Maria R. Calderoni, Liberazione 29/03/2009, 29 marzo 2009
L’uomo che non doveva esserci e invece c’è, c’è eccome. L’Umberto - non da Giussano ma da Cassano Magnago - lui c’è
L’uomo che non doveva esserci e invece c’è, c’è eccome. L’Umberto - non da Giussano ma da Cassano Magnago - lui c’è. Sono gli altri che sono rotolati giù; l’uomo che non doveva esserci ne ha visti ormai tanti, di rotolati giù, nei suoi quasi vent’anni politici. Craxi, Occhetto, Zaccagnini, Forlani, D’Alema, De Mita, Rutelli, Casini, Mastella, Prodi, Veltroni e pure Bertinotti. Lui no, lui è lì, più bello e più forte che pria. E dire che l’Umberto - non da Giussano ma da Cassano Magnago, un paesotto della Bassa attaccato a Busto Arsizio, Varese, cuore e culla dei primi leghisti doc tipo Speroni e Maroni, che qui nacquero e crebbero e conquistarono in pochi anni i principali comuni, già fortissimi feudo dc - voleva fare il cantante. A vent’anni - nei Sessanta, è nato nel ’41 - è un ragazzo niente male pieno di capelli e con basette rockettare, si atteggia a cantautore con la chitarra in mano, ha nel curriculum due canzoni scritte di suo pugno, e un nome d’arte, Donato. Ma a Castrocaro lo rispediscono a casa senza appello e allora volta pagina. Era scritto, forse. Non era un cantante, lui, era un politico, un homo politicus . Quando appare sulla scena tutti strabuzzano gli occhi, gli ridacchiano addosso, ma questo da dove piove? L’establishment di destra e di sinistra lo guarda schifato, un rozzo fenomeno venuto dalla nebbia, un impresentabile che parla in dialetto perchè l’italiano, lui, non lo conosce proprio, con quel ridicolo diploma di "specializzato in elettronica applicata alla medicina". Mal gliene incolse, lor signori non avevano capito che "ce l’aveva duro", eh eh. Stare appresso alla biografia personale e politica di Umberto Bossi, ve lo dico, è un vero spasso; c’è di tutto, mancano solo le torte in faccia. Perché lui, il cantante mancato, l’ homo politicus nato, ne ha detto e fatto più di Carlo in Francia. Sfoderando una tempistica e una "fantasia" assolutamente impensabili in un tipo specializzato in elettronica applicata alla medicina... Tutti a ridere quando, 1980, salta fuori dal nulla a creare, lì tra Cassano Magnago e Varese, una roba che lui chiama Unione Nord Occidentale Lombarda per l’Autonomia, sic, e che nessuno degna di attenzione. Ma due anni dopo, sempre lì in zona Varesotto, insieme a due volti nuovi come lui - Roberto Maroni e Giuseppe Leoni - crea un’altra creatura stortignaccola, che lui chiama Lega Autonomista Lombarda e di cui è nominato segretario nazionale. Nessuno lo fila, ma alle elezioni politiche dell’83 lui ha il fegato di presentarsi (circoscrizione Varese-Como-Sondrio) ed è un buco nell’acqua: raccatta solo 157 preferenze. Col cavolo che si ritira, l’anno dopo fonda un’altra roba, che questa volta chiama Lega Lombarda (è la sua "fissa") e toh, alle amministrative dell’anno dopo, 1985, appaiono sulla scena i primi leghisti, eletti a Varese e a Gallarate. L’Umberto non dorme, non dorme! E una bella mattina ha una gran pensata: fare un solo fascio di tutte le "lighe" che ormai, dopo i primi passi, sono nate in tutto il territorio lombardo-veneto (Lega Lombarda, Liga Veneta, Arnassita Piemonteisa, Partito del Popolo Trentino-tirolese, Union Ligure, Lega Padana Emilia, Alleanza Toscana). Operazione riuscita: è nata La Lega Nord. Lo strano outsider ce l’ha fatta e lui ne è diventato il Segretario federale (esse maiuscola), mica scherza. E’ indubbio, lui sa parlare alla "pancia" di un sacco di gente, lì al Nord. Per la verità, l’establishment continua a ridacchiargli addosso e i giornali si divertono come matti a raccontare del people leghista che, con alla testa tale Bossi Umberto, fa la sua prima adunata in quel di Pontida presso Bergamo e lì dà avvio, con cerimonia che si vuole solenne e carismatica, al primo "Giuramento", in continuità - proclamano - col più celebre "Giuramento di Pontida", quello avvenuto parecchi secoli prima, 7 aprile 1167, fra le venti città della Lega Lombarda - quella storica - contro Federico Barbarossa. E’ una fiction, ma tantè, fa audience e immagine, e lui ci investe. Siamo alla fine degli anni 80, Tangentopoli è alle porte, e Tangentpoli lo rafforza, il Bossi; lui che col Sistema non c’ha niente a che fare, lui che tuona contro l’Italia dei partiti forchettoni succhiatori di denaro pubblico, e incita alla rivolta in nome della "Patria Padana". Alla Camera, dove hanno fatto ingresso i primi eletti leghisti, l’indimenticabile deputato dal fazzoletto verde, Luca Orsenigo, fa penzolare sulla testa dell’emiciclo la famosa corda a forma di cappio, tremate i leghisti son qua. Beh, Mani Pulite ma non troppo; di lì a poco, 1994, la Lega - la Lega giustiziera in armi contro Roma Ladrona - viene trovata col sorcio in bocca, sottoforma di 200 milioni di finanziamento illecito ottenuto dalla Montedison; e il Segretario, il Bossi, si becca una condanna a 8 mesi. Ma che fa. Lui è in pista e nel Sistema ci si trova ormai ottimamente. Non dorme, non dorme! E’ eletto senatore (è il Senatur per antonomasia), è eletto quattro volte deputato (XI, XII, XIII, XIV) e altrettante deputato europeo, il Sistema gli va più che bene. E intanto è nata la stella Berlusconi. Gli va a fagiolo. Ci vuole un fisico bestiale e lui ce l’ha. Amore a prima vista. E’ il 1994 e nasce Forza Italia, e subito il Bossi, da quell’ homo politicus che è, fiuta il vento e col Berlusca fulmineamente mette su una coalizione elettorale detta Polo delle Libertà. Quella che, insieme ad An, vincerà le elezioni. Il Cav lo tollera, lo teme, lo blandisce; decine di parlamentari leghisti affollano gli emicicli, ed è lui a fortissimamente volere una ragazza di 31 anni, la Irene Pivetti, sulla poltrona di presidente della Camera. Ma non è proprio un idillio. Il Cavaliere si crede un padreterno e vuole essere il Capo? Piano, ecco l’Umberto che gli fa passare la voglia, previo ribaltone del 1994: quando, pochi mesi dopo la vittoria, gli sfila il governo con destrezza, negandogli la fiducia e mandandolo a casa (del resto aveva già cominciato a dirlo in giro, «avere Berlusconi a capo del governo significherebbe avere un affarista che si troverebbe tutti i giorni a fare i conti con i suoi interessi»). Quel ruvidone che parla in padano. E’ scatenato, in preda a palesi deliri di potenza dal momento che i suoi elettori lo hanno premiato, facendolo balzare al 10,8 per cento su base nazionale, ma con picchi "sconvolgenti" in Veneto (30%), in Lombardia (25) e in Piemonte (20). E’ il tempo in cui l’establishment non gli ride più tanto dietro e i politologi si interrogano sul fenomeno Lega. Ma va là, lui fa a tutti il "gesto dell’ombrello" (uno dei suoi preferiti) e lancia la Secessione, sissignori dicesi Secessione, il Nord d’ora in poi farà repubblica a sè («la Lombardia non sarà più una vacca da mungere»), addio terronia e palude romana, la Padania se ne va. E’ il tempo del Battesimo, del sacro Po percorso in pellegrinaggio dalla sorgente a Riva degli Schiavoni; giù la bandiera tricolore e su quella della Padania libera, che è «il Sole delle Alpi, costituito da sei petali disposti all’interno di un cerchio, di colore celtico-venetico su fondo bianco». Con tanto di Inno nazionale (il "Va pensiero" di Verdi), di "Parlamento del Nord" e di "Primo Governo della Padania" votato sotto i gazebo da sei milioni di persone (così almeno dicono loro). Mentre nascono La Padania , RadioPadania e TelePadania, è anche il tempo della lotta al Cav. Cadono qui alcune delle sue famose frasi "storiche". «Berlusconi, sarai costretto a scappare dal Nord di notte con tua moglie e i tuoi figli e le valigie. Hanno capito che tu sei mafioso». «Ho 300mila bergamaschi pronti a imbracciare il fucile. Bisogna che se lo mettano in testa tutti, anche il Berlusconi-Berluskàz, che c’è gente che ne ha piene le tasche e che è pronta a fare il culo pure a lui». «Berlusconi è il più efficace riciclatore dei calcinacci del pentapartito». «Il vero potere Gelli diceva che lo deteneva chi ha i mezzi di informazione e Berlusconi era la tessera 1816 della P2 di cui Gelli era capo». Eccetera. Peccato che subito dopo, nel 2000 - pronubo Tremonti - arriva un altro tipico ribaltone bossiano: eccolo infatti già tornato a braccetto col Berluskàz, nella nuova coalizione forte, detta Casa delle Libertà (la Secessione può attendere e il dio Po pure). Il resto è storia corrente, mai più senza Berlusconi, fino alla meritata (!) medaglia di oggi, l’Umberto da Cassano Magnago avvolto nel bandierone del federalismo fiscale giunto alfin in dirittura d’arrivo. Non senza aver sbattuto fuori l’ex pupilla Pivetti che ha osato contestarlo; superato alla grande 306 giorni di malattia; insultato il tricolore con l’altra sua frase storica («mi ci pulisco il c..»); salutato l’Inno di Mameli col dito medio alzato; infamato gli insegnanti terroni che gli bocciano il figlio; invitato «Marina e Finanza a usare il cannone, perché o con le buone o con le cattive i clandestini devono essere cacciati». E decretato, va da sè, «niente case ai bingo-bongo». Buona l’ultima: «A volte in politica due più due non fa quattro, ma fa zero», dedicata al Pd.