Marco Damilano, L’Espresso, 2 aprile 2009, 2 aprile 2009
MARCO DAMILANO PER L’ESPRESSO 2 APRILE 2009
Franceschini allo slalom Il no di Prodi. La corte a Saviano. Le lamentele di D’Alema. Il nodo Cofferati. Il segretario del Pd si avvicina alle europee tra mille ostacoli. Con un obiettivo: il trenta per cento
Il primo nome in agenda è il pezzo più pregiato. Dario Franceschini lo ha corteggiato per giorni: "Romano, saremmo orgogliosi di candidarti". Una richiesta che ha lusingato il professor Prodi, una rivincita personale. Fino a poche settimane fa il suo era un nome impronunciabile nel Partito democratico, consegnato all’oblio. La decisione dell’ex premier di riprendere la tessera del Pd dopo le dimissioni di Walter Veltroni ha segnato la fine di un gelo durato un anno.
Così, Franceschini ha proposto al Professore quello che un mese fa sarebbe stato impensabile, una candidatura alle elezioni europee. Alla fine, ha incassato la promessa di partecipare a qualche iniziativa elettorale. Meglio di niente, e poi un Prodi in lista ci sarà comunque, il fratello Vittorio, europarlamentare uscente.
Il secondo nome è quello di Walter Veltroni. Ma l’ex segretario non ha nessuna intenzione di buttarsi in una campagna elettorale così impegnativa, almeno per ora. I giudizi piovuti addosso sulla sua gestione del Pd dopo le dimissioni fanno male. Meglio passare la mano e saltare un giro.
Il terzo nome sottolineato in rosso sull’agenda di Franceschini è ancora più difficile da convincere dei primi due: lo scrittore di ’Gomorra’ Roberto Saviano, simbolo della lotta contro la camorra, da candidare a testimonianza dell’impegno del Pd sulla questione morale nella circoscrizione Sud, un collegio elettorale sconfinato che parte dall’Abruzzo e arriva in Calabria, dove il Pd rischia grosso anche per le sue ambiguità sul terreno del rinnovamento della politica e della battaglia contro la criminalità organizzata. Anche in questo caso Franceschini spera almeno di incassare un premio per la buona volontà.
Per il segretario a caccia di candidature eccellenti, "competitive", le elezioni del 7 giugno sono il banco di prova di una leadership ancora sotto esame. Dario suscita grandi entusiasmi negli ambienti più inattesi: "Pierluigi, hai visto?", ha gridato l’altro giorno con il popolare Castagnetti il vecchio Alfredo Reichlin, una pagina di storia del Pci togliattiano: "Per guidare questo partito serviva un democristiano!". Ma la sua effettiva capacità di guidare il Pd allo sbando è un punto interrogativo anche per una larga parte dell’elettorato di centrosinistra. Come dimostra il sondaggio Axis-Research pubblicato in queste pagine: tra gli elettori che si considerano di sinistra o di centrosinistra Franceschini ottiene in media una promozione striminzita, un 6,1 (nel totale del campione il voto scende all’insufficienza: 4,7). Rispetto al rinnovamento del gruppo dirigente del Pd, poco meno di un terzo ritiene che il leader di Ferrara riuscirà a cambiare in modo radicale le facce che guidano il partito, ma quasi la metà degli elettori di sinistra e di centrosinistra pensano che non riuscirà a fare niente o quasi. Lo stesso vale sulle possibilità di recuperare i voti perduti: un quarto dell’elettorato è fiducioso, per il 41 per cento è una mission impossible.
Sondaggi poco incoraggianti che si vanno ad aggiungere a quelli che arrivano ogni settimana sul tavolo del segretario democratico e che segnalano un Pd in timida ripresa, ma ancora lontano dall’obiettivo sperato, guardare da non troppo lontano la quota 30 per cento. Difficile raggiungerlo con i nomi che circolano per le liste alle europee. Nel 2004 nella lista dell’Ulivo si candidarono Massimo D’Alema, Enrico Letta, Pierluigi Bersani, più la sorpresa Lilli Gruber che raccolse oltre un milione di voti e superò anche Silvio Berlusconi.
Candidati forti, destinati a durare a Strasburgo lo spazio di un mattino, o quasi, per lasciare il posto a personaggi sconosciuti e gratificati di un pugno di preferenze. "Non deve succedere più", ha stabilito Franceschini: "Berlusconi metterà in lista i ministri, ineleggibili per legge. un imbroglio, noi lo denunceremo nelle piazze e per farlo presenteremo una squadra di personalità disposte a lavorare per cinque anni in Europa". E così alcuni big che erano disponibili a correre sono stati tagliati fuori dal regolamento del Pd: niente presidenti di regione o sindaci in carica, una norma studiata apposta per bloccare Antonio Bassolino che era pronto a buttarsi nella mischia, ma avrebbe fatto perdere migliaia di voti al Nord, e niente candidati civetta, buoni per raccogliere consenso e destinati a lasciare il posto a qualcun altro. Paletti e divieti sgraditi ai capicorrente: "Io sarei stato disposto a dare una mano, ma tutte queste limitazioni che ci siamo messi da soli mi sembrano eccessive", si è lamentato Massimo D’Alema.
Senza contare che, togli quello escludi quell’altro, per ora nella lista di Franceschini i trascinatori di folle scarseggiano. Nella circoscrizione Centro ci sono l’ex uomo macchina del Pd veltroniano Goffredo Bettini e la ex capo dell’ufficio propaganda della Dc Silvia Costa, che inventò nell’87 uno slogan elettorale destinato ad avere una certa fortuna qualche anno più tardi, ’Forza Italia’. In Lombardia corrono la popolare Patrizia Toia e l’ex sindacalista Cgil Antonio Panzeri. Al Sud l’ex leader della Cisl Sergio D’Antoni ambisce al posto di capolista per fare il pieno dei voti ex democristiani, gli ex Ds toccano ferro: "Con Vendola candidato della sinistra rischiamo un bagno".
E poi c’è da risolvere il caso più spinoso, la candidatura del sindaco di Bologna Sergio Cofferati. Il Cinese vorrebbe un posto nel Nord-Ovest, per motivi geografici e familiari: lui è lombardo, la compagna di Genova. Il Pd ligure, però, non ne vuol sentir parlare, la presidente del Piemonte Mercedes Bresso ancor meno: "Ma non doveva fare il papà?". Ancora più incavolato Piero Fassino, che per colpa di Cofferati sarebbe costretto a spostarsi nel Nord-Est, il collegio che raccoglie Veneto ed Emilia, dove gli ex Ds portano già il segretario del Pd emiliano Salvatore Caronna. Il derby Fassino-Cofferati, che tenne banco tra il 2001 e il 2003 quando il primo dirigeva la Quercia e il secondo la Cgil, torna di moda, questa volta in tono minore, per un seggio a Strasburgo.
Gli ex democristiani del Pd assistono allo scontro fratricida tra diessini senza intervenire. E Franceschini pianifica le prossime tappe: questa settimana un viaggio in Cile, per una riunione dei partiti del centrosinistra nel mondo, il suo esordio internazionale. Dal globale al locale: il 12 aprile sarà a Bozzolo, un minuscolo paesino della bassa mantovana, per commemorare i cinquant’anni dalla morte di don Primo Mazzolari, prete scomodo per la gerarchia ecclesiastica, pacifista ante litteram. Un "cattocomunista", lo definirebbe Berlusconi. "Don Milani se lo era già accaparrato Veltroni", scherza Castagnetti, uno dei più ascoltati consiglieri di Franceschini: "La sua forza è poter dire le cose che la base ex diessina sente come sue ma che i dirigenti post-comunisti non potevano dire per via del loro passato: la critica al mercato, all’America e al modello unico di sviluppo, la difesa della laicità dello Stato che in bocca a un cattolico suona meglio".
In più, c’è l’allarme democratico contro il berlusconismo, utile per trattenere voti in libera uscita verso Di Pietro o la sinistra radicale, considerato dal nuovo segretario un punto fermo della sua politica. "Sono angosciato, la destra in questo paese è disposta a qualsiasi avventura", si incupisce il deputato Francesco Saverio Garofani, amico di Franceschini da una vita. Ma c’è chi nel Pd spera che dopo le elezioni europee la pax franceschiniana si interrompa. "Fino al 7 giugno stiamo tutti lealmente con Dario", avverte il pugliese Francesco Boccia, legato a Enrico Letta, uno degli emergenti da tenere d’occhio se al congresso del Pd dovesse passare l’idea di un salto generazionale per la nuova segreteria. "Alle europee dobbiamo batterci per evitare di andare in serie B, il segretario lo sta facendo benissimo. Ma dopo dovremo tornare ad avere l’ambizione di governare questo paese. Altrimenti rischiamo di prendere il 25 per cento, avendo ucciso tutti i nostri potenziali alleati, e di consegnarci a un destino di minoranza strutturale". Ma questo è un problema di domani. Oggi primum vivere. Per Franceschini e per il Pd.