Libero 29/3/2009, 29 marzo 2009
IL PIRATA PESCATORI, DA CASSIERE A MAGO DEL POKER
La storia di Massimiliano ”Max” Pescatori potrebbe benissimo essere la sceneggiatura di un film alla Frank Capra. Tipo ”La vita è meravigliosa”, o comunque quelli con un lieto fine assicurato, sullo sfondo degli Stati Uniti, terra da sogno se ce n’è una. Max, nel mondo del Texas hold’em, è un campione rispettato dagli avversari, e soprattutto fortissimo. I due titoli mondiali, conquistati alle World Series of Poker nel 2006 e nel 2008, sono lì a dimostrarlo. Mica male per uno che sembrava destinato, con tutto il rispetto, a fare l’addetto alle vendite in un supermercato milanese. Invece, un giorno, la ”folgorazione”: Max molla tutto. Abbandona l’Italia, obiettivo Las Vegas. Il paradiso dei giocatori, in mezzo a tavoli e casinò. Qui comincia a costruire la sua leggenda. Che continua ancora oggi, che è rientrato, dopo quindici anni, nel nostro Paese.
Max, come ha cominciato ad appassionarsi all’hold’em?
«In Italia avevo conosciuto il poker tradizionale, quello a cinque carte. Con gli amici, andavamo spesso al casinò. Va detto che già da bambino mi piaceva molto giocare a carte. Negli Stati Unito ho incontrato l’hold’em: non si giocava più tra amici ma nelle poker room dei casinò».
Non dev’essere stato facile, l’impatto con gli States.
«Quando son partito non parlavo bene l’inglese. Poi però mi sono adattato. Essere italiani è un grande vantaggio: siamo molto amati negli States e non è stato difficile trovare nuovi amici che mi hanno aiutato ad inserirmi, tanto che la gente è arrivata a credere che fossi addirittura italo-americano».
Invece lei è italianissimo: come dimostra il suo soprannome.
«Già, ”Il Pirata Italiano”. Hanno iniziato a chiamarmi così per via della bandana tricolore che porto in testa al tavolo. A proposito: uno dei miei successi, peraltro, è coinciso con un risultato storico della Nazionale di calcio. Il 9 luglio del 2006, mentre l’Italia batteva la Francia nella finale dei Mondiali, io mi portavo a casa il primo titolo alle World Series of Poker. Oltre alla bandana tricolore, quel giorno, indossavo pure la maglia azzurra. Un’emozione incredibile, doppia. Infatti sono un tifoso sfegatato della Nazionale. E del Milan».
E l’anno scorso, il bis.
«Altra esperienza indimenticabile. Stavolta nella specialità Pot limit Hold’em-Omaha, leggermente diversa dal classico Texas hold’em».
Possiamo chiederle quanto ha guadagnato in carriera? Violiamo la privacy?
«Nessuna violazione. D’altronde i premi per ciascun torneo sono disponibili in pubblico. Comunque, all’incirca, ho vinto quasi tre milioni di dollari».
così facile diventare un professionista del poker?
«Non del tutto, ma il poker online ha dato a molti possibilità che prima erano riservate a pochi. Da professionista il mio consiglio è che il poker sia soprattutto un passatempo, e non un lavoro. O comunque, se proprio volete che diventi la vostra professione, non prendetela alla leggera. una disciplina che richiede studio sui libri specializzati, grande preparazione fisica e mentale. E non si basa, come invece molti credono, sulla fortuna. Occorre analizzare i propri errori per non ripeterli».
In Italia, nel frattempo, è poker-mania, anche grazie a lei.
«E io ringrazio i tanti appassionati e tifosi che mi seguono e mi incoraggiano torneo dopo torneo. Di una cosa sono particolarmente felice. Che noi italiani siamo all’avanguardia nella regolarizzazione. Il poker è legale e con regole chiare: si giocano solo tornei, con quota d’iscrizione massima di cento euro. Una cifra equa, che non manda in rovina nessuno. In Europa e persino negli States c’è confusione».
Riesce a spiegarsi il motivo di questo boom?
«Il Texas hold’em è un gioco molto spettacolare. Credo che la spinta maggiore l’abbia data la televisione. Molti giovani si sono avvicinati a questa disciplina guardando sul piccolo schermo campioni come Doyle Brunson e Gus Hansen».
Ma è meglio giocare online o dal vivo?
«Non so cosa sia meglio. Sono due sport diversi. Nel primo si può agire su più tavoli diversi. Bisogna essere ancora più concentrati per evitare di andare nel pallone, sia chiaro. Però davanti a un computer non si riesce a capire la psicologia dell’avversario. I tic, se suda, se abbassa lo sguardo, se ha il battito cardiaco accelerato: tutti aspetti del gioco che contano. Certo, il poker online è più comodo e soprattutto alla portata di tutti».
Diceva della componente fortuna: un po’, però, conta, lo ammetta.
«Nel breve periodo sì. Avere belle carte per tante mani consecutive aiuta. Alla lunga, comunque, sono i migliori a prevalere. Perché, ed è qui il bello del Texas hold’em, non esistono situazioni vantaggiose a prescindere. Il gioco cambia a seconda della situazione, della posizione al tavolo e dagli avversari».
E l’aspetto psicologico. Perché è importante?
«Più che importante, è fondamentale. Capire le carte che hanno gli avversari e agire di conseguenza, metterli sotto pressione, costringerli a sbagliare».
Così come è bella la modalità torneo.
«Bella e, per certi aspetti, democratica. Diversa dal ”cash game”, peraltro illegale in Italia nel mondo online, dove uno gioca i soldi reali che ha. Il fatto di partire tutti con lo stesso numero di chips, dopo che ciascuno ha pagato la medesima quota d’ingresso, rende il torneo un evento spesso imprevedibile. Dove, magari, vanno avanti giocatori che non sono nemmeno professionisti».
E la favola è dietro l’angolo.
«Esatto: il momento di gloria che può capitare a chiunque. Inoltre, ribadisco, il poker online, quello giocato su Gioco Digitale ad esempio, sta facendo emergere nuovi talenti. Giovani che iniziano a giocare online, vincendo anche cifre considerevoli, e che poi diventano campioni anche live. Comunque alla lunga prevalgono i più preparati, i più allenati. I pro, insomma».
Com’è messo il movimento italiano di poker sportivo?
«Direi benissimo. La crescita è esponenziale. Abbiamo un gruppo di giocatori dai risultati regolari, sia nel tour europeo che alle World Series. Ad esempio i giovani Dario Minieri e Dario Alioto già capaci di vincere un titolo alle Wsop. Oppure Luca Pagano, Simone Rossi, Gino Alacqua, Alessio Isaia. Gente che è andata a premio in tornei internazionali di grande valore».
Un movimento che lei contribuirà ad aiutare?
«Sì, sono tornato in Italia dopo quindici anni anche per questo motivo. Grazie a Gioco Digitale, che mi ha ingaggiato, potrò continuare la mia attività di sviluppo del gioco dopo aver fondato, anni fa, la rivista Card Player Italia. Ma allora ero quasi un pioniere del Texas hold’em. Oltre ad essere il giocatore di riferimento di Gioco Digitale, la più grande poker room online italiana».
In concreto cosa significa?
«Ad esempio lavoro con il team di Gioco Digitale per migliorare la qualità del servizio, ma soprattutto aiuto gli utenti del sito, che possono sfidarmi online nei tornei a cui partecipo anch’io. Spiego loro dove hanno sbagliato, se hanno sbagliato».
Così, in futuro, saremo qui a raccontare di altri Max Pescatori.
«Magari sì, sarei proprio contento. Vorrà dire che questo sport ha avuto pienamente successo».
Insomma, Max, bentornato in Italia.
«Grazie. Anche se la più contenta di avermi rivisto è stata mia mamma».