo fare all’America la fine dell’Inghilterra un secolo fa». Fine del notiziario Fox.
All’ora di pranzo conoscerò un’altra convitata al mio tavolo: Elizabeth. Nata a Londra, vive a Filadelfia. C’era andata in vacanza 54 anni fa e non è più tornata a casa. Ha incontrato l’uomo della sua vita, sono stati insieme 41 anni. E vedova da 13. Lui le ha lasciato qualche milione di dollari e una nostalgia che le impone di viaggiare come quando lo facevano insieme. Ha la stessa cabina di allora: una suite su due piani (tre bagni, cucina, terrazza per i ricevimenti), da dividere con un fantasma. Elizabeth è molto religiosa. Mentre inonda di panna il suo pudding ci troviamo a parlare di Giobbe, sotto lo sguardo perplesso dei camerieri che vorrebbero sparecchiare.
Andrà peggio a cena. Ritorna la donna chiamata Gabriele e, inesorabile, domanda che cosa succede a Vittorio quando arriva sulla nave. Riassumo per gli altri, poi invento: «Gli danno la stanza 9064, praticamente ha speso tutti i soldi che aveva per questa suite e non ha idea di come mantenersi quando arriverà a New York, ma la cosa non lo preoccupa. Vaga per i bar, gioca alle slot machine, cammina sul ponte più alto. La sera assiste allo show della cantante di bordo. E’ una giovane inglese di nome Claire. La sua voce lo commuove. Alla fine va a farsi autografare il cd. Claire esita nel darglielo, si guardano, decidono di bere insieme il bicchiere della staffa. Lei gli racconta della sua infanzia, lui dell’incidente, della ricerca di Anne. Ora è lei a commuoversi per questa storia d’amore che cerca un lieto fine...».
Comincia davvero lo show della serata. I tavoli si svuotano. Nella sala della regina c’è il ballo in bianco e nero. Siamo tutti in abito da sera. La notte ha un’ora in più, beviamo champagne, continuiamo a inghiottire tempo. La temperatura esterna è 13°. Vento forza 7. Umidità 85%.
Mercoledi
Mare aperto 45° 38,84’N, 027° 55.64W
Dress code: Formal
Siamo soli. Tremila più l’equipaggio, ma soli. Accendo la Tv e non c’è più segnale.
L’unico canale è quello che trasmette le immagini riprese dalla telecamera nella cabina di pilotaggio. Immagini? Quale plurale? E’ sempre la stessa: mare, mare, mare. Cambia il colore durante la giornata, dall’azzurro al nero, fine dei programmi. Il palinsesto di una Tv nordcoreana. Il giornale via fax ci informa di altri esperimenti atomici a Pyongyang, ma stiamo staccando la spina dal mondo, almeno per ora, almeno fino a che non ci apparirà il miraggio della Statua della libertà. C’è un tacito accordo tra i passeggeri del transatlantico: non usare i cellulari, tutti silenziati. E’ così fin dall’imbarco, mai visto nessuno camminare parlando nel portatile, mai udito uno squillo. L’unica nota è una nota di civiltà. Senza Tv, senza telefono, siamo costretti a parlarci.
Nelle pause in palestra, un olandese mi racconta che ha voluto fare questo viaggio per ripetere quello del suo bisnonno che emigrò in America e fece fortuna lì. L’avo, sul piroscafo; lui, grato, giocando a golf simulato al dodicesimo piano. A colazione sbuca la moglie di Doug, da Dallas: una biondona che gli regala 25 anni e lo induce a tutti quegli allenamenti. A ogni boccone lui controlla la situazione della pancia, sotto la mastodontica fibbia della cintura. E si aggiunge Christine, del Surrey, infermiera volontaria negli ospedali d’Israele, con la passione per i bambini che non ha mai avuto. Mi alzo prima che arrivi Gabriele, con la scusa di un appuntamento.
Ho sempre pensato che l’esperienza decisiva di Silvio Berlusconi sia stata quella di cantante di crociera. Lì ha imparato come fare un palinsesto, come occupare la vita di un popolo annoiato, come dettare l’agenda alla scena mediatica. Il programma di bordo della Queen Mary 2 è tagliato su misura per il pubblico a bordo: alle 10 conferenza sulle stelle di Hollywood. E l’argomento non è Angelina Jolie, ma Bette Davis. E’ l’effetto specchio ad attirare. Alle 11 e 30 parla un premio Pulitzer e non aspettatevi un romanziere sperimentale: c’è Rita Dove, collaudata poetessa. A mezzogiorno rimbomba il solito annuncio del commodoro e in camera trovo un suo invito all’aperitivo serale. Smoking, e via. «Di andare ai cocktail con la pistola non ne posso più» e la faccenda qui è seria. Prima di farti stringere la mano al commodoro una lady ti chiede il nome e lo annuncia a gran voce, in stile ricevimento di corte. Il commodoro è meno formale, ha una risata grassa, una faccia rubiconda. Si chiama Bernard Warner, discende da un sir Thomas Warner che attraversò l’Atlantico nel 1623 e conquistò all’Inghilterra l’isola di Si. Kitts, dove è sepolto. Bernard va per mare dall’età di 8 anni. Ne ha passati 43 a bordo, è comandante da 15, regna sulla Queen Mary 2 da quattro. Ha conosciuto sua moglie su una nave, comunica con i due figli per lo più telegraficamente. In senso stretto.
Quando lo lascio al resto della compagnia e siedo al tavolo della cena ecco arrivare, implacabile, Gabriele. Anticipo la domanda: «Per tutto il giorno Claire è andata alla ricerca di Vittorio, ha percorso la nave in lungo e in largo, ha atteso nello stesso bar dove avevano chiacchierato, nulla. La sera, finalmente, lo vede, appoggiato alla ringhiera del settimo ponte, sopra la piscina. Teme sia di nuovo sul punto di buttarsi.
Si avvicina, lui sembra non accorgersene. Lei gli chiede se sta cercando le stelle. Lui risponde: sto cercando mio padre. Lei resta interdetta. Lui si volta e dice: sto andando in America per cercare il padre che non conosco. Lei non sa che cosa dire».
Anche Gabriele è sorpresa: «Non cercava Anne?».
Sorrido, mi alzo, devo andare a teatro. Stasera debutta la cantante. Non è Claire, ma quasi. Per coincidenza il cognome è Sinclair. Emma Sinclair. Magari ha una storia, chiunque ce l’ha. Le lascio un biglietto alla reception: «Sto scrivendo un diario di questo viaggio. Vorrei parlarle. L’aspetto domani alle 11,30 al Commodore Club». Sposto indietro di un altro giro la lancetta delle ore. La superficie dell’oceano è increspata. New York è a 2 mila miglia.
Giovedì
Mare aperto 43° 31.21’N, 037° 43.11’ W
Dress code: Semi formal
Alba, mattino, 11 e 30: Emma Sinclair è puntuale. Dimostra dieci anni meno rispetto alla copertina dei dischi o al palco. E’ un soprano, canta per un pubblico anziano, non può mostrarsi ragazzina quando è nella parte. Ma lo è stata, vent’anni fa, in Scozia. I genitori allevavano pecore. Se cantava, a scuola, le compagne le dicevano di tacere coprendosi le orecchie. La voce di un soprano, in una bambina, pare terribile. Solo il nonno la incoraggiava. Quando le dissero che c’era già una Emma Randall e dovette cambiar cognome, scelse il suo. Ma se googlate per ordinare l’ultimo cd (You’re the Reason Why) non fermatevi alla prima Emma Sinclair(.com), è un’autrice di romanzi erotici. Quella in sottoveste trasparente è la scrittice, non la cantante Emma Sinclair(.net).
A scoprirla fu lan Adam, il maestro di Sarah Brightman. Emma si esibisce dall’età di 18 anni. Ha calcato le scene del West End e recitato alla Tv cinese (doppiata in mandarino). Voleva andare a Broadway, ma la promessa del produttore londinese si rivelò un miraggio, i soldi stavano finendo e un’amica le propose una crociera, come cantante. La paga batteva di gran lunga quella del teatro, il suo repertorio fu giudicato «adatto ai passeggeri di lusso». Si imbarcò e praticamente non è più tornata.
Viaggia da otto anni. E’ stata sulla Queen Mary 2 già 10 volte. Ha visto passeggeri morire nel giro intorno al mondo («e sono convinta che ci sia chi prenota quella crociera proprio per restarci secco»). Ha ascoltato la conferenza di una sessuologa che rispondeva a domande anonime e una era: «Dottoressa, faccio l’amore molto meglio con un’altra donna che con mia moglie: debbo lasciarla?», tutte le donne guardarono il loro compagno con odio. L’esperta rispose: «Tenga la bocca chiusa». Ha conosciuto amori in molti porti. L’ultimo viaggia pure lui sulle navi, come cantante. Si sono visti l’ultima volta un mese fa a Shanghai. L’appuntamento è fra due settimane in Alaska. Dice che vorrebbe vivere a New York, ma non è ancora pronta per mettere l’ancora: «Forse sono come quei vecchi del giro del mondo, andrò avanti finché mi spingeranno sul palco in sedia a rotelle, farò l’ultimo acuto di Puccini e schiatterò lì, in mezzo all’oceano, dove ho vissuto».
Tra cantanti di bordo, passeggeri col pacemaker e accompagnatori professionisti. Scopro la loro esistenza la sera, nella Queen’s Room trasformata in Sala del Gran Ballo Mascherato. Vedo aggirarsi una mezza dozzina di azzimati signori in blazer blu, pantaloni chiari, scarpe bicolori. Hanno tutti intorno ai sessant’anni e una targhetta con il nome sul taschino della giacca. Per la maggior parte sono vedovi. Ricevono passaggi gratuiti sulla nave, in cambio invitano a ballare le signore sole, che sono tante. Il cha cha cha tra Bruno e un manufatto della chirurgia plastica è una sfida alla legge di gravità. Ed è mentre lo guardo che una donna siede al mio tavolo: Gabriele, ovviamente.
lo continuo: «Quel che Vittorio racconta a Claire il giorno dopo è una storia completamente diversa, non c’è più Anne, non c’è più il tentato suicidio, né l’incidente. Racconta di sua madre. Di come l’abbia allevato da sola, dicendogli che il padre era andato via mentre lei l’aspettava. Poi, due settimane fa, lei è morta. Chiudendo casa lui ha trovato il suo diario e la foto di un uomo che gli somigliava tremendamente.
Un cantante. Alle sue spalle, mentre si esibiva, c’era il logo della Cunard, la linea di crociere di cui fa parte la Queen Mary 2. Era una cartolina, dietro c’era il nome dell’artista e il suo autografo. Tony Qualcosa. E’ ancora vivo. A New York». Ci arriveremo fra due giorni. La Queen Mary 2 viaggia alla velocità di 26 nodi. Tira una brezza gentile e spruzza i vetri di pioggia.
Venerdì
Mare aperto 41° 10.03’N, 056° 33.12’ W
Dress code: Formal
Al penultimo giorno di navigazione do di matto. Mi sveglio prima dell’alba avendo confuso gli orari: per una volta il tempo non ha fatto un passo indietro. Esco sul ponte e comincio a correre come un tasso impazzito nella gabbia dello zoo. Faccio cyclette. Faccio colazione. Prenoto il chiropratico. Faccio acquisti. Assisto all’asta, al bingo, al concerto d"arpa, alla conferenza della poetessa che la sera prima ballava con Joe l’idraulico, al torneo di ping pong, al corso di merengue. Datemi New York! Datemi un porto! Poi la tempesta si placa, all’improvviso. Il penultimo giorno diventa il migliore. E’ sempre così, in una sequenza: i primi sono eccitazione, i successivi noia, l’ultimo nostalgia. Nel penultimo sei te stesso, consapevole della strada che hai fatto, hai imparato a muoverti, a evitare, a cercare i punti migliori. Sto parlando del viaggio che facciamo tutti.
Seduto in una pentola Jacuzzi, su un ponte riservato, guardando la scia che ribolle sotto una pioggia leggera, faccio pace con la città galleggiante e i suoi abitanti. Quando siedo al mio tavolo (Gabriele manca) riesco a tollerare gli sfavillanti copribottoni d’oro della camicia da smoking di Doug il texano, l’orologio tempestato di sua moglie che manda lampi purissimi, l’inglese che dice al cameriere di Mumbai: «Oh, sei della città dove ... » Hanno fatto gli attentati? Si muore ancora di fame? - « ... hanno girato Millionaire!». Rispondo cortesemente a suo marito che domanda: «Tu che sei stato in Yemen, è un posto dove si possono fare affari?», «Sì, se traffichi in armi».
All’ora del tè sono invitato nella Windsor Suite di Elizabeth, la vedova di Filadelfia. Mi apre la porta il maggiordomo di bordo, lei scende dal secondo piano camminando su uno scalone circolare. Si ferma, dice: «Vorrei ricordare questo momento. più avanti». Le finestre sono alte sei metri, entra tutta la luce del mondo, e metà dell’oceano. Quel che lei ricorda, una frase sì e una no, è il marito. Immagini tutta la felicità che montagne di dollari possono comprare, tutte le royal suite in tutti gli alberghi, i castelli, le navi della Terra e poi scopri che il figlio di lui è morto di overdose, all’alba di una notte d’inverno, nei vicoli di un sobborgo.
Vado dal chiropratico, il dottor Sani. dal Sudafrica. Mi trova una costola fuori posto, me la sisteiiìa, dice. Mi consiglia di spararmi un getto d’acqua sul collo. nella piscina termale. Mentre lo sto facendo, a occhi chiusi, la voce di Gabriele mi chiede il penultimo capitolo: «Quel che succede mentre la nave passa davanti a Halifax è che Vittorio cambia nuovamente storia. Dice a Claire che sta andando a cercare suo figlio. Non sapeva di averlo. La madre e lui si conobbero brevemente, a Roma, lei era un’americana sregolata. Ora è morta di overdose e nel testamento ha chiesto di informarlo: c’è un ragazzino che lo aspetta e lui non sa che cosa dirgli...». Digli che adesso è buio, sull’oceano, ma il sole sorgerà ancora: alle 5 e 46. Che se avanzi il porto si avvicina, sempre. Che ci siamo. Quasi.
Sabato-Domenica
Mare aperto - New York
Dress code: Elegant casual
Che cosa succede ancora prima di attraccare’? Che Doug, il milioiìario texano abbottonato d’oro, decide di tentare la fortuna al casinò, «ma con un colpo secco, un gettone da venti dollari e via». Siede al videopoker accanto a una donna obesa che sta lì dalla mattina del primo giorno, inserisce, pigia, fa full d’assi e vince mille dollari. Così. Lei lo guarda male. La vita è ingiusta, spesso, ma Doug è improvvisamente fehce come non sarebbe neppure se gli telegrafassero che le sue azioni sono salite del 25% in un giorno. Succede che Elizabeth, la milionaria che viaggia con il fantasma del marito, invita tutto il tavolo per il brindisi d’addio nella sua suite reale. E dice: «Quando lui se n’è andato pensavo sarei morta, ogni giorno mi sorprendo a non esserlo. Prosit!». Una coppia seduta per sei giorni al tavolo accanto a un oblò nel corridoio dei giochi ha completato il suo puzzle: mostra la skyline di New York. Quella reale è appena al di là dell’alba. Ed è uno spettacolo, il vero show per cui abbiamo pagato.
Oscar Wilde fece questa traversata e la trovò «priva di interesse, l’oceano non ruggisce neppure». Ma la sua supponenza fu chiara quando disse alla dogana: «Non ho nulla da dichiarare, a parte il mio genio». L’approdo, poteva riconoscere almeno quello, è straordinario. Siamo tutti sul ponte, fiamme in cielo dietro le torri di Manhattan, ma non è una tragedia, è splendore. Tenetevi tutta l’acqua del pianeta e lasciatemi questo presepe di follia.
Nello stesso momento a Southampton, da dove siamo partiti, sta morendo l’ultima sopravvissuta del Titanic. E sì, Gabriele, la Fine della storia: «Guarda, vedi New York? Là, esattamente ora c’e una giovane donna in coma. Si chiama Mary, come la madre, come la madre, la chiamano infatti Mary, 2. Nel suo sonno che dura da sei giorni entra ora la sirena di una nave, a svegliarla. Porta con sé la musica di una cantante che le hanno sempre tenuto accesa accanto al letto, le voci delle persone che le sono sempre rimaste accanto: suo marito Victor, che conobbe in Italia, il loro Ciglio, suo padre, le sue sorelle Anne e Claire. Lei riapre gli occhi e sono tutti lì. Alla fine del viaggio. questo vorremmo, ritrovare tutti quelli che abbiamo perduto».
Volevo davvero cominciare un romanzo, durante questa traversata. ma come scrisse Henry Miller in circostanze analoghe: «Non avevo fatto i conti con l’oceano. L’uomo capace di scrivere un libro a bordo di una nave dev’essere più solo perfino dell’oceano».