Antonio Martino, Libero 3/4/2009, 3 aprile 2009
IL CONTO ALL’ESTERO E’ LA SALVEZZA
Si va diffondendo sempre più fra ”quelli che contano” la tendenza ad addossare gravi responsabilità, specie in relazione alla crisi in atto, ai ”paradisi fiscali”, a quei Paesi cioè che hanno regimi tributari meno onerosi per i contribuenti. Che ai governanti l’esistenza di paradisi fiscali dia fastidio è facilmente comprensibile: quei Paesi, infatti, ove gli altri Paesi esagerassero con l’imposizione, finirebbero per accogliere capitali in fuga dagli Stati che eccedono col torchio fiscale. Stando così le cose, l’esistenza di Paesi con regimi fiscali tollerabili finisce col costituire un vincolo per gli altri Paesi, che non possono abusare della loro potestà impositiva, pena la fuoriuscita di capitali che emigrano verso ambienti meno ostili. Tuttavia, se questo spiega perché i detentori del potere detestino i paradisi fiscali, spiega anche perché la loro esistenza costituisca un elemento positivo del nostro mondo. La propensione di tutti i governi, niente affatto esclusi quelli democratici, è di tassare e spendere per acquistare consenso.
In quasi tutti i Paesi del mondo il rapporto fra le spese pubbliche ed il reddito nazionale è aumentato vertiginosamente nel corso del XX secolo e lo stesso vale per la pressione tributaria. Come altra volta ricordato, nel 1900 la spesa pubblica assorbiva il 10% del pil, nel 2000 ne portava via la metà. L’incidenza sul reddito delle spese pubbliche è aumentata di ben cinque volte in un secolo. La spiegazione del fenomeno è semplice ed è stata magistralmente illustrata da Anthony de Jasay, il massimo filosofo sociale vivente, nel suo capolavoro The State. L’autore analizza in modo rigoroso ed ineccepibile le ragioni per le quali lo Stato ha una tendenza ad espandersi ininterrottamente; pessimisticamente, l’ultimo capitolo del suo libro è intitolato ”la piantagione”, una situazione in cui saremo tutti di proprietà dello Stato. Fintantoché i politici useranno i nostri soldi ”per fare del bene”, nella convinzione che l’operazione sia utile ad acquisire loro consenso, la spesa pubblica e le tasse continueranno a crescere senza sosta. A nulla, secondo de Jasay, valgono i vincoli costituzionali perché «una cintura di castità con la chiave a portata di mano può solo ritardare ma non impedire che le cose riprendano il loro corso naturale».
L’esistenza di Paesi con regimi fiscali favorevoli è, quindi, straordinariamente importante per i cittadini di tutti gli altri Paesi perché rappresenta un efficace deterrente alla loro propensione di tartassare i contribuenti. Intendo dire che la concorrenza costituisce sempre il meccanismo più efficace di contenimento e controllo del potere. Se il numero di venditori è elevato, nessuno di loro può strafare perché sa che i suoi clienti si rivolgeranno a venditori meno esosi. Se gli acquirenti sono molti, nessuno di essi può sfruttare il venditore imponendogli prezzi da confisca; se ci provasse, quello si rivolgerebbe ad un altro acquirente meno avaro. Se c’è concorrenza di politiche fiscali, nessuno Stato può esagerare perché sa che i suoi contribuenti andranno in Paesi meno ingordi o facendo emigrare i propri capitali.
per queste ragioni che, trovandomi così in dissenso col mio amico Mario Monti, mi sono sempre opposto alla armonizzazione fiscale in Europa. Quella armonizzazione si sarebbe anzitutto realizzata innalzando le aliquote più basse per uniformarle a quelle più alte, con conseguente aumento della fiscalità in tutta l’Unione Europea. Non solo, ma un’Europa nella quale tutti i Paesi avessero lo stesso regime fiscale sarebbe priva di concorrenza fra sistemi tributari e quindi sprovvista di quel vincolo agli abusi del fisco che solo la concorrenza fra politiche tributarie diverse può garantire. Per questo, l’accanimento dei grandi del mondo contro i ”paradisi fiscali” mi preoccupa: se scomparissero saremmo alla mercé delle propensioni spenderecce dei politici i quali, come i neonati, sono dotati di appetiti insaziabili da un lato e totale mancanza di responsabilità dall’altro! E sorvolo sul fatto che nessuna persona sensata, potendo scegliere, preferirebbe vivere in un inferno anziché in un paradiso fiscale.