Marco Valsania, ཿIl Sole-24 Ore 11/6/2009;, 11 giugno 2009
CHRYSLER, ORA PARTE LA CURA FIAT
«Non ho alcun dubbio. Ce la faremo». Così, con un messaggio di forte ottimismo, Sergio Marchionne, da ieri amministratore delegato della «nuova Chrysler», si è rivolto ai dipendenti del colosso Usa nel giorno che ha visto il via libera definitivo all’accordo con Fiat. Con una firma e un trasferimento elettronico di fondi, infatti, la fusione è ormai fatta.
Ieri mattina, dopo che la Corte Suprema americana ha dato il suo via libera, Fiat e Chrysler hanno completato la cessione degli asset strategici dell’azienda americana ad un nuovo gruppo auto guidato dalla società italiana. I fondi arrivati sono i 6,6 miliardi di dollari promessi dalla Casa Bianca per finanziare l’uscita dall’amministrazione controllata della nuova Chrysler, che diventerà subito operativa e vedrà al comando, insieme a Marchionne, il presidente Robert Kidder. In consiglio dovrebbero entrare anche Alfredo Altavilla, responsabile business development del Lingotto, e Lucio Noto, ex vice presidente di Exxon Mobil, come indipendente. A Detroit voleranno anche tre manager chiave di Torino: il responsabile della finanza di Fiat Group Automobiles, Richard Palmer, il capo del Network & Owned Dealerships e Customer Services, Pietro Gorlier, e il responsabile dell’ufficio stampa estero del Lingotto e della Comunicazione di Cnh, Gualberto Ranieri. Lì ricopriranno lo stesso ruolo che oggi rivestono in casa Fiat. Un rinforzo fondamentale per lanciare quello che diventerà il sesto colosso automobilistico al mondo, con vendite complessive per 4,5 milioni di veicoli e che ieri è stato salutato dalla Borsa di Milano con un balzo del 4,85% dei titoli del Lingotto a 7,79 euro. L’alleanza ha ricevuto anche il sigillo della famiglia Agnelli: «Siamo tutti molto contenti e soddisfatti per l’accordo Fiat-Chrysler. Tutto è andato a buon fine per il lavoro incredibile fatto da Marchionne e dal suo staff», ha dichiarato il vicepresidente della casa di Torino, John Elkann, portavoce, peraltro, degli interessi della dinastia.
Fiat avrà inizialmente il 20% nel neonato Chrysler Group LLC, una quota che potrà in seguito salire al 35% tagliando traguardi di performace e, quando i prestiti governativi saranno stati restituiti, al 51 per cento. Il sindacato United Auto Workers, attraverso il suo fondo sanitario per i pensionati, avrà al momento il 55% e quote di minoranza spetteranno ai governi statunitense (8%) e canadese (2%).
L’azienda italiana porterà alla Chrysler nuova tecnologia, soprattutto per vetture piccole e più efficenti. I primi veicoli Fiat potrebbero essere venduti da Chrysler, il cui mercato è per il 90% negli Stati Uniti, entro un anno e mezzo. La rinata Chrysler dovrebbe inoltre produrre un nuovo veicolo in America basato sulla tecnologia dell’Alfa Romeo 149. «Il nuovo gruppo ha le risorse per competere efficacemente su scala globale», hanno fatto sapere le due aziende in un comunicato.
Marchionne, nella lettera ai dipendenti, ha affermato che «la nuova società ha significativi vantaggi strategici, un bilancio in salute, una struttura dei costi competitiva, una più agile e efficiente rete di concessionari, solidi accordi con i fornitori e una qualità dei prodotti e un’efficienza operative molto migliorate ». Il chief executive uscente, Bob Nardelli, ha a sua volta detto di «aver fiducia che Chrysler sappia continuare a costruire su una storia aziendale durata ormai 85 anni». La sfida, però, diventerà adesso quella di convincere investitori e consumatori che la fusione può funzionare e che il nuovo gruppo è in grado di superare una fase economica ancora difficile.
Chrysler aveva fatto scattare i preparativi per il debutto sotto l’ala Fiat fin dalla notte di martedì. Nel quartier generale è stata messa in bella mostra una fiammante 500 dell’azienda italiana. L’ultimo ostacolo al merger, infatti, era svanito in tarda serata con la decisione della Corte Suprema: gli alti magistrati americani, che avevavano bloccato temporaneamente la cessione di Chrysler lunedì, hanno avuto bisogno solo di poco più di ventiquattr’ore per prendere una decisione definitiva: quella di respingere la richiesta d’appello contro l’operazione avanzata da tre fondi pensione dell’Indiana e da associazioni di consumatori. I magistrati hanno indicato che i fondi dell’Indiana non hanno dimostrato la necessità di un intervento della massima autorità giudiziaria. La Corte ha fatto sapere di aver preso in considerazione tre fattori: la probabilità che quattro dei suoi nove giudici, il quorum minimo, fossero a favore di considerare l’appello, la probabilità che una maggioranza della Corte ritenesse errate le decisioni legali finora prese e il rischio o meno di danni irreparabili quale conseguenza dell’operazione.
Chrysler e il Tesoro americano hanno tirato un sospiro di sollievo. «Siamo soddisfatti che nessuna corte, compresa la Corte Suprema, abbia trovato alcun problema nella gestione della vicenda da parte di Chrysler o del governo », ha comunicato il Tesoro. Fiat avrebbe potuto ritirarsi qualora la fusione non fosse stata chiusa entro il 15 giugno.