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 2009  marzo 28 Sabato calendario

LE BAMBOLE NELLA CASA DELL’ORRORE


Padre Pio sul comodino, venticinque anni di stupro e incesto nel letto matrimoniale della casa degli orrori di Torino, dove per 25 anni un padre ha abusato della figlia. «Sono falsità», urla la moglie con voce di carta vetro. Ha 63 anni, si sbraccia tutta e quasi sviene, dentro a una maglietta leopardata completamente lisa. «Mio marito lavorava il ferro, girava i mercati, è andato anche a rubare per sfamare i suoi dieci figli. Ma queste porcherie non le ha mai fatte». Le foto del marito sono ovunque, accanto ai crocefissi. Faccia rotonda, borse sotto gli occhi. Quasi sempre in canottiera, bacia e stringe i bambini di casa. Ti guarda dai muri.
Periferia desolata, quartiere Falchera, palazzo popolare, primo piano: una sigaretta spenta nel vaso di un piantina grassa. I vicini osservano infastiditi il viavai: «Quello che facevano lì dentro non sono fatti nostri. Qui nessuno si impiccia». Lì dentro, secondo la Procura di Torino, lo stupro della prima figlia oggi trentaquattrenne, era diventato un fatto ordinario. Acquisito.
Semplice devozione al capo famiglia. Nella casa dell’orrore.
Sulla parete di ingresso, sotto il citofono, c’è una targhetta di ceramica: «Padrone sono io, chi comanda è mia moglie». Il padre padrone adesso è in carcere. Con lui, accusato dello stesso reato, anche il figlio di quarant’anni. «Uno schifoso, malato, pazzo», lo ripudiano i parenti. Hanno deciso da che parte stare.
Ti portano a vedere l’alloggio - 90 metri comprati con il risarcimento per un incidente stradale - per provare l’innocenza del padre. Aragoste finte, fiori di plastica. Una macchina radiocomandata. Nelle vetrinette, sui davanzali, dentro i mobili color legno, c’è un accumulo di peluche, immagini sacre, bambole e piccole bottigliette di liquori allineate. Ci sono i vecchi giochi dei dieci figli, otto maschi e due femmine, mischiati a quelli degli otto nipoti. Due bambini sono in piedi anche adesso, fra le gambe dei grandi. Ascoltano questa storia spaventosa: « una palla grossa così - urla un parente - ma ci rendiamo conto? Un uomo di 63 anni a fare quelle cose...». Lo difendono come se fosse lì, come se li stesse ascoltando.
Medaglie dei tornei di calcio amatoriali appese alle pareti della cucina. Un galeone costruito con i fiammiferi: «Mio padre l’ha fatto quando era in carcere. Gli ha dato il nome di sua moglie perché vuole bene alla sua famiglia». In bagno, una grande vasca idromassaggio a forma di conchiglia. In fondo sulla destra, una camera con tre letti singoli: scarpe a punta da donna, ninnoli, immagini di Gesù. In fondo sulla sinistra, la camera matrimoniale. Quella delle violenze. La tappezzeria è strappata, domina un gigantesco schermo al plasma. Il crocefisso sopra al letto, fotografie su ogni appoggio, e la signora con la maglietta leopardata che urla e barcolla: «Ma se mio marito non riesce a fare certe cose neanche se ti impegni per quattro ore...».
In casa c’è anche una foto della vittima. Una sola. separata da tutte le altre. Appesa in alto, dentro un cornicetta, sulla parete buia del corridoio. Laura. una donna con gli occhi tristi, vestita con un completo scuro, castigato. Di lei, la madre riesce a dire: « debole, cede subito. Mio figlio l’ha violentata e portata via. Ma mio marito non c’entra. Mio marito queste porcherie non le ha mai fatte». Per un poliziotto che ha seguito le indagini, questa tragedia lunga venticinque anni, si può riassumere così: «Il padre era come un marito, il fratello come l’amante. stato molto duro scoprire la verità». Si dividevano la ragazza con gli occhi tristi.
Ci sono intercettazioni telefoniche inequivocabili: «Ma era sempre mio figlio ad usare quel telefono - urla la padrona di casa - si sono sbagliati. lui quello malato...». Davanti al piccolo portone del palazzo, è parcheggiata la vecchia Lancia Libra con due marmitte. Sopra, al primo piano, è una litania, quasi una beatificazione. «Papà ci portava tutti a mangiare al ristorante. Siamo stati a Brandizzo, una volta in Liguria». «Papà guardava il telegiornale, cucinava bene, amava soprattutto i piedini di porco e le cotiche». «Papà sapeva che ho un carattere sbagliato. Io sono uno che può fare delle cazzate. Ancora adesso, che ho 36 anni, mi diceva: ”Non uscire, non metterti nei guai. Stai con papà tuo”». C’è anche un figlio con problemi di udito, in famiglia. Un ragazzone con i capelli a spazzola. Si arrotola le maniche della camicia, fa vedere un grosso tatuaggio: «Questa è la faccia di mio padre. Un uomo buono».
L’uomo buono era stato arrestato già nel 1999. Lui, con i figli, si era specializzato in furti nei cassonetti degli abiti usati. Si portava dietro sempre anche Laura. Già allora aveva capelli da uomo e vestiti castigati, gli stessi occhi senza ritorno.