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 2009  aprile 08 Mercoledì calendario

RICOSTRUIRE LONTANO. NELLA NEW TOWN


L’idea di una città nuova, tra questa gente devasta­ta dal sisma, non passa inosser­vata. Berlusconi usa il termine in­glese, new town, ma il messag­gio che passa è quello della tradu­zione letterale italiana: e una nuova città qui, in queste ore, si­gnifica una nuova speranza, qua­si una nuova vita. Tanto che cir­colano già ipotesi, anche se a dir poco premature, sul luogo: c’è chi dice Coppito, frazione vicino all’aeroporto.

Ma in ogni caso perfino il sin­daco Massimo Cialente, allo stre­mo dopo giorni ininterrotti di do­lore e lavoro, perfino lui, primo cittadino del Pd, non se la sente di chiudere, di dire no, di sbatte­re la porta in faccia agli investi­menti. Ha molte perplessità, cer­to, ma ripete «valuterò», dice che «è da tenere in considerazio­ne, da capire bene».

Le parole del presidente del Consiglio annunciavano «la pri­ma new town del Piano casa» vi­cino «all’Aquila vecchia». Ma poi che ne sarebbe del centro stori­co? Si svuoterebbe? Finirebbe per essere abbandonato? Il dibattito fa discutere architetti, urbanisti, ingegneri. E politici, ovviamente: dicono tutti no, o quasi, dai Co­munisti italiani all’Udc, dai Verdi al Pd.

Berlusconi ha detto poche pa­role, l’altra sera: la new town «può essere costruita vicino al­l’Aquila vecchia, un insediamen­to da far sorgere accanto al cen­tro storico così da dare continui­tà alla realtà abitativa e alle radici del posto». L’idea, urbanistica­mente parlando, «è vecchiotta’ come spiega uno degli architetti più affermati di questo territorio, il settantaseienne Giuseppe San­toro – e può essere considerata purché nel rispetto della storia, che non può essere né abbattuta né sostituita».

 legata alla ricostruzione di Londra, l’idea, dopo la Seconda guerra mondiale, anno 1945. «Sa­rà anche vecchia – dice il presi­dente regionale di Ala assoarchi­­tetti, Maurizio Sbaffo – ma le fra­zioni di questa città sembrano fat­te apposta per questo progetto. Di certo, Berlusconi non pensi di venire qui a costruire Milano2: se questo è ciò che intende fare, ri­nunci.

Se invece l’obiettivo è quello di abbattere e ricostruire le parti degradate, quelle di un’edilizia commerciale e di scar­sa qualità, allora se ne discuta».

Il mondo politico ha già comin­ciato a discutere. Gli ambientali­sti di Legambiente hanno boccia­to l’annuncio del governo: «Non è il momento per strumentalizza­re la tragedia lanciando proclami di new town». L’Udc ripete il con­cetto, ma con più sarcasmo: «Noi diciamo di no, non vogliamo l’Aquila2». Anche colui che con Veltroni è stato ministro ombra dell’Ambiente, cioè Ermete Rea­lacci del Pd, boccia il progetto: perché, spiega, «costruire una cit­tà accanto a quella danneggiata dal terremoto è idea sbagliata. In­vece, credo sia necessario rico­struire L’Aquila lì dov’è, dov’era da secoli». Anche i Verdi, con l’ex capogruppo alla Camera Angelo Bonelli, sono critici: « sbagliato pensare a una new town a L’Aqui­la. Ciò che bisognerebbe fare, senza esitazioni, è rifare il centro storico. Per un motivo semplice: fa parte del cuore della nazione».

E il no all’idea di Berlusconi unisce due realtà lontanissime tra loro, Comunisti italiani e La Destra di Francesco Storace. I compagni la bocciano come «pu­ra e semplice propaganda, niente di più», i neri ribadiscono che «la città deve rinascere nel suo cen­tro storico».

Insomma: chi non è al gover­no, dice di no. Il sindaco della cit­tà è preso dal dramma di questi giorni, e ripete che bisogna «rico­struire, restaurare, consolidare. A noi serve un contributo impor­tante, svariati miliardi. Si discuta dell’idea, la valuteremo». Anche Nicola Amorosi, dirigente del set­tore opere pubbliche, è perplesso ma non chiude: «Ciò che bisogne­rebbe fare è girare edificio per edificio, prima di decidere cosa fare. Di certo, le nostre 68 frazioni sono quasi tutte danneggia­te... ».

«L’idea della new town è per­corribile – dice l’architetto San­toro – ma con quella condizione imprescindibile, rispettare la sto­ria del luogo. Il nostro impianto urbanistico risale all’epoca an­gioina, ai primi anni del 200. Pos­siamo anche considerare la pro­posta di Berlusconi, ma purché essa contenga il necessario rispet­to per questa città».

Maurizio Sbaffo non ha dubbi: «Parliamo della new town, ap­profondiamo, studiamo. Ciò che è fondamentale, però, è che si co­struisca, o si ricostruisca, seguen­do i criteri più avanzati». La pau­ra è che si ripetano gli errori del passato: «Molti palazzi crollati in questi giorni – allarga le braccia il dirigente del settore opere pub­bliche del Comune – erano nuo­vi, costruiti venti o trenta anni fa. Sono andato a vedere: sono saltate le tamponature tra travi e pilastri...».

Nel dibattito scatenato dalla proposta di Berlusconi intervie­ne anche don Pietro Bez, parroco di Longarone durante il disastro del Vajont, anno 1963: lui ricorda che qualcuno aveva ipotizzato di costruire Longarone altrove, ma altrettanto bene non dimentica «la sollevazione popolare che si scatenò, perché la gente vuole tornare sulle proprie origini, sul luogo dove c’è il ricordo dei mor­ti ».

Invece Roberto Silvestri, l’ar­chitetto genovese che ha proget­tato piazze in molte zone d’Italia, dice sì, lui è favorevole. Ma forse bisognerà attendere prima di ca­pire quale strada sia meglio se­guire, bisognerà valutare con at­tenzione dopo che i lutti di que­sti giorni avranno lasciato il po­sto alla voglia di ricostruire. Per­ché adesso, in queste ore, L’Aqui­la è ridotta così: «Non sono più agibili le sedi della prefettura, della questura, della Provincia e del Comune, e anche le scuole, non ne possiamo riaprire nean­che una». Il sindaco aggiunge an­che altre parole, per spiegare il momento: «Non c’è neanche una chiesa agibile per la Pasqua, e a noi servono aiuti, aiuti, aiu­ti ».