Corriere della Sera 31/3/2009 pagina 35, 31 marzo 2009
Sergio Romano VALORE DEL SOLDATO ITALIANO TRA REALT E LEGGENDA Corriere della Sera, venerdì 3 aprile Condivido la proposta di parlare di Guillet nelle scuole
Sergio Romano VALORE DEL SOLDATO ITALIANO TRA REALT E LEGGENDA Corriere della Sera, venerdì 3 aprile Condivido la proposta di parlare di Guillet nelle scuole. Secondo uno studio americano, «A call to heroism», oggi i giovani sono alla ricerca di eroi a cui ispirarsi e in assenza di modelli validi raccattano quelli che la moda offre loro. Ben venga quindi il ricordo di chi ha onorato l’Italia, ma non è solo questo il tema. Di eroi non difetta l’Italia, ma di vittorie ne conta poche. Guillet è stato eroe solitario, eccezione alla regola. Perché questo avviene? Secondo Machiavelli nel battersi gli italiani da soli primeggiano, ma perdono quando si mettono assieme. Il problema è l’Italia, non la carenza di virtù militari dei suoi. Pochi giorni fa due generali mi hanno detto «oggi tutti rispettano i soldati italiani». Confermo, per fonti estere di prima mano, ma nei primi quarant’anni della Repubblica non l’avrebbero detto. A «sdoganare», in Patria e fuori, i soldati sono stati loro stessi, il loro sapere misurarsi in impegni oltremare rischiosi e difficili. Anche di loro quindi gioverebbe parlare a un popolo in crisi d’identità e sfiduciato, pur senza farne modello di patrie virtù come fece Adriano con i suoi legionari. Perché però sia proficuo l’incontro fra cittadini e soldati il loro orgoglio solitario non basta, occorre che questi ultimi sappiano che il Paese li apprezza e sostiene. Senza un’Italia forte e tenace alle spalle che cosa mai motiverebbe un soldato? Osserva lo storico John Keegan: «Nella Prima guerra mondiale, gli italiani si sono battuti con altrettanto valore di alleati e nemici, ma con inspiegabile rassegnazione». Rassegnazione, diffusa anche nella Seconda guerra mondiale, come nel caso, non unico, di Cefalonia. Dibatterne, scoprirne le cause aiuterebbe gli italiani a comprendere non solo i soldati ma anche se stessi. Non crede? Luigi Caligaris, Roma Caro Caligaris, La cattiva fama degli italiani sul campo di battaglia cominciò a diffondersi in Europa dopo la calata di Carlo VIII nella penisola e le terribili guerre che la straziarono da allora per parecchi anni. Machiavelli ne era consapevole e dedicò all’argomento alcuni capitoli del «Principe». Sostenne che il maggiore vizio militare degli Stati italiani era l’uso di milizie mercenarie, e fece di queste, nel capitolo XII, un ritratto spietato: «Dico adunque che (...) le mercenarie e ausiliarie sono inutile e pericolose: e se uno tiene lo Stato suo fondato in sulle arme mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, sanza disciplina, infedele: gagliarde fra gli amici, tra e nemici vile: non timore di Dio, non fede con gli uomini; e tanto si differisce la ruina quanto si differisce lo assalto; e nella pace se’ spogliato da loro, nella guerra da’ nimici. La cagione di questo è che non hanno altro amore né altra cagione che le tenga in campo che uno poco di stipendio, il quale non è sufficiente a fare che vogliono morire per te. Vogliono bene essere tua soldati mentre che tu non fai guerra, ma come la guerra viene o fuggirsi o andarsene». Non bastava naturalmente che le milizie fossero nazionali anziché in tutto o in parte straniere. Occorreva anche e soprattutto che i soldati sapessero di essere guidati da un principe forte e risoluto, capace di sconfiggere l’Italia delle fazioni, dei particolarismi, dei patriottismi municipali, degli egoismi familiari e tribali. Credemmo che l’Italia unitaria avrebbe fatto il miracolo, ma le tre sconfitte dei primi 35 anni del Regno (Custoza, Lissa, Adua) e la rottura del fronte a Caporetto nel 1917 ebbero l’effetto d’installare nel corpo della nuova nazione quella combinazione di scetticismo e auto- denigrazione che è ancora oggi uno dei suoi vizi peggiori. Gli uomini di governo ne erano consapevoli e Mussolini, in particolare, sperò che qualche trionfo militare avrebbe ridato agli italiani la fiducia in se stessi. Ma la leggerezza con cui gettò il Paese nella Seconda guerra mondiale produsse, come sappiamo, l’effetto opposto. Credo anch’io, caro Caligaris, che una nuova generazione di militari abbia appreso le lezioni del passato e dato alle forze armate italiane, durante gli ultimi vent’anni, una maggiore credibilità. Dopo avere lungamente e inutilmente resistito all’abolizione della leva, i vertici militari hanno saputo gestire la transizione e inviare all’estero missioni che si sono distinte per serietà, buon senso, efficacia. Rimane naturalmente una prova, quella del fuoco, che governo e Parlamento, in questi ultimi anni, hanno cercato di evitare. Credo che le forze armate siano pronte ad affrontarla. Mi chiedo se il Paese e la classe politica siano altrettanto pronti.