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 2009  aprile 08 Mercoledì calendario

DODICI BARE BIANCHE NELL’HANGAR DELLE LACRIME


Bisogna entrare qui, per capire quanto dolore possa provocare un terremoto. Sulla targa del grande hangar, nella caserma della Finanza, c´è scritto che questo è l´«autoparco» della Fiamme gialle. Da lunedì mattina questo è il posto dei morti. Più di 180 bare, allineate una di fianco all´altra e poi altre bare dietro e davanti. Le vedi subito, le bare bianche. Sono troppo piccole, raccontano un dolore insopportabile per i genitori che sono rimasti. L´hangar è diviso in due lati. Una distesa di bare a destra, una distesa di bare a sinistra. Sulla destra ci sono tre bare dei piccoli, altre due a sinistra. E ci sono altre sette bare bianche, per ragazzi che erano in prima media o appena più grandi. Bisogna avvicinarsi con cautela, all´hangar delle bare. forte l´emozione provocata da un autoparco trasformato in una cattedrale del lutto. Ci sono anche parenti che arrivano e poi non trovano il coraggio di entrare. I pochi che invece dicono: «Voglio vederlo subito», e dicono un nome, un cognome, una data di nascita, vengono fermati dagli psicologi con le tute gialle. «Signore, prima che lei entri, devo spiegarle alcune cose».
C´è un uomo in divisa che, sui gradini che porta all´hangar, annuncia un nome con un altoparlante. «Maria A�». Ci sono i parenti in lutto, lì davanti. «Chi hanno chiamato?». Ecco due persone che entrano. Hanno il compito più terribile, il «riconoscimento della salma». Appena dopo l´ingresso, sembra ancora di essere a un concorso. Tre tavoli da una parte, cinque dall´altra. A destra i medici legali, i poliziotti della scientifica, uomini e donne della Finanza. A sinistra gli impiegati del Comune. Sono lunghe, la pratiche. Ma chi viene chiamato con l´altoparlante si è gia seduto a tutti e due i tavoli, adesso deve «vedere». I finanzieri e gli psicologi stanno vicini a chi sta facendo, con una cinquantina di passi, il viaggio più pesante della sua vita. Pronti a reggere chi in un momento può sentirsi stroncato dalla disperazione.
«Ecco, signora. La bara è questa». Un coperchio viene sollevato. C´è un grido subito soffocato. C´è una preghiera. Ci sono le lacrime. Dopo, solo dopo, le poche parole. «Sì, è lui». «Credo, sì, credo che sia la mia Francesca». Non si possono mettere fiori, in una camera ardente con quasi duecento morti. Si può piangere solo qualche minuto, davanti alla bara che subito viene coperta. Che succederebbe, se i genitori, i figli, i nonni di duecento morti si mettessero a piangere tutti assieme in un hangar? Si deve tornare ai tavoli, per mettere le firme sulle carte e poi si è accompagnati fuori. Ma non è abbandonato, chi esce dall´hangar. Soprattutto chi ha dovuto andare davanti a una bara bianca. Quella di Daniel, 7 anni. Quella di Andrea, 10 mesi. Quelle di Alexandro e Lorenzo, 5 anni. Quella di Alena�
Per fortuna, davanti all´hangar, c´è un grande piazzale. Qui si può camminare, da soli o abbracciati a un parente. Si può cercare un posto, dietro il carro funebre e un´ambulanza, dove piangere da soli. Qui si può cercare di ricordare ogni momento della vita di chi adesso è in una bara stretta fra troppe altre bare. Ogni tanto il cordone di finanzieri che sta davanti al portone aperto si apre e dal capannone esce un carro funebre. Ci sono famiglie che non ce la fanno, ad aspettare i funerali solenni, pagato dalla Stato, che si terranno forse sabato. Vogliano portare via i loro cari, perché Filippo, Anna, Domenica, Luana, Stefania e tutti gli altri tornino ad essere Filippo, Anna, Domenica, Luana, Stefania e non solo nomi scritti a mano su una delle quasi 200 bare. C´è un´ambulanza, a pochi metri dall´hangar. Ferruccio Urbani, soccorritore della Protezione civile di Torri in Sabina, è qui da stamattina. «Abbiamo dovuto dare una mano una decine di volte. Cali di pressione, collassi� Vengono all´ambulanza solo se si sentono davvero male. Non vogliono fare vedere a tutti la loro disperazione». Ci sono fogli scritti a mano, sul muro a fianco del portone. I nomi di chi è stato ufficialmente riconosciuto viene cancellato con una riga. Non c´è un Dio solo, davanti all´hangar delle bare. Nel cortile ci sono le suore Clarisse di clausura che pregano Gesù Cristo per la loro madre superiora. C´è la moglie di Refik che invoca Allah perché protegga lei ed i figli rimasti soli. Le donne e gli uomini con la tuta gialla, gentilmente, seguono chi è costretto alla processione del dolore. «Cerchiamo di fare capire - spiega Rina Maria Galeaz, psicologa arrivata da Milano (fa parte di Psicologi per i popoli) - che siamo vicini a chi sta male». C´è una scuola anche per contenere il dolore. «Con calma, spieghiamo cosa succede qui. Vogliamo che capiscano dove sono e siano preparati a ciò che si stanno per fare. Il momento del riconoscimento è il più delicato». Si accendono altre luci nell´hangar, all´ora del tramonto. E per le piccola bare bianche ci sono le lacrime di tutti, anche di chi entra già carico di un dolore tutto suo.