Roberto Bongiorni, Il Sole 24 Ore 29/3/2009, 29 marzo 2009
LIBANO, DOVE LE BANCHE NON CONOSCONO LA CRISI
La crisi finanziaria mondiale? I banchieri di Beirut sorridono. Bear Stearns, Lehman Brothers, Citigroup... Dai loro eleganti uffici nel centro città i tracolli delle grandi banche occidentali sembrano appartenere a un altro pianeta. In un mondo in cui la maggior parte delle banche lotta per mantenere i bilanci a galla, c’è un piccolo Paese in cui gli istituti di credito vantano performance senza precedenti. Il Libano, uno degli Stati più instabili politicamente, si è rivelato uno dei più solidi sul fronte finanziario. Il suo settore bancario, che aveva eletto la prudenza a regola del sistema, è stato premiato oltre le aspettative, sviluppando un’immunità al virus che sta mettendo in ginocchio il mondo finanziario: la mancanza di liquidità.
I dati relativi al 2008, l’anno che ha segnato l’inizio della crisi globale, sono difficili da contestare: l’attività consolidata del settore bancario libanese ha raggiunto i 94 miliardi di dollari, segnando un incremento del 15% sul 2007, un record. I profitti netti delle 58 banche (ma quelle che contano sono cinque) sono saliti del 25 per cento. Un altro record. E che dire dei depositi? Sempre nel 2008 hanno sfiorato i 78 miliardi (+15,6%). Per un Paese grande quanto gli Abruzzi, che conta quattro milioni di abitanti, non è poco. I prestiti concessi dalle banche al settore privato, l’incubo che non fa dormire gli imprenditori di mezzo mondo, sono altresì cresciuti a un passo sorprendente: +23% a 25 miliardi. Quanto alle riserve in valuta estera della Banca centrale, il balzo è stato ancora più evidente: +59,2% a 19,7 miliardi di dollari (in gennaio sono salite a 20,3). Anche lo scenario macroeconomico oggi appare solido. Se il debito pubblico e il deficit restano ingombranti - il Libano non è la Svezia - i consumi tengono, anzi, i venti della recessione qui non soffiano. L’afflusso netto di capitali, nel periodo gennaio-novembre 2008, è cresciuto del 55,3% a 14,5 miliardi di dollari, compensando il deficit commerciale dello stesso periodo (11,8 miliardi) e facendo registrare alla bilancia dei pagamenti un surplus di 2,7 miliardi. Dopo essere salito dell’8,5% nel 2008, secondo il Fondo monetario internazionale il Pil dovrebbe comunque crescere tra il 3 e il 4% nel 2009.
Verrebbe da dire: siamo sicuri che si tratta del Paese tante volte sul baratro della guerra civile? Il Paese dell’attentato all’ex premier Rafik Hariri, nel febbraio del 2005, della guerra tra Hezbollah e Israele dell’estate 2006, delle autobomba conto i parlamentari? Il Paese dove solo 10 mesi fa le milizie Hezbollah conquistavano con le armi il settore occidentale della capitale?
Business is Business. Pochi Paesi come il Libano riescono a mantenere politica e finanza su due binari paralleli. «Siamo abituati a convivere con le crisi - spiega Makram Sader, da 30 anni presidente dell’Associazione bancaria libanese - e negli ultimi cinque la crescita del settore bancario non è mai stata inferiore del 10% l’anno. Siamo un piccolo Paese ma aperto a un flusso di capitali potenzialmente illimitato».
Che a Beirut le cose non vadano affatto male lo si vede girando per le strade: i ristoranti sono affollati, i negozi pieni. Basti pensare che le vendite di auto, uno dei settori più in crisi nel mondo, lo scorso anno sono volate del 78 per cento. L’accelerazione delle importazioni di imbarcazioni private sembra irrealistica. Solo quelle italiane sono cresciute del 1.013 per cento. E chi si fida poco dei dati può limitarsi a osservare le centinaia di gru che increspano l’orizzonte di Beirut.
Ma da dove arriva tutto questo fiume di liquidità? In primo luogo dai libanesi residenti all’estero, meglio noti come "espatriati". Le rimesse nel 2008 hanno raggiunto sei miliardi di dollari. Sono quasi dieci milioni quelli che vivono fuori dal Libano (otto solo in Brasile). Non hanno mai reciso il cordone ombelicale che li lega al Paese d’origine. E nel 2008, spaventati dalla crisi, hanno dirottato i loro risparmi nel Paese dei cedri. «Hanno acquistato appartamenti lussuosi nel centro di Beirut per poi abitarci due settimane all’anno», commenta Guillaume Boudisseau, immobiliarista.
Le rimesse degli espatriati sono dunque la maggior fonte di entrate. «Tutto vero», precisa Nassib Ghobril, analista finanziario e capo economista della Byblos Bank, la terza banca del Libano. «La nostra politica attrae i libanesi espatriati. Il tasso di interesse su chi ha depositi in lire libanesi è mediamente del 7,5 per cento. Quella in dollari si aggira sul 3,5. Hanno trasferito qui parte dei loro depositi. Stiamo quindi assistendo a una graduale passaggio dalle riserve in dollari a quelle in lire libanesi». Byblos è un esempio della dinamicità delle banche locali. Lo scorso febbraio si è quotata a Londra e negli ultimi anni ha aperto sedi all’estero «In Sudan, Iraq, Kurdistan, Armenia, Siria, Nigeria», precisa Ghobril.
«Gli espatriati? Non c’è nessun Paese al mondo - spiega Makram Sader - che può contare un numero così elevato di businessmen all’estero in rapporto alla sua popolazione. Ma sono molte le ragioni che hanno mantenuto il nostro settore bancario fuori dalla crisi. Rispetto ad altri Paesi emergenti che hanno convertito i depositi in valuta estera, noi siamo obbligati a mantenere i nostri depositi in dollari, a meno che i nostri correntisti chiedano il contrario. Inoltre le nostre banche non hanno mai potuto creare al di fuori dei loro bilanci entità parallele e legali, come è accaduto all’estero, per usare i depositi e investirli in prodotti subprime. Non solo, guardiamo il rapporto tra Pil, 28 miliardi di dollari, e riserve valutarie, 20 miliardi. Nei prossimi anni sempre più banche si quoteranno nel nostro mercato».
Tra le altre fonti di entrate non sono poi da trascurare i grandi flussi di capitali provenienti da quei Paesi del Golfo Persico, tra cui Emirati Arabi, Qatar e Arabia Saudita, anche loro stretti dalla morsa della crisi finanziaria. Preoccupati del calo dei prezzi del greggio e dal crollo delle Borse, molti investitori si sono riversati in Libano. Uno scenario rassicurante, tanto che il prudente Fondo monetario internazionale, in un rapporto di marzo si esprime così: «L’economia libanese ha dimostrato una notevole resistenza alla crisi finanziaria globale. Il suo sistema finanziario non ha avuto esposizioni dirette ai titoli tossici e rimane molto liquido».
Non è però tutto oro quel che luccica. La battaglia contro la corruzione e la trasparenza non è ancora vinta. Il debito pubblico rappresenta il 162% del Prodotto interno lordo, mentre il deficit si allarga e dovrebbe assestarsi sul 12,55 del Pil. Per la maggior parte dei libanesi si tratta, in fondo, di problemi gestibili. A chi obietta che la crisi finanziaria potrebbe essere solo una questione di tempo, il governatore centrale Riad Salameh, uomo prudente per inclinazione, ci risponde con ottimismo: «Nel 2009 le nostre banche cresceranno ancora». «Prevedo una crescita dei depositi del 15% circa», spiega il capo economista della Byblos. «I profitti netti registreranno un incremento interno al 10%», gli fa eco Makram Sader. Saad Azhar, presidente della Blom Bank, la banca che macina più utili, è più cauto: «Per noi il 2008 è stato un anno record, con una crescita dei profitti a 251,6 milioni di dollari, ma credo che nel 2009 la crescita degli utili si fermerà sotto le due cifre. Anche i nostri profitti sono stati generati dalle nostre attività all’estero». La parola recessione è dunque bandita. Espatriati, investimenti diretti esteri, soprattutto dai Paesi del Golfo, ma anche turismo, un settore che nel 2008 ha registrato un record di presenze.
«Quest’anno ci attendiamo un calo delle rimesse. Potrebbe essere tra il 10 fino al 30 cento. Ma sarà compensato dalla riduzione dei prezzi delle commodities e dalla bolletta energetica», spiega il Governatore centrale. L’unica incognita è la politica. E quando i banchieri parlano delle elezioni del prossimo 9 giugno, con una nuova legge elettorale che potrebbe rivelare grandi colpi di scena, i sorrisi si smorzano e la cautela prende il sopravvento. Sanno che il voto potrebbe segnare una svolta. Nessuno sa però indicare in quale direzione.
UN’ECONOMIA IN BUONA SALUTE
+3%
Il Pil nel 2009
la crescita stimata dal Fondo monetario internazionale. Nel 2008 era stata dell’8,5%
+79%
Vendite di auto
l’incremento degli acquisti di auto nuove nel 2008
+40%
Consumi nel 2008
Secondo la Banca centrale del Libano i consumi saliranno anche nel 2010 ma a un tasso più ridotto
162%
Il debito
Il rapporto tra debito pubblico e Pil è ancora alto ma in constante calo