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 2009  maggio 18 Lunedì calendario

Lo slogan, inventato da un manager di fama e animal spirit mediatico come Luca Cordero di Montezemolo, recita "Formula Uomo", al posto, ovviamente, di Formula Uno

Lo slogan, inventato da un manager di fama e animal spirit mediatico come Luca Cordero di Montezemolo, recita "Formula Uomo", al posto, ovviamente, di Formula Uno. E’ un logo che si materializza nella faccia di un operaio sardo di 33 anni, Gianfranco Usai, meccanico dell’azienda, che sorride, in tuta rossa, sulle pagine del Nouvel Observateur, accanto ad un’austera Rita Levi Montalcini, un intenso Claudio Abbado e un serioso Renzo Piano. E’ a lui che spetta, nella sezione cultura del supplemento dedicato all’Italia ("Genie d’Italie"), rappresentare il Made in Italy d’eccellenza, la cultura di un’aristocrazia operaia che ha portato un marchio, come quello Ferrari, a dominare nell’immaginario collettivo. E’ una eccellenza consolidata, tanto che uno degli economisti principe dei distretti industriali, Marco Fortis, ha costruito un Ferrari Index con l’export di auto della Provincia di Modena ponendolo come metro di confronto per l’efficienza di tutto il resto del Made in Italy. E i dati gli danno ragione. Nei primi tre mesi di quest’anno, alla faccia della crisi, la Ferrari ha fatturato 441 milioni di euro, più o meno gli stessi dell’anno scorso (455 milioni), che passa come il migliore nella storia della casa di Maranello. I dati di vendita negli States sono rimasti fermi: "Abbiamo ripulito le liste di attesa", dicono gli uomini dell’azienda. Cioè si sono smaltite le domande di coloro che aspettano in fila per avere una Ferrari e che, alle volte, impazienti, comprano i contratti dei primi della lista a prezzi, ovviamente, maggiorati. Cresce a tassi del 20% il mercato cinese dove ricchi e anche agguerrite donne manager ( sono il 25% del totale) stanno trasformando, anche lì, un marchio in un simbolo. Il simbolo non solo del lusso, ma della eccellenza tecnologica, della personalizzazione made in Italy, dalle vernici alla carrozzeria e ai sedili, su auto che costano dai 180 mila euro in su fino ad arrivare a prezzi indicibili per chi si può permettere di acquistare auto da corsa non omologate per la strada. O chi si è preso "lo sfizio" di comprare, per due milioni di euro, la macchina di Schumacher che ha vinto i mondiali. Ad alimentare un immaginario e una passione a prezzi più contenuti c’è il settore del brand and licencing che cresce a tassi del 28% e che rappresenta, con un quinto del margine lordo, un bel forziere per l’azienda. Del resto che non sia una fabbrica qualsiasi lo si capisce al primo sguardo. Tutte le zone produttive sono disegnate da architetti di fama: la Galleria del Vento da Renzo Piano, il Centro Sviluppo Prodotto da Massimiliano Fuksas, le Nuove Linee di Montaggio da Jean Nouvel, le Lavorazioni Meccaniche Motori e perfino il Ristorante Aziendale, da Marco Visconti. Costi? "Abbiamo calcolato che si recuperano in due anni dicono in azienda grazie alla miglior qualità della produzione, mentre l’impronta e la bellezza restano". Le officine sembrano dei loft moderni e negli scaffali i pezzi delle macchine, ciascuno sotto il nome del pilota che la guiderà, sono religiosamente messi in ordine come se fossero nella teca di un museo. Chi ha la ventura di passarci, tra auto coperte per evitare spionaggi, e meccanici che discutono intorno ai motori come se fossero medici che si interrogano sulla salute di un paziente, si sente una sorta di privilegiato ammesso nel tempio di un mito. E’ una sensazione non solo del visitatore, ma anche degli operai che ci lavorano. Per entrare qui c’è la fila. Un terzo dei fortunati assunti viene dal Sud. Usai, scelto come simbolo dal Nuovel Observater del genio tecnico dell’Italia, è approdato a Maranello dalla Sardegna. A segnalarlo ad un meccanico della zona il preside dell’Istituto tecnico Grazia Deledda di Sassari. "Per me come per tutti la Ferrari era un miraggio. Il privilegio di trasformare una passione, quella per i motori, in un mestiere. Ho tentato e sono entrato". Adesso lavora nel cuore della Formula Uno, segue i gran premi girando il mondo, con tifosi la madre di 55 anni rimasta in Sardegna e una fidanzata spagnola. "Qui dice è come lavorare artigianalmente nel salotto di casa. Ci vuole passione ma anche molta responsabilità e resistenza, anche se l’orgoglio aziendale accomuna tutti nella costruzione delle più belle macchine del mondo". Ma lo stress e la tensione non mancano, come fa capire il suo capo Diego Ioverno nel raccontare la faccia di quel meccanico che ha visto il motore di Felipe Massa fermarsi facendo perdere un gran Premio già vinto a due giri dalla fine. O il pianto di quel addetto ai box che, per l’emozione ha premuto troppo presto il via e ha fatto partire la Ferrari con il tubo della benzina ancora innestato nel serbatoio. Non tutti resistono, alcuni se ne vanno, per resa o per scelta, ma con un patrimonio di brand, che gli permette di poter aprire officine. Gli altri 3000, metà operai e metà quadri e dirigenti, età media 37 anni, restano e sono coccolati dall’azienda e da un marchio che, disegnato sui biglietti da visita, si esibisce con orgoglio. Check up annuali, un Maranello Village per chi arriva da fuori con 500 abitazioni con palestre e ristorante, una sicurezza maniacale che censisce anche i casi di "near misses", cioè gli incidenti evitati per un soffio, e perfino una scuola di mestiere interna, autofinanziata, per formare manodopera a seconda delle necessità, dove i docenti sono i quadri più anziani. "E’ questo il senso della nostra Formula Uomo, una qualità della vita nel lavorare e nel coinvolgere le persone che non può essere separata dalla qualità delle nostre auto, visto che impariamo anche dai nostri dipendenti" dice Mario Mairano, direttore delle risorse umane. Insomma Maranello è la cittadella del bel lavorare. All’apparenza non ci sono luoghi di "punizione" né posti deputati per le leggendarie sfuriate di Montezemolo. Forse sono in quel 20% della Formula Uomo che Mairano dice che deve essere ancora portato a termine….