Guido Tiberga, La stampa 30/3/2009, 30 marzo 2009
L’ITALIA VISTA DA TOPOLINO
L’ingenuo ottimismo degli Anni Cinquanta, l’euforia del boom economico, la contestazione giovanile, l’Italia da bere, il riflusso, la deriva tecnologica, la fine delle grandi ideologie. Niente riesce a raccontare un paese che cambia come la raccolta di un giornale, i suoi temi, le sue immagini, le sue pubblicità. Succede sempre, anche quando meno te lo aspetti. Anche quando il giornale si rivolge ai bambini, anche quando si chiama «Topolino».
Sessant’anni fa, nell’aprile del ”49, arrivava nelle edicole il giornalino che conosciamo oggi: piccolo, tascabile, figlio di un’economia prudente che non lasciava nulla al caso. Arnoldo Mondadori aveva appena preso i diritti per «Selezione del Reader’s Digest», il mensile più venduto dei tempi. Una rivista che sembrava un libretto aveva bisogno di macchine da stampa particolari, il cui costo andava ammortizzato dall’uso. E così, nei tempi lasciati liberi da «Selezione», Mondadori decise di stampare il nuovo «Topolino», che fino a quel momento era uscito in formato grande, su carta opaca, appena qualche centimetro in meno dei quotidiani di oggi.
Da allora niente è cambiato per cambiare tutto: stessi personaggi, stesso mondo infantile fatto di orecchie giganti, becchi arancioni e cani parlanti. Ma storie e situazioni profondamente diverse.
I comunisti
L’Italia che si affaccia ai Cinquanta è divisa tra le proprie chiusure e la voglia di guardare lontano. Il mondo non ha dimenticato la guerra ma la pace riconquistata è fragile. «Topolino» è a mezza via tra l’Italia e l’America, tra i giovani autori nostrani e le grandi firme del fumetto yankee.
Guido Martina, un professore di lettere che da Carmagnola si era spostato presto verso la capitale, sfida l’ira degli intellettuali e mette in scena una Commedia in salsa Disney: Topolino è Dante, Pippo è Virgilio. Lo scopo è insegnare divertendo, facendo ridere i bambini che leggono e sorridere i padri che scuciono le sessanta lire per portarsi a casa le 96 paginette di «Topolino».
Le storie americane tradotte parlano di cose truci. I marines invadono la Corea, scoppia la Guerra fredda, e i ragazzini italiani si leggono «Eta Beta e il tesori di Mook», una storia di Floyd Gottfredson (lo stesso che negli Anni Trenta deliziava i figli di Mussolini) dove il Topo dalle grandi orecchie si ritrova catapultato in un paese che sembra proprio la Russia. Anzi, è la Russia: carri armati per le strade, generali da parata carichi di medaglie. E poco importa che i tank siano di cartone e la gente costretta a sorridere dai «ganci tira bocca» che il governo obbliga tutti a indossare.
I comunisti italiani del tempo hanno cose più importanti da fare e lasciano correre. Quarant’anni più tardi, a Muro di Berlino caduto, una parodia tutta italiana del film di Lubitsch «Ninotchka», con Minnie al posto della Garbo e Mickey Mouse nei panni di Melvyn Douglas, feroce nelle sue accuse a un fantomatico «partito egualista», provocherà proteste, polemiche e interrogazioni parlamentari.
Sono i cambiamenti della vita quotidiana che più degli altri emergono dalle pagine di «Topolino», nelle rubriche redazionali o nelle storie scritte dagli autori italiani: la prima televisione, l’epopea di Lascia e Raddoppia, i Festival televisivi. Agli albori degli Anni Sessanta, mentre il Paese si riempie di Fiat Seicento, il settimanale pubblica la storia «Paperino alla scoperta dell’Italia», dove l’intera tribù dei paperi scorrazza sulle autostrade appena inaugurate.
Qualche anno più tardi un personaggio nuovo, Paperetta Ye Ye, rappresenta sulle pagine del giornale le bistrattate ragioni dei beatnik, fino a quel punto presi allegramente per i fondelli in più di una storia. Ancora qualche tempo e l’austerity delle domeniche a piedi farà la sua comparsa anche nelle città di paperi e topi, con Archimede Pitagorico pronto a inventarsi ingegnose soluzioni per viaggiare senza consumare petrolio.
Berlusconi
La progressiva crescita degli autori italiani trascina sulle pagine di «Topolino» i nomi più illustri del Paese, prima in forma mascherata, poi senza più remore. Nel ”90, Bruno Concina e Giovanni Battista Carpi s’inventano un incontro a Parigi tra Zio Paperone e una coppia di straricchi italiani. Il primo è elegantissimo con una cravattona rossa a pois neri e un’automobilina legata al dito, il secondo in blu d’ordinanza con i biscione di Canale 5 stampato sul cilindro: Gianni Agnelli e un non ancora sceso in campo Silvio Berlusconi.
Sono i primi di una serie infinita: cantanti, calciatori, giornalisti televisivi. Alcuni neppure troppo conosciuti dai bambini. «E’ il principio della doppia lettura - spiega Valentina De Poli, direttore del settimanale -. I padri che leggevano Topolino da piccoli lo riprendono in mano e vedono qualche rimando al loro mondo di adulti. Quello che non capiscono i ragazzini, lo capiscono i genitori...».
L’ultimo caso arriverà dopodomani, nel numero del sessantesimo compleanno. Macchia Nera minaccia Topolino e lo chiama «Ficcanaso tascabile». Tascabile, proprio come il ministro energumeno che qualche mese fa ha fatto infuriare Massimo D’Alema.