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 2009  aprile 01 Mercoledì calendario

IL CORPO NON E’ PIU’ MIO E NON LO GESTISCO IO


Quando non sono solamente gli ingegneri dell’ecologia o dell’alimentazione bio che ci dicono come vivere per il nostro bene e per il bene del corpo collettivo, ma anche i rischiologi, gli economisti, i terapeuti della televisione, gli allenatori sportivi, i sessuologi, i professori di medicina, i politici, la direzione delle risorse umane, la famiglia, allora il nostro corpo non è più nostro». Se vivesse in Italia, François Cusset potrebbe aggiungere anche che persino la morte non è più nostra madello stato. Lo aggiungiamo noi, perché è esattamente quello che succederebbe se venisse approvata quella che, con uno sgradevole eufemismo, viene chiamata legge sul testamento biologico e che in realtà nega di fatto l’oggetto di cui dice di occuparsi. Il sociologo e politologo francese lo sa e ci dice chiaramente: il tuo corpo non ti appartiene. Non ti appartiene perché è del mercato. Perché il nostro corpo costa troppo, è un «bene» da ottimizzare. E ci parla di «obbligo alla salute», affermandoche, oggi, chi osa derogare all’imperativo - come i fumatori, i bevitori, chi si alimenta male - indebolisce l’economia nazionale, che il nostro corpo costituisce un «capitale salute »da amministrare al meglio a favore del contribuente. Professor Cusset, cosa intende quando parla di obbligo alla salute? «In Francia la gestione della sanità è di tipo imprenditoriale, il che significa concepire la salute come un capitale individuale, da gestire come un capitale finanziario, ufficialmente a proprio beneficio, ma la cui utilità è di fatto generale, collettiva. Il tutto per far sì che un lavoratore sia più efficiente, più produttivo, insomma in buona salute per risultare redditizio per la società. Ma il cittadino può anche danneggiare l’economia nazionale». Ci spiega in che modo? «Perché si può ammalare o provocare delle malattie - con il fumo passivo per esempio. Quindi minaccia l’economia della salute, la sicurezza sociale, le finanze pubbliche». Non è normale che si cerchi di stare bene? «Certo, quello che sottolineo è il doppio messaggio che ci viene dalle istituzioni. Da un lato - e lo rilevo con ironia - cimandanoun appello a gestire la nostra salutecomeun capitale, dunque viene usata una metafora economica diretta. Dall’altro però ci dicono che questa gestione è dovuta perché è per il bene di ognuno di noi: è quindi un messaggio ”amorevole” da parte di un liberalismo ”buono”, ma di fatto prevale l’idea che gestendo male la propria salute si fa correre un rischio all’impresa e all’economia nazionale». LeiprendespuntodalpensierodiFoucault sullo «sguardo medicale» come componente della nostra società di controllo. Un’analisi di trent’anni fa può essere ancora attuale? «Oggi c’è un consenso unanime sull’obbligo imperioso di proteggere la propria salute per l’economia del lavoro, per l’efficienza del lavoro. La differenza è che trent’anni fa le analisi di Foucault erano marginali e i ministeri e le pubbliche amministrazioni che approntavano i primi provvedimenti sulla salute, lo facevano con molta prudenza dicendo: ”Attenzione, non calpestiamo le vostre libertà individuali”, e affermavano ad esempio che si poteva bere un po’ di alcol, si poteva fumare non superando certi limiti. Abbiamoassis t i t o i n s e g u i t o a una ”radicalizzazione” di questo discorso che proibisce ormai qualsiasi deroga per assecondare quest’obbligo della salute». Nel suo saggio «La décennie» ha definito gli anni ”80 unn incubo senza altra prospettiva alternativa a quella della sottomissione alla realtà economica e all’emergenza di un nuovo capitalismo, basatasulconsumismoculturale e «mediatico», in cui qualsiasi tipo di contestazione sarebbe stata impossibile.Nestiamopagandoancora il prezzo?» «Sì, perché la produzione e la realizzazione delle idee hanno cambiato ruolo.Untempo l’attività intellettuale svolgeva due funzioni, spesso non congiunte: una scientifica, di produzione universitaria della ”verità”, e una critica, che sfidava il potere in nome degli oppressi. A partire dagli anni ”80, con il sorgere di un nuovo genere di intellettuale che vende i propri servigi al potere, nasce, da un lato, l’’esperto”, lo psicologo comportamentale, per il quale non esiste più lotta di classe, perché sostituita dai ”socio-stili” e dalle sofferenze psichiche, e dall’altro il moralista ”antitotalitario”, saggista di successo, quali i protagonisti intellettuali degli anni ”80, i moralisti antimarxisti che osannavano il presidente americano Ronald Reagan. E con il tramite dei media, la propaganda di questi ”intellettuali di servizio” viene a svolgere improvvisamente un ruolo politico diretto, che consiste nell’annullare le contraddizioni e nel ridurre al silenzio qualsiasi alternativa. Segnalounparadosso di quegli anni in cui si è decretata la morte delle ideologie: mai gli intellettuali, o almeno i più ideologi fra essi, erano stati così chiacchieroni». Comerapportalesueaffermazionisugli anni ”80 al recente discorso sulla salute? «Purtroppo esistono degli argomenti chenon vengonopiù ripresi in senso intellettuale e fra questi situo la salute. Al contrario di quanto avveniva negli anni ”70, in alcuni ambienti in cui esistevano comunque l’antipsichiatria, la critica dell’eccesso medicale, ilboomdelle medicine alternative, adesso riscontriamo soltanto un consenso sull’obbligo di conservazione della vita. Riscontriamo anche un consenso sul liberalismo, non nel suo significato di sistemaeconomico che favorisce i mercati, ma in quello della produzione, della gestione, della conservazione della vita». Eppure siamo ossessionati dal corpo... è una mania contemporanea. Ci hanno influenzato gli Stati Uniti? «Esistono due forme d’influenza statunitense. Una, direi superficiale ma molto efficace, che ritroviamo nei mass-media, nella pubblicità, nel mito del corpo muscoloso, sportivo, femminile perfetto; e un’altra, più profonda, che ha origine nel capitalismo nuovo, quello «biopolitico », che esorta i consumatori alla creatività piuttosto che alla passività, che spinge i lavoratori a superare le restrizioni, le barriere, e a emanciparsi con il lavoro. Questo discorso, definito ”anarcocapitalistico”, è nato negli Usa negli anni ”60, opposto sia al capitalismo industriale, familiare, all’europea, sia al capitalismo massificato, ”desinvidualizzato” all’asiatica. In Francia l’apparizione di questo modello risale all’inizio degli anni ”80, quando la California veniva considerata il centro del mondo ».