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 2009  marzo 29 Domenica calendario

I politologi collocano la Lega tra i partiti di ispirazione populista. E si imbattono nella difficoltà di definire il populismo, a partire dal suo manifestarsi, dagli Stati Uniti alla Russia zarista, a cavallo tra il XIX e il XX secolo

I politologi collocano la Lega tra i partiti di ispirazione populista. E si imbattono nella difficoltà di definire il populismo, a partire dal suo manifestarsi, dagli Stati Uniti alla Russia zarista, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Per quanto riguarda l’Europa, dove il fenomeno si è ripresentato da circa un trentennio, il suo maggiore studioso, Yves Meny, conclude che «è estremamente difficile, se non impossibile, arrivare a una definizione del concetto», anche perché «il populismo ha una natura essenzialmente camaleontina e assume le tonalità dell’ambiente nel quale fa la sua comparsa». Alcune concezioni di base sono, comunque, raffigurabili. Il punto di partenza è che il popolo è una entità semplice, buona e saggia. Riesce a gestirsi bene solo se esercita il potere e se non se lo fa sottrarre dalle élite professionali della politica e dell’economia. Se controlla strettamente la sua rappresentanza e se mantiene i suoi valori di identità e di solidarietà, insidiati dal cosmopolitismo intellettualoide. Se teniamo presenti questi dati di base, possiamo capire perché si ripresenti in Europa proprio all’inizio degli anni Ottanta, che vedono la crisi della sinistra nel decennio che culminerà col crollo del muro di Berlino e che inizia con la svolta simboleggiata dai nomi di Ronald Reagan negli Stati Uniti e di Margaret Thatcher in Inghilterra. Sono gli anni della globalizzazione, della forte fiscalizzazione, anche per finanziare il "welfare state", delle immigrazioni massicce prima dal Terzo Mondo e poi dai paesi ex comunisti. Gli anni della costruzione di un’Europa fortemente caratterizzata dai partiti tradizionali e dalla burocrazia comunitaria. E’ da una critica a questa politica classica, che ha i precedenti nel qualunquismo italiano dei secondi anni Quaranta e nel poujadismo francese dei secondi anni Cinquanta, che nascono partiti etnocentrici e antifiscali, in paesi di pur grandi tradizioni democratiche come la Francia (il Fronte nazionale di Le Pen, ufficiale paras già deputato poujadista), i paesi scandinavi e la Svizzera: Ny Demokrati in Svezia, Framskrittperti in Norvegia e in Danimarca, Lega Ticinese e Unione democratica di centro. In Finlandia si ha il partito rurale. Nelle Fiandre il Vlaams Blok (poi Vlaams Melan). In Austria Haider trasforma in populista il vecchio partito liberale. E in Italia Bossi fonda la Lega Lombarda. Da noi il populismo ha una tradizione, con varie sfaccettature. Il popolo sovrano era un vecchio giornale repubblicano. Mussolini chiamò il suo Il Popolo d’Italia , con sottotitolo iniziale "quotidiano socialista". Partito popolare fu il primo soggetto politico cattolico e Il Popolo fu il quotidiano della Dc, dalla fondazione allo scioglimento. Nel 1965 Asor Rosa pubblicò Scrittori e popolo: il populismo nella letteratura italiana contemporanea . Si spaziava da Manzoni a Gramsci, con valenze politiche che fecero del libro un preludio del Sessantotto. Vi si scriveva: «Perché ci sia il populismo è necessario che il popolo sia rappresentato come un modello». Si concludeva: «il populismo è morto». Bossi lo ha resuscitato. In realtà, la prima forte "Liga" fu "veneta"; nel 1983, con lo 0,6 per cento dei voti entrava in parlamento; su scala nazionale un campanello d’allarme per la Dc, scesa al 32.9 per cento. Parve un fuoco di paglia. Ma nel 1987 Bossi entra in Senato con la Lega lombarda, e l’anno dopo annuncia: «A Milano siamo ormai alle porte. La gente ha aperto gli occhi». Li aprono anche i partiti tradizionali. La svolta è alle elezioni regionali del 4 maggio 1990. Il 1° maggio i capi della sinistra e dei sindacati ascoltano all’Ansaldo il presidente Cossiga, che ammonisce la Lega: «Se vi fosse qualche farneticamento che pensasse a più avventurosi tentativi di divisione per l’animo della Nazione italiana, sarà bene ricordare che dovere fondamentale del presidente della Repubblica è quello di tutelare l’integrità territoriale e morale dello Stato». Ma le "farneticazioni" hanno successo. La Lega ottiene quasi il 20 per cento dei voti in Lombardia, il 15 per cento a Milano. Col 5.4 per cento su scala nazionale, è il quarto partito italiano. Comincia una storia che può essere scandita in tre periodi: successo e prima intesa con Berlusconi, fino al 1994; successo ma isolamento fino al 1999; nuova e definitiva intesa con Berlusconi nel decennio successivo. Nei primi due periodi la Lega Nord, oscilla tra annunci di secessioni e parlamenti padani e integrazioni nelle istituzioni, al governo e nelle amministrazioni locali, Milano compresa. Al governo con Berlusconi dopo le elezioni del marzo 1994 (8.4 per cento, oltre 100 deputati), lo rovescia a fine anno col famoso "ribaltone", che porta al governo Dini sostenuto dalla sinistra. Nata come partito antifiscale («Roma ladrona») e etnocentrico («Forza Etna», «O Gesù da i oci boni - Fà morì tuti i teroni»), la Lega si propone come partito decisivo per gli equilibri nazionali (10 per cento dei voti, massimo storico nel 1996, con lo slogan «Né Roma polo - Né Roma Ulivo»). Berlusconi è «il mafioso di Arcore, tessera P2 1816». D’Alema dice che la Lega è «una costola della sinistra», col massimo di voti operai. «Tratterà con noi - dice a Milano - perché solo noi possiamo garantire il federalismo». E mentre da presidente del Consiglio sostiene la guerra della Nato contro la Serbia (1999), Bossi va in Kosovo per mediare una pace su posizioni di critica agli Stati Uniti. Ma il governo dell’Ulivo (prima Prodi, poi D’Alema, poi Amato) non fa il federalismo e non risolve il conflitto d’interessi di Berlusconi. E Bossi torna a un accordo con lui (un patto dal notaio, tuttora ignoto). La Lega scende al 3.9 per cento nelle elezioni del 2001, non raggiunge il quorum nella quota proporzionale, è in parlamento grazie ai collegi uninominali. Ma torna al governo, si consolida nelle amministrazioni locali, nel 2006 raggiunge il 4.6 per cento in alleanza con gli autonomisti siciliani di Lombardo. Dopo la breve opposizione al governo Prodi, questo terzo periodo culmina nel successo elettorale del 13 aprile (8.6 per cento) e nella adozione entro Pasqua dell’agognato federalismo. Per ora è una scatola vuota, non se ne sanno i costi, entrerà a regime, se entrerà, fra anni. Ma per intanto la Lega ha il suo valido biglietto di presentazione per le elezioni europee.