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 2009  giugno 12 Venerdì calendario

SONDOCRAZIA

Negli ultimi quindici anni abbiamo assistito ad un vero e proprio boom dei sondaggi nel nostro Paese. Nel solo 2008 ne sono stati pubblicati circa 1.800, quasi 5 diversi sondaggi al giorno. Perché si ricorre al sondaggio e, soprattutto, cosa è cambiato negli ultimi anni? Indubbiamente le ricerche demoscopiche consentono di conoscere la realtà sociale che negli ultimi anni si è modificata velocemente ed è diventata più complessa, più difficile da interpretare. Ma i sondaggi hanno a che fare con il crescente ruolo attribuito all’opinione pubblica dal mondo politico e dai media. Sempre più spesso i leaders politici si relazionano direttamente con i cittadini, è aumentata la "personalizzazione" della politica e, in una situazione caratterizzata da una campagna elettorale permanente (di fatto tra elezioni politiche, europee, regionali e amministrative votiamo all’incirca ogni anno), i mezzi di informazione e i partiti politici chiedono di conoscere stabilmente le opinioni dei cittadini, le loro priorità e aspettative, i giudizi sull’operato del governo e dell’opposizione, l’immagine degli esponenti politici. Soprattutto chiedono di "misurare il consenso", con una sorta di termometro dell’approvazione o del dissenso degli elettori riguardo non solo alle proposte politiche ma anche a singoli episodi o dichiarazioni, dal terremoto in Abruzzo, alle vicende familiari del Premier, a quelle di Noemi, solo per fare qualche esempio recente. Ne consegue che il sondaggio è diventato a tutti gli effetti uno strumento di comunicazione e viene utilizzato sempre più spesso come criterio di legittimazione dell’azione politica quando non come arma da brandire contro l’avversario, soprattutto nelle fasi caratterizzate dalla veemente contrapposizione tra gli schieramenti. Questo cambiamento di funzione del sondaggio determina rischi non trascurabili: innanzitutto il rischio di equiparazione della misurazione istituzionale del consenso, rappresentata dalle elezioni, con la misurazione virtuale del consenso, rappresentata dal sondaggio. Quante volte abbiamo sentito leaders dichiarare sulla base dei sondaggi: "siamo la maggioranza!" oppure "il nostro partito è in forte crescita", "gli italiani sono con noi". E ancora, se analizziamo le reazioni ai risultati elettorali delle Europee ci rendiamo conto che l’interpretazione prevalente dei dati tiene conto delle aspettative alimentate dai sondaggi: il PDL, pur confermatosi il primo partito in Italia con il 35,3% dei voti validi, è risultato ridimensionato non tanto per il calo di consensi rispetto alle politiche del 2008, ma perché il presidente Berlusconi aveva pronosticato, sulla base dei sondaggi, un risultato compreso tra 40% e 45%. Analogamente il PD, pur accusando un forte calo di voti (dal 33,3% al 26,1%), nelle valutazioni sembra avere invertito la tendenza negativa perché, sulla base dei sondaggi, all’indomani delle dimissioni di Veltroni da segretario del partito, era accreditato di un consenso di poco superiore al 22%. Un secondo rischio, collegato al primo, è la trasformazione del sondaggi da strumento di misurazione del consenso a strumento di creazione del consenso: facendo leva sulla suggestione di numeri si osserva un gioco di specchi deformanti tra politica, media e sondaggi; si enfatizza mediaticamente un tema, il sondaggio ne misura la rilevanza presso l’opinione pubblica, i media trovano conferme dell’importanza del tema presso i cittadini, la politica (che in molti casi ha avviato questo processo) se ne impossessa e ne fa una leva del consenso, chiudendo il cerchio. Conseguenza: mai come in questo periodo osserviamo un divario crescente tra percezione (il modo con cui rappresentiamo a noi stessi i fenomeni) e realtà; qualche esempio? Povertà vera o povertà percepita? Insicurezza vera o percepita? Su alcuni quotidiani nella rubrica dedicata alle previsioni meteo accanto alla temperatura reale viene perfino riportata quella percepita. Le percezioni orientano molto più della realtà le nostre opinioni e i nostri comportamenti, e questo è un rischio. Come pure è un rischio la perdita di credibilità dei sondaggi che, a causa delle dinamiche di cui sopra, faticano ad essere ancora considerati strumenti oggettivi super partes. E chi fa il mio mestiere correttamente e con rigore rifiuta la logica delle appartenenze, le accuse infondate di parzialità o, peggio ancora, di essere al servizio di questo o quel partito. Nella "democrazia del consenso" un ulteriore rischio è rappresentato dall’utilizzo del sondaggio quale "bussola" della politica le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: tatticismo esasperato, rincorsa di temi e priorità che generano consenso immediato (spesso basati su allarmi sociali), immobilismo e incapacità di progettare il futuro attraverso riforme coraggiose ancorché impopolari. La politica rinuncia alle grandi scelte e si affida ai sondaggi; fatte le dovute eccezioni è come se i genitori chiedessero ai propri figli come vorrebbero essere educati. Da ultimo sottolineo il rischio che la "sondocrazia" induca sottilmente a ritenere che la maggioranza è nel giusto e ha sempre ragione e a trascurare o a denigrare le ragioni della minoranza, in qualsiasi contesto, dalle assemblee istituzionali a quelle condominiali. Recentemente Giovanni Sartori ricordava che la prima consultazione della storia contrappose Gesù a Barabba. Sappiamo tutti come andò a finire. Personalmente ho qualche dubbio che fosse la scelta giusta.