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 2009  marzo 31 Martedì calendario

SERGIO ROMANO. CAMBIO AL VERTICE NATO LA GARA PER LA POLTRONA (2

lettori scrivono).
Corriere della Sera, martedì 31 marzo
Nel prossimo summit tra i capi di Stato e di governo della Nato una delle decisioni più importanti da prendere sarà quella relativa alla nomina del nuovo Segretario generale. Come da consuetudine tale carica verrà assegnata a un europeo, allo stesso modo in cui è un ufficiale americano ad essere designato quale comandante delle forze militari dell’Alleanza atlantica.
Ebbene, andando a scorrere l’elenco dei Segretari generali che si sono succeduti dal 1952 a oggi, si scopre che solo per una volta un rappresentante del nostro Paese, l’ambasciatore Manlio Brosio, è stato designato per ricoprire tale incarico e oramai quasi 40 anni fa. Appare quindi quanto meno strano che un Paese come l’Italia sia così poco influente da non poter aspirare a ruoli di primo piano all’interno della Nato, e ciò nonostante il fatto che dal 1971 la carica di Vicesegretario venga costantemente affidata a un nostro diplomatico. Che sia il prezzo da pagare alle nostre sempre più evidenti ambiguità nel campo delle politiche di sicurezza e di difesa e quindi a una sostanziale scarsa affidabilità?
Giovanni Martinelli

Giorni fa leggevo che la candidatura a segretario generale della Nato di Radoslaw Sikorski, ministro degli Esteri polacco, è caduta per non irritare Mosca. Poi ho letto che quella di Anders Rasmussen, premier danese, viene contestata da Recep Erdogan, premier turco, perché irriterebbe i musulmani. So che lei è un fautore della politica del «non irritare» ma spesso chi non irrita è anche di poco valore e alla fine per non irritare nessuno ci ritroveremo a capo della Nato, e non solo, persone di dubbio valore. Non crede che sia giunta l’ora di scegliere ciò che è meglio per noi e non ciò che è meglio per gli altri?
M. Vettor

Cari Martinelli e Vettor,
Prima di rispondere alle vostre domande ricor­do ai lettori che la Nato non è il Patto Atlantico, fir­mato a Washington nell’apri­le 1949. l’organizzazione militare del Patto, creata do­po l’inizio della guerra di Co­rea, quando gli americani cre­dettero nell’esistenza di una strategia comunista per la conquista del mondo e pro­posero di contrapporle una organizzazione militare inte­grata, diretta da uno stato maggiore che avrebbe studia­to la minaccia e predisposto i piani necessari alla difesa. Fu quello il momento in cui fu deciso che l’organizzazio­ne avrebbe avuto un coman­dante supremo e un segreta­rio generale. Il comandante supremo sarebbe stato un americano (il primo fu Dwight D. Eisenhower) e il segretario generale un euro­peo. A ricoprire quest’ultimo incarico fu chiamato un ge­nerale e diplomatico britan­nico, Lord Ismay, che aveva lungamente prestato servi­zio in India, era stato stretto collaboratore di Churchill du­rante la Seconda guerra mon­diale e segretario di Stato per le relazioni con il Com­monwealth. Dopo di lui ven­nero Paul-Henri Spaak (bel­ga), Dirk Stikker (olandese), Manlio Brosio (italiano), Jo­seph Luns (olandese), Lord Carrington (britannico), Manfred Wörner (tedesco), Willy Claes (belga), Javier So­lana (spagnolo), George Ro­bertson (britannico) e Jaap de Hoop Scheffer (olandese). Se si trattasse di una gara olimpionica, il Regno Unito e i Paesi Bassi avrebbero la medaglia d’oro, il Belgio la medaglia d’argento e gli altri (Germania, Italia, Spagna) la medaglia di bronzo. Ma l’ar­gento belga è stato offuscato dalle dimissioni, un anno do­po la sua nomina, di Willy Claes, coinvolto in una que­stione di tangenti per la for­nitura di elicotteri Agusta al suo Paese quando era mini­stro dell’Economia. Nei mesi che precedettero la nomina di Claes e nella fase che pre­cedette la nomina del suo successore, il segretario ge­nerale fu temporaneamente un diplomatico italiano, Ser­gio Balanzino, che ricoprì per molti anni la carica di vi­ce- segretario generale.
Non credo quindi che l’Ita­lia, con un bilancio militare nettamente inferiore al suo ruolo strategico, sia sot­to- rappresentata. Qualche anno fa avrebbe potuto for­se candidare, con qualche possibilità di successo, Giu­liano Amato. Ma ho l’impres­sione che la Farnesina prefe­risca tenersi stretta per quan­to possibile la poltrona del vice-segretario generale: una posizione a cui è possibi­le destinare un diplomatico di carriera anziché un uomo politico. Non credo, del re­sto, che quella del segretario generale sia una funzione po­litica. Come hanno dimostra­to i mandati di Solana e de Hoop Scheffer, l’uomo che ri­copre la carica deve essere gradito agli Stati Uniti ed è sempre, in ultima analisi, l’esecutore di una politica prevalentemente decisa a Washington. Non si tratta quindi, caro Vettor, di sce­gliere un leader, ma un uo­mo esperto di relazioni inter­nazionali, simpatico al mag­gior numero possibile dei suoi futuri interlocutori e in­viso al minor numero possi­bile di quelli con cui dovrà trattare. Tutto qui.