Sonia Oranges, il Riformista 1/4/2009, 1 aprile 2009
SOLO NEL 2008 37MILA IMMIGRATI SONO SBARCATI SULLE NOSTRE COSTE
E’ difficile sapere quanti sono i barconi affondati a largo delle coste libiche domenica scorsa, quasi impossibile per ora contare le vittime. Due, forse tre imbarcazioni, cariche di disperati che speravano di raggiungere l’Italia, non hanno retto alle raffiche di vento. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, i dispersi sarebbero 200. Il ministero dell’Interno libico ha fatto sapere che la guardia costiera sta cercando i sopravvissuti in mare. Per ora ne hanno trovati 23, ma con loro hanno recuperato anche 21 corpi senza vita. Ma ci sono altri sopravvissuti. Sono i 350 clandestini che erano a bordo di un’altra imbarcazione, soccorsi da un rimorchiatore italiano (di proprietà di una società campana e in servizio in alcune piattaforme petrolifere dello specchio d’acqua libico), intervenuto su richiesta di Tripoli, che ha agganciato il barcone e l’ha riportato nel porto libico. Mentre s’empre domenica, molto più a largo, altri 250 migranti erano soccorsi da una motovedetta italiana e portati a Lampedusa.
Un vero esodo, con destinazione la Sicilia. Nel 2007 l’Italia ha visto sbarcare 20.455 irregolari, l’anno scorso la cifra è lievitata a 36.951 immigrati, e per quest’anno le previsioni sono ancora più fosche, come confermava ieri il commissario europeo per la Sicurezza, Jacques Barrot. «La tendenza è all’aumento e non alla diminuzione dei flussi», ha detto il portavoce Michele Cercone.
In attesa dell’Europa, però, a doversi confrontare con il problema è l’Italia. Che aspetta la Libia e l’attuazione del famoso (ed economicamente assai conveniente) accordo in cui, tra l’altro, è previsto il pattugliamento congiunto delle acque internazionali. Il ministro dell’Interno Roberto Maroni ieri sottolineava che «noi controlliamo coloro che arrivano nelle acque di competenza italiana, auspichiamo che gli stessi interventi li facciano anche altre autorità, tra cui la Libia, per evitare queste tragedie». Assicurando, nonostante la frecciata, che l’accordo il pattugliamento congiunto prenderà il via il 15 maggio: «Non ho motivo di dubitarlo». Beato lui, visto che l’esperienza degli ultimi mesi racconta una pratica diversa, da parte libica. A cominciare dal terribile fine anno che ha visto a Lampedusa 1500 nuovi sbarchi in soli tre giorni. All’epoca, le fonti diplomatiche giuravano che i libici sarebbero stati pronti a partire a inizio gennaio. A gennaio, però, Lampedusa era al collasso e Maroni annunciava entro la fine dei mese l’azione del progetto. Gennaio è trascorso e, all’inizio di febbraio il ministro assicurava che per metà mese si sarebbe costituita un’unità di coordinamento italo libica per il pattugliamento. Che però, a fine marzo, ancora non è cominciato. Ma che, assicura sempre Maroni, prenderà il via il 15 maggio. Perché questi continui rinvii? I suoi collaboratori negano che ci siano stati rinvii e confermano che l’accordo con i libici è defmito. Mancano solamente alcuni «espletamenti» che però «non è determinante specificare».
Intanto, però, sulle coste italiane continuano a sbarcare i clandestini. Ieri la polizia ha arrestato due egiziani accusati di essere gli scafisti che hanno portato 150 immigrati nel Ragusano, domenica scorsa. Mentre a largo il mare uccideva uomini e speranze.
E, visto che oltre alla sbandierata «cattiveria» e alla trasformazione di alcuni centri d’accoglienza in centri di detenzione (in attesa dei fondi per aprirne altri), la strategia di Maroni si fenna all’accordo libico, tutti ora gliene chiedono conto. A partire dagli alleati del Mpa. leii, il segretario siciliano Lino Leanza chiedeva di anticipare il termine del 15 maggio? «Non possiamo più permetterci tragedie della disperazione come quelle cui stiamo assistendo in queste ore», mentre il Pd e I’Idv sollecitavano il Governo a riferire in aula della tragedia consumatasi a largo delle coste libiche.
Sullo sfondo, la velata condanna del mondo cattolico «Seguiamo con grande pena quello che le cronache riportano», ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Mariano Crociata, ricordando che gli immigrati vanno «accolti e accompagnati, trattati sempre come persone, con tutte le attenzioni e le garanzie nazionali».