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 2009  marzo 30 Lunedì calendario

IL CINEMA FIUTA L’ARIA E LA ADJANI DIVENTA UNA PROF VIOLENTA


Stamattina davanti al tribunale di Digione ci saranno tutti, in auto in bus in treno, comunque arriveranno e saranno lì, a centinaia. Per mesi hanno atteso il giorno del processo, hanno costituito il comitato di sostegno, si sono riuniti decine di volte al caffè del municipio, a Liernais. Hanno deciso che manifesteranno davanti al tribunale, con i cartelli contro il procuratore accusato di estremismo e di accanimento giudiziario. In prima fila gli insegnanti di tutte le scuole di questo cantone della Cote d’Or. Hanno perfino proclamato uno sciopero per essere sicuri di non mancare. E porteranno le liste con i nomi degli altri simpatizzanti, che non hanno potuto venire. Gli avvocati dell’imputato sono famosi, si daranno da fare con furore d’inchiostri e di parole; li hanno pagati loro, quelli del comitato, raccogliendo in pochi giorni migliaia di euro.
Tutto questo accade per due minuti nella storia di un insegnante di scuola elementare, Jean-Paul Laligant. Una storia paradossale, per certi aspetti grottesca che può accadere soltanto nella Francia del politicamente corretto. Un Paese che considera l’«éducation» uno dei pilastri della mitologia repubblicana e che per questo proprio in aula si specchia nella sue aspre contraddizioni. Dove all’insegnante si chiede di trasmettere non solo la conoscenza ma anche un modello sociale che mostra crepe sempre più profonde. Non è un caso che un film ipocrita e consolatorio come «Entre les murs», ritratto agrodolce del rapporto tra un professore e una scolaresca, abbia vinto il festival di Cannes. Per poter dire che tutto in fondo va bene. E due milioni di francesi hanno già visto il film «La journée de la jupe» con Isabelle Adjiani, storia scomoda di una insegnate di francese che esasperata da una classe feroce, impugna la pistola di uno degli allievi e li sequestra.
Allora un mattino del settembre dello scorso anno per il maestro Laligant, 52 anni, la faccia di uno che la sua esperienza se l’è guadagnata frusto a frusto, sembrava l’avvio di un giorno normale. L’anno scolastico appena iniziato, quando ancora ci si scruta gli uni con gli altri, una classe, allievi di 8-9 anni, non certo difficili. Qui non siamo in banlieue dove per indurre i «prof» ad arruolarsi in istituti assediati dalla integrazione mancata, dalla sicurezza della disoccupazione, dove si brandiscono i coltelli già alle elementari e si fanno i raid anche in classe gli promettono 6 mila euro di premio l’anno. Quando due ragazzini sono venuti a dirgli che Julien aveva l’abitudine di tirar giù i pantaloni per far vedere ai compagni le parti intime non immaginava proprio che si sarebbe ritrovato sospeso, senza il suo lavoro e con il rischio assai concreto di passare tre anni in galera e pagare 45 mila euro di multa. E chissà mai dove potrebbe trovarli, 45 mila euro, con lo stipendio che gli passa la République. Avrebbe dovuto seguire la procedura, spedire il ragazzino dal preside, chiamare i genitori mettere la nota sul diario. Li aveva letti anche lui sui giornali i casi di colleghi che hanno alzato le mani sugli allievi più discoli, le condanne esemplari per una spinta, per un ceffone. Ma lui Julien non lo ha toccato. Lo fece uscire dal banco e mostrando il taglierino che è nella sua dotazione di strumenti didattici gli disse : «Non farlo più altrimenti ti taglio tutto quello che sporge, li sotto…».
La storia è cominciata così. Con «uno scherzo» come dice lui e la parola adesso gli sembra mostruosa. E pensare che i genitori di Julien quando il bambino è tornato a casa e ha raccontato tutto decisero di non fare nulla. La mamma e la nonna ripetono che il piccolo Julien no, non è proprio il tipo da fare quelle cose lì e certo non si è tirato giù le mutande. Sanno che stabilire se sia vero o no, non conta più nulla. La storia delle mutande di Julien è cresciuta mostruosamente ed è diventata un’altra cosa.
Perché la denuncia non l’hanno presentata loro. E’ stata una iniziativa dei gendarmi a cui qualcuno, un genitore di un altro allievo, ha fatto la spia. Hanno convocato il padre e la madre; e li hanno interrogati, separatamente, per accertare «i fatti». Hanno spiegato loro che la cosa era grave, gravissima, «minacce» quasi a mano armata, che gli altri allievi erano traumatizzati, c’era di mezzo il codice penale: «allora, questa denuncia?». Il padre si è rifiutato, la madre ha tentennato a lungo, poi confusa, sotto pressione, ha firmato. E così stamattina Jean-Paul Laligant sarà sul banco degli imputati, con la sua vita in bilico appesa a una sentenza, per un taglierino e uno scherzo. E si chiede perché mai il ministero organizzi corsi per addestrari gli insegnanti ad esercitate di più l’autorità, a non farsi travolgere dalle classi difficili. E perché il presidente ripeta sempre in tv che vuole una Francia dove «gli allievi si alzino in piedi quando entra il maestro».
Insegnano entrambi francese, François e Sonia. E per entrambi la battaglia inizia ogni giorno, alla stessa ora, nell’aula di una scuola «difficile» della banlieue parigina. L’epilogo delle loro esperienze sull’educazione ai tempi della società multietnica è però profondamente diverso: se per il giovane François Bégaudeau, protagonista de «La classe» di Laurent Cantet, Palma d’oro a Cannes, la voglia di insegnare prevale su tutto, e nonostante allievi aggressivi, disinteressati e indisciplinati la scuola, in fondo, si sostituisce alla famiglia per costruire e garantire un futuro, nel film che dallo scorso weekend sta trionfando nelle sale francesi, «La journée de la jupe», va tutto in un’altra maniera.
Sonia, la sempre bella ma lievitata Isabelle Adjani, oggi cinquantatreenne, è una professoressa che tenta invano di farsi rispettare dai suoi allievi. Una donna sull’orlo di un esaurimento nervoso, divisa tra i problemi della scuola e il matrimonio in crisi. Quando una pistola cade dallo zaino di uno studente, tutto precipita: lei prende la classe in ostaggio e regola i suoi conti, mentre la polizia circonda la scuola. E voilà: il film è diventato una sorta di manifesto-riscatto per i tanti professori che si sono riconosciuti nell’esasperazione del bullismo.
Una sceneggiatura che è piaciuta a Isabelle Adjani, lontana dal cinema dal 2003, ma presente quando nel 2007 si è trattato di firmare una petizione contro il test del Dna in Francia per gli immigrati; o quando non si è presentata a una cena di gala all’Eliseo in onore del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika per la scarsa considerazione dei diritti umani nel Paese (l’attrice è di ascendenza cabila); o ancora, provocatoria, quando ha festeggiato il César per la «Camille Claudel» del film di Nuytten leggendo un brano dei «Versetti satanici» di Salman Rushdie, su cui pendeva una fatwa islamica. «Al di là del personaggio di questa professoressa con la pistola - ha raccontato l’attrice - ho apprezzato che il film non tentasse di fare la morale sociale o civica, né tanto meno dare lezioni od offrire soluzioni, ma semplicemente mettere lo spettatore dinanzi alla dura verità delle violenze quotidiane e delle inevitabili paure».
Svelato nella sezione Panorama della Berlinale e appoggiato da gran parte della critica francese, il film di Jean-Paul Lilienfeld era stato originariamente destinato alla televisione. Anche grazie alla notorietà della Adjani, ora è diventato un caso.