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 2009  marzo 29 Domenica calendario

Dall’anno scorso il Pentagono combatte una terza guerra oltre a quelle in Iraq e Afghanistan: la guerra contro l’aumento dei suicidi nelle forze armate

Dall’anno scorso il Pentagono combatte una terza guerra oltre a quelle in Iraq e Afghanistan: la guerra contro l’aumento dei suicidi nelle forze armate. Nel 2008 si sono tolti la vita 140 soldati, un tragico record: la prima volta che i suicidi dei militari hanno superato, in percentuale, quelli dei civili. Nel 2009 la situazione si è aggravata: a metà di questo mese, si erano già uccisi 48 giovani. «Una epidemia inaccettabile » ha dichiarato il vicecapo di Stato maggiore dell’esercito Peter Chiarelli in una deposizione al Congresso «a cui dobbiamo rimediare». Al comando di questa «guerra ai suicidi» è il generale Mark Graham di Fort Carson in Colorado: in lui il Pentagono vede il leader più capace di curare la piaga. Per una drammatica ragione: per il generale Graham, un eroe della guerra del Golfo Persico del ’91, quella ai suicidi nelle forze armate è anche una sfida personale. Nel giugno del 2003 uno dei suoi figli, Kevin, capo di uno squadrone aereo destinato a partire per l’Iraq, si impiccò nel proprio appartamento. E otto mesi più tardi l’altro figlio, Jeff, morì sul fronte iracheno, a Falluja, a causa dello scoppio di una bomba di Al Qaeda. Al generale Graham e alla moglie Carol sono stati necessari quattro anni per superare il trauma: solo nel 2007, su richiesta di famiglie di militari che si erano tolti la vita come Kevin, hanno lanciato una campagna contro i suicidi. «Kevin – ha raccontato il generale – era un ragazzo eccezionale, come Jeff. Ma mentre Jeff era ricordato come un eroe, Kevin era circondato da un pietoso silenzio. Non accettavamo che si fosse ucciso e non capivamo perché lo avesse fatto. Così la prevenzione dei suicidi nelle forze armate è diventata la nostra missione». Missione a cui il Pentagono ha dato incondizionato appoggio. Ieri, il Wall Street Journal ha dedicato una pagina a Mark Graham e alla sua guerra. Ha riferito che grazie a lui tutti i militari americani, prima di partire per il fronte, seguono corsi sulle malattie mentali, e vengono addestrati a combatterle. La base di Fort Carson è divenuto un modello. Ha creato «squadre mobili» di psichiatri e psicologi che affiancano le truppe durante la preparazione, sul terreno in Iraq e in Afghanistan e al loro rientro. E onora i suicidi in speciali cerimonie, come i caduti in combattimento, vittime di un oscuro nemico. Nella guerra ai suicidi Graham ha raccolto anche delusioni. A Fort Carson, come in altre basi, nell’ultimo anno si sono tolti la vita nove soldati. Uno, il sergente Larry Applegate, pluridecorato, ha cercato la morte «da fuoco amico» dopo un litigio con la moglie, sparando a una pattuglia giunta a casa sua per provare a distoglierlo dai propositi suicidi di cui aveva parlato al telefono con un commilitone. Altri soldati hanno commesso omicidi, cedendo ai propri demoni a danno di innocenti. Ma il generale non si arrende. Sta mobilitando le famiglie, le chiese, le scuole . E aiuta anche le associazioni dei reduci «perché sono il gruppo più a rischio » precisa Anne League, il suo capo psichiatra. E’ probabile che il generale, che nel 2005 diresse l’evacuazione da New Orleans devastata dall’ uragano Katrina, venga chiamato al Pentagono. Il ministro della Difesa Bob Gates ha avviato uno studio sulle cause dei suicidi e ne sono state individuate alcune: il ripetuto invio al fronte dei soldati, sino a 3-4 volte in pochi anni; l’aumento dei divorzi a causa della lontananza; l’abuso di farmaci e alcool; la perdita della casa nella crisi finanziaria ed economica. Sono i nemici che Mark Graham intende sconfiggere. Ennio Caretto