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 2009  gennaio 09 Venerdì calendario

BENVENUTI ALL’AUTOSCONTRO


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L’industria automobilistica mondiale è in piena crisi.
Il futuro della quattro ruote è cinese?

Slim ha comprato la Honda per un dollaro. Quando è arrivato a Bradley per dare un’occhiata alla factory, quelli della Honda hanno dovuto sgombrare in tutta fretta il parcheggio perché l’elicottero era troppo grosso per atterrare sul tetto dell’edificio.

Non esiste praticamente più un’industria automobilistica inglese.

Il presidente della Toyota, Katsuiki Watanabe, e tutto il suo staff che, in segno di rispetto, si inchinano davanti ai giornalisti accorsi al quartier generale di Nagoya per la conferenza stampa.

In questa conferenza stampa venne poi annunciato che:

• l’anno fiscale 2008-2009 farà registrare perdite per 150 miliardi di yen (1,22 miliardi di dollari);
• il fatturato stimato per l’anno prossimo è di 21 mila 500 miliardi

I giornalisti sapevano che:

• sei mesi prima erano stati annunciati profitti per 600 miliardi di yen;
• un mese prima il fatturato era stato stimato in 23 mila miliardi di yen

Nel 2007 la Toyota ha venduto 9,37 milioni di vetture.

Watanabe: «Siamo di fronte a una situazione d’emergenza come ne capitano una ogni cent’anni».

Watanabe: «L’efficienza raggiunta dal nostro gruppo ci permetterà di rimanere profittevoli anche con 7 milioni di veicoli venduti».

Negli ultimi tre mesi del 2008, nel Nord America, Toyota ha perso 330 milioni di dollari.

Il fondatore Kiichiro Toyoda, già produttore di telai tessili, preferì il nome ”Toyota” perché si scrive con otto colpi pennello. Il numero 8 – in Cina e in Giappone – è simbolo di prosperità. Toyoda significa ”fertile campo di riso”.

Toyota non aveva mai chiuso, prima d’ora, un bilancio in rosso.

Il pickup della Toyota Tundra

Tagli decisi per la Formula 1:

• i test dovranno terminare con il primo Gran Premio della prossima stagione. Poi sarannio consentiti solo nel venerdì del weekend di gara;
• ciascun propulsore dovrà durare almeno tre gare. Ogni squadra ne avrà a disposizione 20: 8 per ciascun pilota, 4 per i test.
• motori limitati a 18 mila giri e in grado di reggere duemila chilometri (quattro gare) cioè il doppio di prima.
• le fabbriche dovranno essere chiuse per sei settimane all’anno.

Dal 2010 i piloti si fermeranno al pit stop solo per cambiare le gomme (niente più rifornimenti in gara). Potrebbe essere deciso lo stesso pit stop per tutti i concorrenti. Standardizzato il sistema radio e di telemetrie, limitata la ricerca aerodinamica.

Nel 2010 i team indipendenti potranno comprarsi un motore con meno di 5 milioni di euro.

Una squadra di Formula 1 costa 500 milioni l’anno. Max Mosley, presidente della Federazione Internazionale Auto, sostiene che bisogna portare questo costo a 50 milioni.

Max Mosley, fra i tanti casi di spreco, cita quello di certi dadi speciali che costano mille dollari e se ne adoperano migliaia. Poi: gli organigrammi di 800-1000 dipendenti, gli stipendi multimilionari dei piloti, ecc.

La Formula 1 incassa, di diritti tv, 7-800 milioni l’anno. Di questi il 47% va ai team, che adesso vorrebbero una percentuale più alta. Il restante 53% viene incassato dalla Fom (Formula One Management) di Bernie Ecclestone.

Una monoposto può essere venduta solo due anni dopo l’ultima esibizione in pista. Una Ferrari può costare da 1,8 a 2,9 milioni di euro (dipende dal curriculum).

In America la Toyota non fa pagare interessi sui finanziamenti per l’acquisto di 12 suoi modelli. Sul pickup Tundra e sulla jeep Sequoia concede 5.000 dollari di sconto.


Il pickup della Great Wall

«Quando vuoi essere il numero 1 costruisci troppe fabbriche» (Maryann N. Keller).

La Fiat dal 2004 a oggi non ha chiesto niente a nessun governo.

L’Italia non sta dando più nessun incentivo all’industria automobilistica.

La Francia incentiva l’acquisto dell’auto con mille euro (stanziamento complessivo di 200 milioni).

La Svezia ha stanziato 2,5 miliardi di euro a favore di Saab (Gm) e Volvo (Ford).

La Germania e l’Inghilterra incentivano le società che prestano i soldi per comprarsi la macchina.

I cinesi hanno costruito un pickup da 19.000 euro, smerciato da noi dalla Eurasia Motor Company, importatore della Great Wall. Sull’attacco cinese al resto del mondo nel settore auto: «Se tecnologicamente non c’è partita e sull’originalità stilistica è meglio stendere un velo pietoso, i listini possono diventare la carta vincente per allettare una crescente schiera di consumatori. Senza contare che i cinesi hanno compiuto progressi inaspettati, sfruttando al meglio le ricadute delle joint venture con i più importanti costruttori mondiali e mettendo a frutto molte loro peculiarità: determinazione, capacità tecnica, basso costo del lavoro, un approccio disinvolto (si fa per dire) alle regole della competizione internazionale» (Il Sole 24 Ore). Un altro importatore, la Dr di Macchia d’Isernia, secondo Il Sole sta preparando «lo sbarco diretto del costruttore».

Quelli della Great Wall avevano costruiro la Peri, troppo simile secondo la Fiat alla Panda. Ci fu una causa e la Corte d’appello di Torino diede ragioni agli italiani, vietando le importazioni in Europa della Peri e multando i cinesi di 15 mila euro per ogni esemplare con targa europea. In Cina però la sentenza è stata ribaltata adesso dall’Alta corte della provincia di Hebei, che ha ammesso la vendita della Peri in Cina. La Fiat ha fatto sapere che la Panda, in Cina, non viene commercializzata.

In alto la Peri cinese. Sotto, la Panda Fiat.

Mong Hyun Yoon, direttore della business strategy del gruppo coreano Hyundai-Kia: «Africa, India, Cina, Medio Oriente, America Latina. Su queste regioni del globo sposteremo la nostra attenzione nei prossimi anni».

Perché la domanda di automobili è svanita così rapidamente?
La crisi finanziaria ha prosciugato i flussi di credito che in quasi tutti i Paesi accompagnano il grosso delle vendite di auto; la recessione, con l’incertezza che l’accompagna, ha indotto un gran numero di famiglie a rinviare l’acquisto più impegnativo dopo quello della casa. Infine, nei mercati ”maturi” a partire dagli incentivi hanno gonfiato in modo artificiale la domanda. Il mercato ha così praticamente ”saltato” una recessione: è per questo che il tonfo è ora più pesante (Andea Malan).

Volkswagen e Bmw si preparano ad attaccare il mercato americano, prevedibilmente vedovo delle tre big di Detroit. Jim O’Donnell, capo della divisione americana di Bmw: «Gli Usa saranno il motore della crescita del futuro ed è qui che noi concentreremo i nostri sforzi». A parte Toyota, i tentativi di sbarco in America per la case europee sono andati male. Volkaswagen, nel 1988, chiuse lo stabilimento comprato nel 1978 (alti costi, poche vendite). Renault, negli anni Ottanta, avendo comprato il 46% di American Motors lo rivendette in capo a pochi anni. Volkswagen adesso vuole investire mille miliardi in una fabbrica a Cattanooga (Tennessee), dove dal 2012 produrrà 250 mila vetture al giorno.

La Toyota fa uscire dal suo stabilimento di Georgetown una macchina al minuto.

La Audi s’è data un budget in pubblicità di 80 milioni di dollari e ha comprato uno spot durante il Super Bowl.

L’auto più venduta negli Stati Uniti nel 2008 è stato il pickup Ford Serie F, con 515 mila esemplari. L’anno scorso ne erano stati venduti 690 mila. il 27° anno consecutivo che questo pickup si piazza in testa alla classifica.

Il Pickup Ford Serie F

Suddivisione del mercato dell’auto americano: 50% alle tre big, 40% Toyota e gli asiatici, 10 per cento gli altri. Gli europei avevano l’1% nel 1998, adesso stanno al 7,2.

Crollo di vendite per le auto ibride, a causa della caduta del prezzo del petrolio. L’ibrida più venduta al mondo è la Toyota Prius. Gli ibridi costano in genere fra i 3.000 e i 5.000 euro in più. Alle condizioni attuali, il costo in più si ammortizza in otto anni.

La Toyota Prius, la macchina ibrida più venduta al mondo

Ford sta cercando di rilanciarsi con un dispositivo per il parcheggio automatico da applicazre alle Lincoln Mks e Mkt. Il congegno individua i parcheggi attraverso le telecamere e le fotocellule, quindi manovra in base alle misurazioni. Costa 700 dollari. Le Lexus della Toyota ce l’hanno già (a richiesta).

In America la Toyota s’è stabilita nel 1986, attratta da incentivi per 150 milioni di dollari messi a disposizione dal Kentucky. Investimento di 5,3 miliardi di dollari, area di 500 ettari a Georgetown. Conseguenze: la popolazione è raddoppiata, nelle vicinanzreè sorto un centro commerciale di 16 mila letri quadrati che serve un quartiere dove vivono 7.000 dipendenti della casa giapponese. Dfamon Thayer, senatore: «Il Kentucky è rientrato alla grande». La crisi non ha finora colpito duro: limitazioni della produzione hanno provocato la sospensione temporanea di 250 lavoratori. Altre industrie automobilistiche sono andate dietro ai giapponesi e si sono insediate in Tennessee, Alabama, Mississippi, South Carolina, Georgia, Texas. Quando il senatore Mitch McConnell pretendeva che le Big Three, per ricevere gli aiuti, adeguassero la loro organizzazione e i salari dei dipendenti a quelle delle «case straniere» alludeva proprio a questi insediamenti automobilistici del Sud.

«Nella fase in cui le industrie principali del Sud’ tessili e dell’abbigliamento – si stavano trasferendo altrove, l’industria automobilistica straniera è diventata sempre più una risorsa essenziale per l’economia della regione. Nel 2007 Toyota ha investito negli Stati Uniti più di 17 miliardi di dollari, in 10 fabbriche che in totale impiegano più di 36.000 lavoratori. L’Alabama, che nel 1995 non produceva neanche un’automobile, lo scorso anno ne ha sfornate 800.000, diventando il quinto Stato produttore di auto. La regione settentrionale del South Carolina è passata da un’economia basata su un’industria tessile in declino a un’economia fiorente con l’arrivo della BMW negli anni Novanta (la casa tedesca produce in quello Stato la X5 e la X6). «La BMW è una manna per il South Carolina» (Daniel Gross).

«Ogni posto di lavoro nella produzione automobilistica ne genera altri cinque nel settore dell’acciaio, delle ruote, della gomma, in quello dei programmatori e dei rivenditori di auto» (Robert Scott).

La Bmw ha stanziato 100 milioni di euro di aiuti per le proprie concessionarie. La Renault ha tagliato la produzione del 25% e chiuso cinque siti.

In Brasile l’auto va forte (+23,2% nei primi dieci mesi del 2008), ma il 72% dei veicoli viene venduto con rate fino a 84 mesi.

Solo l’1 per cento degli indiani va in macchina, ciononostante a dicembre le vendite sono crollate del 47%.

Tata ha dovuto chiudere per un mese lo stabilimento di Singur (dove si fabbrica la Nano, l’utilitaria che viene venduta a 1.790 euro) perché i contadini locali hanno protestato contro gli espropri decisi dal governo per far spazio all’industria.