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 2006  gennaio 15 Domenica calendario

Quella scalata che battezza la ’razza padana’ - E’stata prima la «madre di tutte le privatizzazioni», il primo vero banco di prova della politica di vendita delle imprese di Stato

Quella scalata che battezza la ’razza padana’ - E’stata prima la «madre di tutte le privatizzazioni», il primo vero banco di prova della politica di vendita delle imprese di Stato. Poi si è trasformata nella «madre di tutte le scalate», la più importante Opa mai avviata in Italia, e comunque la prima in assoluto con protagoniste banche straniere che hanno dato l’ assalto al mercato italiano. Oggi torna alla ribalta, con il suo carico di avventure e di passaggi, al centro della scena finanziario-giudiziaria aperta dal crollo delle Opa su Antonveneta e Bnl. Chissà che cos’altro dovrà passare la Telecom, ex punta di diamante del mondo delle partecipazioni statali, ex o quasi ex monopolio delle telecomunicazioni, ex banco di prova della ascesa e della caduta della variegata «razza padana», prima di arrivare ad essere citata negli annali della storia economica d’Italia come un caso aziendale e non come un caso di qualche altra specie. Nonostante gli ultimi quattro anni passati nelle mani di gruppi d’eccellenza, come la Pirelli di Marco Tronchetti Provera e l’Edizione della famiglia Benetton, ancora oggi Telecom si trova a dovere fare i conti con la propria storia tormentata. Nei palazzi della finanza si discute e si fanno i conti sul riassetto azionario e che deriva dall’eventuale uscita dal gruppo di controllo della Hopa, una volta nelle mani di Emilio Gnutti. Una questione tuttora aperta che potrebbe portare ad un rafforzamento di Tronchetti e Benetton, ma anche ad un compattamento fuori dall’attuale gruppo di controllo di un importante partecipazione azionaria. Nei palazzi giudiziari si scandaglia il suo passato, le operazioni che la hanno vista protagonista, con tutto il loro carico di risvolti politici e finanziari. Operazioni che per storia dei protagonisti che le hanno intessute e risultati che hanno prodotto sono finite in quel ventilatore di guai e di risvolti ancora sconosciuti che sono le inchieste giudiziarie sviluppatesi sui casi Antonveneta e Bnl. Non è un destino cinico quello che perseguita Telecom. E’ un fatto però che la sua storia si è incrociata, negli ultimi anni con i passaggi cruciali delle vicende industriali e finanziarie italiane, diventandone una sorta di catalizzatore: le privatizzazioni delle partecipazioni statali, gli equilibri del sistema Mediobanca prima e dopo la scomparsa del suo artefice, Enrico Cuccia, la crisi e la cancellazione dallo scenario italiano di un’azienda storica come l’Olivetti, l’emergere della razza padana, per metà fatta di avventurosi finanzieri, come Gnutti, e per metà di uomini con ambizioni anche industriali, come Roberto Colaninno, la sperimentazione dell’asfittico mercato finanziario italiano come luogo di battaglie e di conquiste per le banche internazionali. Se a questo poi si aggiungono i momenti politici cruciali degli ultimi dieci-quindici anni, come il passaggio tra i governi di Romano Prodi e Massimo d’Alema e il ritorno di Berlusconi con la sua Fininvest al governo di Palazzo Chigi si ha un’idea della giungla di interessi che si sono intrecciati intorno. In 13 anni quasi tutto cambia sulla scena politico finanziaria dell’Italia e quel groviglio di intrecci e di interrogativi cui si sta tentando di rispondere oggi nasce proprio intorno alle scalate Olivetti Telecom. La scalata all’Olivetti E’ l’estate del 1998 quando a Padova, nello studio di Silvano Pontello, banchiere dalle grandi intuizioni e dalle abili capacità di lettura e di gestione della realtà finanziaria e industriale, si consuma un incontro quasi storico. Il direttore generale dell’Antonveneta riunisce a Padova Roberto Colaninno ed Emilio Gnutti. I due capostipiti di quella che verrà poi chiamata la «razza padana» si conoscono da qualche tempo e avevano già intrecciato qulche affare tra di loro. Colaninno è allora alle prese con il risanamento dell’Olivetti, compito cui lo aveva chiamato, pochi anni prima Carlo De Benedetti in progressiva uscita dall’azienda e con il quale i rapporti si vanno progressivamente raffreddando. Già da qualche tempo l’amicizia tra Gnutti e Colaninno, giocata sull’asse Mantova-Brescia, ha prodotto i suoi frutti. Sia l’uno che l’altro hanno cominciato a raccogliere pacchetti di azioni dell’Olivetti: Gnutti per fare qualche affare di Borsa, Colaninno per rafforzare la sua presa sull’azienda e per tentare di bilanciare la pressione dei tedeschi della Mannesman, con i quali l’azienda di Ivrea tenta di rilanciarsi e di trovare un futuro nel mondo delle telecomunicazioni. Ma è Pontello a intuire le possibilità di coagulare, intorno alla «razza padana», un assetto più stabile dell’azionariato Olivetti. Antonveneta possiede qualche quota dell’azienda e ha a disposizione risorse finanziarie, Gnutti e Colaninno potrebbero fare il resto con i loro investimenti e le loro ambizioni. «Pontello - racconta Colaninno nel suo libro intervista con Rinaldo Gianola - mi disse chiaramente che gli sarebbe piaciuto diventare azionista stabile dell’Olivetti in un progetto che avesse coinvolto altri imprenditori interessati». Da quell’incontro a tre nasce un progetto, quello di raccogliere almeno un 10% del capitale Olivetti e una finanziaria, la Bell, che ne avrebbe costituito il catalizzatore. La Bell ha sede in Lussemburgo, paradiso fiscale nel cuore d’Europa e che offre elasticità e coperture per gli eventuali partecipanti. La tengono a battesimo, insieme a Gnutti, i banchieri della Chase Manhattan e un napoletano che allora ne costituisce il cuore in Italia, Federico Imbert, che con la Fingruppo di Gnutti e l’Olivetti di Colaninno-De Benedetti ha già fatto alcune operazioni. E’ lui che studia i dettagli organizzativi. In quel mondo al di là delle Alpi prende corpo la prima rete di accordi della razza padana: Gnutti, Colaninno, i bresciani delle famiglie che contano come Lonati, parte della finanza «rossa» Unipol e Monte dei Paschi (che rileverà poco dopo la banca Agricola Mantovana, centro delle amicizie che costituiscono tra bresciani e mantivani), Antonveneta e la sua controllata Interbanca, un fondo l’Oak fund, un fondo di diritto off shore con sede alle Cayman. Tra il novembre e il dicembre del 1998, il cuore della «razza padana» che batte nella Bell diventa a tutto titolo azionista di riferimento dell’Olivetti, prima con il 10 destinato a salire fino al 15%. Colaninno si trasforma da manager in azionista e padrone di un azienda che per gli accordi siglati nella telefonia di Omnitel e Infostrada, è ipotecata dai tedeschi della Mannesman. La scalata è riuscita, ma si porta dietro alcuni interrogativi che non vengono allora sciolti. Il primo sta nelle modalità con cui è avvenuta. Colaninno compra pacchetti azionari e diventa padrone di Olivetti nella sua veste di manager che nel frattempo gestisce e che quindi è a conoscenza delle mosse dell’azienda. Le potenzialità di un reato di insider di questo insolito «management by in». Ma la legge italiana è farraginosa e il reato di insider non ha molti appigli, la Consob, presieduta allora da Luigi Spaventa, non interviene. Anzi, a detta della stesso Colaninno, Spaventa, informato dell’operazione, plaude all’intervento dei personaggi nuovi nell’economia italiana e chiede lumi sugli azionisti della Bell. L’altra è in quel veicolo voluto per attuare la scalata: quella Bell, piantata in Lussemburgo, che si prepara a diventare il centro anche della scalata a Telecom con un azionariato che continua a cambiare a seconda delle allenze e che non sempre chiarisce chi ci sia dietro i soggetti che la partecipano. I giornalisti vanno a caccia di notizie sulla Relin, società i cui azionisti restano a lungo misteriosi, sull’Oak fund uno dei tanti fondi di diritto off shore gestito da Giorgio Magnoni, fratello di Ruggero della Lehman Brothers, fratelli entrambi di quel Pier Sandro che ha sposato la figlia di Sindona ed è rimasto coinvolto nel fallimento della Banca Privata, e di molte finanziarie dietro le quali spesso, si celano i nuovi alleati della razza padana. Ma in quello scorcio della fine degli anni novanta la voglia di trovare un qualche ancoraggio al disastrato sistema industriale italiano e alla altrettanto disastrata Olivetti, che ne costituisce un simbolo, prevale su tutto. Colaninno suona su questo tasto che fa presa un po’ su tutti, banche italiane e straniere e anche i politici, a partire da Pierluigi Bersani intelligente e capace ministro dell’Industria che da quelle terre proviene. «Con l’operazione Bell-Olivetti sono stati mobilitati capitali che fino ad oggi dormivano - dice il neo proprietario dell’ Olivetti nel novembre del ’98 - e per la prima volta piccole e medie imprese del Nordest di Brescia, Mantova, Ravenna, Bologna decidono di mettersi insieme a sostegno di un grande gruppo industriale. La ricca provincia mostra di avere uomini e risorse per giocare un ruolo importante nello sviluppo dell’economia». E’ una dichiarazione programmatica che trova alleati eccellenti anche nelle banche. «Nell’ Olivetti abbiamo creduto anche negli anni bui e i fatti ci hano dato ragione» dice Pontello in una delle sue rare prese di posizione. E’ il novembre del 1998, e gia prendono corpo le alleanze per l’assalto a Telecom.