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 2009  marzo 29 Domenica calendario

SE LA CASSA DIVENTA BANCA DELLE BANCHE


La Cassa depositi e prestiti diventerà una investment bank? La domanda non è peregrina se, com’è stato annunciato, metterà a disposizione delle piccole e medie imprese 8 miliardi di finanziamenti associando questa nuova funzione a quella storica di finanziatrice delle opere delle pubbliche amministrazioni e a quella più recente di holding di partecipazioni per conto del Tesoro. Quest’ultima evoluzione è dettata dall’esigenza di contrastare la recessione, ma pone problemi da risolvere per tempo così da evitare l’impressione che prima si parla e poi si pensa già data dal governo con l’annuncio del piano casa e i successivi ripensamenti. La Cdp, infatti, lavora con il risparmio privato raccolto dal Bancoposta presso le fasce più indifese della popolazione. Sebbene i buoni postali vengano riscattati in media dopo 5-6 anni, l’intera raccolta postale è rimborsabile a vista. Non a caso vi si applica la riserva obbligatoria come per i depositi bancari. Finora la raccolta è stata impiegata con la pubblica amministrazione, il più solvibile tra i debitori nazionali. Dal 2009 una parte andrà alle banche, le quali la gireranno alle piccole e medie imprese secondo il loro merito di credito. La Cdp, dunque, diventa la banca delle banche, sia pure su scala ridotta. La qual cosa apre quattro questioni.
La prima: posto che erogherà a 7-10 anni, come sembra ovvio avendo già le banche abbondanza di raccolta a breve data la fuga dalla Borsa e dai fondi, come risolverà la Cdp l’incrocio potenzialmente pericoloso delle scadenze tra una raccolta formalmente a breve e impieghi a medio- lungo termine? Seconda questione: se il risparmio postale le costa il 2,5-3%, a quali tassi la Cdp presterà alle banche? E lo farà a tassi uguali per tutte o diversificati per grado di rischio? Terza questione: porrà la Cdp dei vincoli di tasso e di scadenza al risparmio postale convogliato verso le imprese o lascerà mano libera alle banche? Quarta e ultima questione: quale impatto avrà l’assunzione del rischio- banca sul patrimonio della Cdp, il cui azionista di controllo, il ministero dell’Economia, fa della solidità degli intermediari la sua bandiera?
A rispondere sarà il consiglio della Cdp, espresso dal governo e dalle fondazioni bancarie. Ma basterà? In effetti, qualcosa dovrebbe dire, sia pure attraverso lo strumento indiretto della regolazione, anche la Banca d’Italia. Nel momento in cui intermedia risparmio rimborsabile a vista, la Cdp sembra rientrare nel novero dei soggetti ai quali si applica la direttiva europea sul credito, e dunque la vigilanza della banca centrale. Ma è dal 2003 che, a causa degli storici contrasti con il ministero, da Palazzo Koch si attende un regolamento che stabilisca, fra l’altro, quali debbano essere i requisiti patrimoniali per questa «banca» alla quale, ormai, andrebbero tolte le virgolette. Il ritardo deriva anzitutto da imbarazzi contabili: con un patrimonio netto di 9,7 miliardi, si regge un attivo di 210 miliardi, certo in larghissima parte risk free ma con 14 miliardi di partecipazioni? Poi ci sono gli imbarazzi politici: se la Vigilanza sorveglia la Cdp, vuol dire che Draghi vigila su Tremonti; ma se Tremonti sottrae la «sua» banca delle banche all’occhio della Banca d’Italia, come si ridefinisce il campo di Draghi?