Domenico Quirico, La stampa 29/3/2009, 29 marzo 2009
E ORA SI SCOPRE UN SARKOZY GELOSO DELLA CASA BIANCA
Come diceva Talleyrand, un virtuoso del cinismo: «In politica non ci sono convinzioni, ci sono solo circostanze». Non bisogna sottovalutare il ruolo che può svolgere un sentimento come l’invidia. Proprio così: Nicolas Sarkozy è avviluppato da uno dei più insinuanti e pericolosi tra i vizi capitali. perennemente e prepotentemente invidioso, intravede ovunque avversari diabolici nel sottrargli quello che considera il premio più affascinante del potere: la popolarità, il ruolo di tenore. Dopo Fillon, la Merkel, Gordon Brown ora è invidioso di Obama. Perché lo ha retrocesso, gli ha rubato la battuta: dopo alcuni esaltanti mesi in cui era il ”wonder boy” della politica mondiale e i giornali di quattro continenti esaltavano la sua straordinaria novità politica, ora è un corista e nemmeno tanto intonato. Uno dei tanti. Come dice il socialista Moscovici: «Sarkozy crede di essere il signore del mondo, Obama non lo pensa ma lo è».
Questa invidia sta creando cigolii nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico alla vigilia del G20. un paradosso, nel momento in cui i due Paesi non sono mai stati tanto alleati, con il rientro della Francia nel comando della Nato dopo i decenni di orgogliosa sedia vuota. I due saranno, è chiaro, i protagonisti, e non è detto che si riservino i sorrisoni di quando Obama venne all’Eliseo ma era soltanto un candidato e non un presidente. Adesso Obama arranca nella crisi economica peggiore che l’America abbia conosciuto dai tempi di Roosevelt, sforna piani su piani di rilancio, indice di scarso successo. E nonostante questo rassoda la sua popolarità. Il presidente francese che è convintissimo di aver salvato la Francia da guai ancora più grossi, invece è malmenato da tutti. Padroni, sindacati, giornali, perfino da una parte del suo partito.
L’ammontare dei sussidi che ha raccattato per cercare di rianimare settori in coma come l’automobile e le banche gli ha fatto amaramente misurare la distanza che separa le sue velleità dai mezzi giganteschi (787 miliardi di dollari) di quello che lui continua definire un suo sosia americano, ossia uno che ha copiato bene lo slogan della ”rupture”. la matematica la quintessenziale nemica delle false grandeur. Per l’America la Francia resta un Paese secondario.
A indispettire Sarkò ha contribuito anche la cortesissima lettera che la Casa Bianca ha inviato a Chirac. Per l’attuale presidente tutto quello che serve a lustrare il blasone di chi l’ha preceduto è un attentato politico: la sua mitologia è costruita proprio sulla svalutazione del passato. Ciò che più fa stridere i rapporti resta comunque la ricetta per la crisi. Sarkozy, inflessibile nel distinguersi dal sistema che l’ha generata, ha avviato una (velleitaria) campagna per la rifondazione del capitalismo. Ovviamente quello speculativo, truffaldino, rapace e senza scrupoli, insomma per dirlo in una parola quello anglosassone e soprattutto americano: «La crisi è mondiale ma sappiamo benissimo da dove è partita» parole sue all’ultimo G20, novembre 2008.
Da quando ha indossato la divisa dell’anticapitalismo populista il presidente è stato costretto a assumere toni antiamericani. Adesso che il modello francese statalista sembra conoscere una seconda insperata giovinezza e che ha messo la testa a posto in politica estera, Sarkozy vuole essere inserito tra gli ”alleatissimi” che viaggiano in carrozza. Esige annunci che provino il suo ruolo di salvatore del sistema economico mondiale: regolamenti e controlli internazionali sui flussi finanziari. Misure indigesta a qualsiasi amministrazione americana. A Londra chiede appunto «un summit politico e non tecnico». Ma gli Stati Uniti, seppure festosi per il ritorno nella Nato (che comunque interpretano come una resa di un vassallo riluttante), vedono proprio nella Francia il capofila di quella linea che è loro fastidiosissima; ovvero il rifiuto di spalancare le porte al deficit per rilanciare i consumi e quindi l’economia. «Non ci accontenteremo che ci si dica ”circolate, non c’è niente da vedere”», ha detto Sarkozy, esattamente quello che si propongono gli americani. Fino alla minaccia lanciata nel discorso di Saint Quentin martedì scorso: «Non mi assocerò a un summit mondiale che decida di non decidere niente».
In programma c’è anche un vertice assai scenografico tra Carla e Michelle. La pace delle due dame, non sarebbe la prima volta.