Anna Sandri, La stampa 5/5/2009, 5 maggio 2009
BANDIERA BIANCA SUL PORTO MARGHERA
Il Petrolchimico
a partire dagli Anni 50 che Porto Marghera si trasforma in uno dei poli industriali più conosciuti d’Italia. Una delle prime produzioni è il ciclo dell’azoto, precursore della produzione di fertilizzanti. Poi le attività si espandono e il petrolchimico diventa un gigante e un simbolo della rinascita industriale italiana.
L’inquinamento
Ma è proprio qui che l’industria chimica rivela anche il suo lato oscuro, con decenni di inquinamento che avvelenano la Laguna e provocano una scia di vittime, nonostante i ripetuti allarmi che cominciano già negli Anni 70.
Le condanne
La tragedia ha la sua contabilità: 157 morti per tumore e 103 ammalati. Cinque dirigenti della Montedison e dell’Eni vengono condannati in appello nel 2004, dopo essere stati assolti in primo grado con altri 23 imputati alla fine del lungo processo Casson.I libri contabili sono pronti per essere consegnati in tribunale, l’ufficiale giudiziario è già entrato nello stabilimento per mettere i sigilli a tutto quanto può servire per tutelare i creditori. Gli operai, 250, sono in sciopero e non li scuote l’annuncio della precettazione: negli impianti della Vinyls Italia di Porto Marghera il ciclo del clorosoda e del Pvc non è concluso, la lavorazione è ferma da settimane per la mancanza di materia prima, ma gli impianti non sono bonificati.
Non sono in sicurezza e dentro non c’è più nessuno a controllarli: la Prefettura preme, i sindacati chiedono un «time-out», gli operai resistono perché è in quegli impianti, simbolicamente a rischio, che viene custodita la loro ultima arma di difesa per un posto di lavoro che, nei fatti, è già perduto. Il braccio di ferro durerà, forse, soltanto fino a questa mattina, quando potrebbero essere gli stessi sindacati a trattare perché il ciclo venga concluso.
Finisce a Marghera il sogno del rilancio della chimica: è durato appena una stagione, lo spazio di un’illusione, quando già tutto sembrava perduto, lo scorso inverno, con l’uscita di scena della multinazionale inglese Ineos. Era quello il vero colpo mortale alla chimica: assieme a Marghera, travolgeva gli impianti di Porto Torres e Ravenna. Mille posti di lavoro destinati a sfumare, senza contare l’indotto.
Poi sulla scena era arrivato lui, ed era sembrato l’uomo della provvidenza. Fiorenzo Sartor, classe 1944. Esperienza nella chimica pari a zero: ma sul piatto 200 milioni dichiarati per rilevare gli impianti e farli ripartire con la granitica certezza che, effettuato il salvataggio, entro due anni si sarebbe tornati a marciare a pieno ritmo.
Trevigiano di Cornuda, vedovo e senza figli, Sartor ha un titolo di cavaliere e un diploma di quinta elementare fieramente rivendicato: «c’è chi studia e chi lavora», dice, e lui sta con quelli che lavorano e hanno sempre lavorato, a partire da quando aveva 10 anni. A 19 aveva già un’impresa sua. Credenziali da puro Nordest: sveglia alle 4 (e anche prima, perché le giornate hanno il tempo che hanno, e bisogna arrangiarsi), un passato a far di tutto, comprese le casse da morto, e un presente solido ma su tutt’altro settore, quello dei sistemi di sollevamento con la sua azienda Sinti. Legami politici, nessuno: in tanti l’hanno «tirato per la giacchetta», ma lui giura di aver sempre detto di no.
La benedizione ufficiale di Sartor a nuovo signore della chimica era avvenuta un giorno di febbraio nella sede municipale di Venezia a Ca’ Farsetti, alla presenza del sindaco Massimo Cacciari, che su tutta questa operazione ci ha messo anche la faccia e adesso segue gli sviluppi con crescente preoccupazione per i posti di lavoro e disagio per la china discendente.
La straordinaria avventura del cavalier Sartor, diventata realtà dopo nove mesi di trattativa con Ineos, ha virato al peggio tra febbraio e aprile; lui sostiene di essere stato boicottato, accusa apertamente l’Eni di avergli imposto prezzi troppo alti per la materia prima - etilene e dicloretano, per metterlo in ginocchio; Eni risponde, con Paolo Scaroni, che i fornitori sul mercato sono tanti, poteva rivolgersi altrove. L’ultima fornitura, poi, non era stata nemmeno pagata.
Nei giorni più cupi riappare anche Ineos, e fa sapere al mondo che a Sartor e a quella che lui aveva voluto chiamare Vinyls aveva mandato una nave carica di materia prima a prezzo stracciato e lui l’ha lasciata lì in porto, facendo finta di non sapere che c’era.
Gli operai giocano le ultime carte per la difesa del posto di lavoro: l’avevano sempre detto che l’uomo della provvidenza esiste nei film, non negli stabilimenti della chimica. E si spacca il fronte della solidarietà: i lavoratori di Montefibre, che già vivono un dramma occupazionale, e quelli della Polimeri, infatti, non ci pensano proprio a scioperare per Vinyls.
Appelli si rincorrono perché il ministro Claudio Scajola convochi le parti, almeno per la messa in sicurezza degli impianti. E sullo sfondo si staglia un futuro possibile completamente diverso per Marghera: via definitivamente la chimica, potrebbe essere quest’area immensa, affacciata sulla laguna, carica di archeologia industriale e di fascino, la città del futuro.