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 2009  marzo 31 Martedì calendario

EUROPA, IL RISIKO DELL’AUTO


Molti venditori e pochi acquirenti in un mercato oltremodo difficile sul quale piovono aiuti di stato a scrosci decisamente irregolari. Se un marziano atterrasse in Europa deciso a misurarsi col Risiko dell’industria auto troverebbe un quadro di incertezza in cui si intrecciano i destini di chi getta la spugna e di chi ritiene che la partita sia ancora aperta, così aspetta di vedere se c’è spazio per qualche offensiva. «Fra due anni resteranno sei costruttori globali» è la profezia dell’ad Fiat, Sergio Marchionne. Lo sfoltimento è in corso, i giocatori cercano di reagire. Saab, Volvo e Opel sono sullo scaffale alla voce «for sale», Psa è nel girone di chi cerca partner, come la Bmw. Volkswagen, Renault e Daimler si guardano in giro, mentre il Lingotto è alle prese col dossier Chrysler e magari non solo.
Gli ultimi a tirare i dadi sono stati i francesi. La domanda del momento è se la staffetta fra Christian Streiff e Philippe Varin alla guida di Peugeot/Citroen darà un impulso all’alleanza di cui gli osservatori bisbigliano da tempo. Le indiscrezioni, puntualmente smentite dai diretti interessati, hanno soffiato sulla brace di un possibile patto con il Lingotto o con la Bmw. Ora, chiuso il 2008 con 343 milioni di rosso nette e 11 mila posti da tagliare, il gruppo transalpino non manda segnali precisi. L’ad uscente pensava a «un partner complementare». Più recentemente la casa ha dichiarato un’ambizione di indipendenza e, al contempo, mantiene aperta ogni porta.
Pesa il ruolo della Republique e del presidente Nicolas Sarkozy. Il quale, dopo aver staccato un assegno a tasso agevolato da 7 miliardi per le quattro ruote nazionali, pare non vedere di buon occhio un matrimonio o anche solo un fidanzamento delle sue protette. Così anche la Renault, declassata da Fitch alla strega della Psa, si tiene stretta la liaison con Nissan e spera che i contestati (dall’estero) soldi governativi - ovvero del suo azionista al 15% - l’aiutino a resistere alla tempesta. A domanda precisa, comunque, il patron della casa di Boulogne, Carlos Ghosn, è solito escludere qualunque progetto.
La realtà è che tutti parlano con tutti. E che i banca d’affari fanno il loro mestiere studiando e disseminando progetti di unioni teoricamente fattibili. In febbraio, s’è persino parlato di un patto a tre fra Fiat, Psa e Bmw. Senza seguito, ovviamente. L’ipotesi era costruita mettendo insieme le voci italo-francesi di cui sopra e il fatto che Torino e Monaco hanno firmato l’estate scorsa un protocollo di intenti per una collaborazione tecnica ancora in fase di approfondimento. Tutto qui. Anche perchè la casa bavarese garba agli amanti delle indiscrezioni. Tre settimane fa "Der Spiegel" le ha attribuito un flirt con la Daimler per uno scambio di quote del 7%, prospettiva rimasta sulle pagine patinate del settimanale. «Cooperiamo» è stato l’unico commento. A Stoccarda hanno nel frattempo dato il benvenuto a Aabar, un fondo sovrano di proprietà del governo di Abu Dhabi che ha acquisto il 9,1% del capitale per 1,95 miliardi diventando primo azionista della stella tre punte davanti ai rivali del Kuwait (7,1%). E’ una boccata d’ossigeno che consente di ragionare con relativa tranquillità. Cosa che sta facendo anche la Volkswagen, ormai in mani Porsche. Frau Merkel ha escluso apporti diretti di capitale, li ritiene politicamente controproducenti in vista del voto autunnale. Il che ci porta alla Opel. Quest’ultima è certamente in vendita e il suo futuro si intreccia con quello della casa madre Gm. Gli americani risultano pronti a liberarsene. L’azienda va male, il titolo è ai minimi dal 1933, gli esuberi si contano a migliaia. La situazione è tesa. Bmw ha chiarito che «non ci interessa». Chi compra? I politici tedeschi giurano che c’è la coda. In realtà l’unico intento manifestato, generico, proviene dallo sceicco del Qatar: «Investiremo con certezza nell’industria dell’auto tedesca nel buon momento e al buon prezzo».
Il problema è la concorrenza. Ford, unica pedina americana a non aver preso soldi da Obama, vuole liberarsi della Volvo, pare entro sei mesi, e a un prezzo compreso fra gli uno e due miliardi che potrebbero pagare i cinesi del gruppo Changan. Per la Saab, sovvenzionata come la sorella scandinava da Stoccolma, la holding General Motors avrebbe ricevuto manifestazioni di interesse da parte di cinque potenziali acquirenti, fra cui sarebbero ancora i cinesi. Le vicende si intrecciano. In un mercato perturbato troppe opportunità per chi vuole realizzare non sono una buona novella. Ma se qualcuno rischia la svendita, altri potrebbero chiudere un bell’affare. Sopratutto se il 2010 dovesse rimettere in moto l’economia come le previsioni - per il momento - continuano a indicare.