Ernesto Milanesi, il Manifesto 26/3/2009, 26 marzo 2009
LO STADIO ABBANDONATO
sempre lo stadio, simbolo e orgoglio non solo del calcio. Eppure in municipio (all’epoca del centrodestra) volevano addirittura abbattere il «mitico» Appiani, mentre adesso la giunta Zanonato alla vigilia delle elezioni annuncia che verrà salvato... a metà. Le ruspe si concentreranno solo sulla gradinata «posticcia» degli anni 80: campo all’inglese, tribunetta in legno e curva storica almeno non si toccano. Peccato che sia già pronto anche il piano (firmato dall’architetto Crotti) destinato a circondare l’Appiani con una «riqualificazione» di cemento che si estenderà dal park interrato fino al residenziale con vista lunga sull’isola Memmia.
A Padova lo storico rettangolo verde - dedicato a Silvio Appiani, primo bomber del Padova (1894-1915) capace di segnare 17 reti in 16 partite quando il calcio era ancora sport da pionieri - rimane nel cuore di tutti. Tanto più se si sta celebrando il centenario della storia calcistica della squadra biancoscudata, che continua ad annaspare in terza serie. Solo l’idea di vedere un cumulo di macerie al posto dello stadio aveva innescato l’ira popolare interpretata da Gastone Zanon. Era uno dei panzer di Nereo Rocco: «Sono nato a Padova e ho giocato vent’anni nel Padova. Ho conosciuto il paròn calciatore, sono stato con lui quando iniziò, proprio qui all’Appiani, la sua splendida carriera di allenatore. Ho vissuto in un calcio indimenticabile, in un mondo indimenticabile. Sono un vecchiotto e, come tutti i vecchiotti, sarò pure malato di nostalgia. Non so se parlo a nome di tutti quelli che hanno calcato quel tappeto stupendo, ma facciamo qualcosa per salvarlo». E fioccarono le firme, insieme alla mobilitazione dei tifosi e al sussulto della città. Con conseguente congelamento di ogni decisione da parte del Comune.
Zanon è ritornato in campo, all’Appiani, insieme a Coco Rosa pochi giorni fa: salvato lo stadio (che comunque si merita il vincolo della Sovrintendenza), rimane il sogno di vederlo trasformato in un museo del calcio padovano.
A due passi da Prato della Valle, con la curva che guarda il velodromo e la gradinata che riflette l’ombra delle cupole del Santo, l’erba è cresciuta con la storia del Calcio Padova: la formazione capitanata da Scagnellato, i campioni degli anni ’70 sprofondati in serie C e quelli della rinascita conclusasi con il ritorno nell’Olimpo del calcio e il «trasloco» della squadra nell’orribile stadio Euganeo (30 mila posti). E’ quello costruito con i contributi straordinari dei Mondiali, una vera e propria cattedrale nel deserto. L’ultimo stadio delle tangenti, affare d’oro per i partiti della Prima Repubblica con la posa della prima pietra il 2 dicembre 1989. Ha ospitato la prima volta del Cittadella in serie B, che i «cugini di campagna» sono riusciti a riconquistare, mentre il blasone biancoscudato non vale nemmeno i playoff.
Costruito negli anni Venti, l’Appiani costò alle casse comunali 66.046 lire. Venne inaugurato ufficialmente il 19 ottobre 1924 con la partita di campionato vinta dal Padova 6-1 sulla Doria: il campo (110 x 65 metri) vantava un perfetto sistema di drenaggio naturale in stile inglese, mentre le tribune ospitavano 1.300 spettatori e le gradinate altri 8.000. L’Appiani è ristrutturato negli anni ’60, raggiungendo la capienza di 18 mila spettatori. Infine, gli ultimi lavori vent’anni fa. Ma l’erba e la tribuna centrale in legno continuano ad essere sempre originali.
Il calcio, a Padova, è indissolubilmente legato all’Appiani. Lo ricorda ogni volta Ezio Vendrame, l’anti-conformista per eccellenza. «Ho giocato nel Padova per due stagioni, nella piena maturità della carriera e ho potuto gustare fino in fondo il fascino di quel campo. Ricordo ancora l’emozione di attraversare il tunnel che porta dagli spogliatoi al prato, il rumore della gente pronta ad osannarti, gli odori degli spogliatoi». Vendrame il 22 maggio 1977 in Padova-Cremonese, vedendo il pubblico annoiarsi per un pareggio annunciato, ebbe il coraggio di scartare tutti i compagni di squadra, involarsi verso la porta del Padova e fermarsi all’altezza del dischetto del rigore di fronte al proprio portiere. L’intero stadio scoppiò a ridere, dopo aver ammirato in un silenzio allibito l’incredibile performance.
All’Appiani tutti i veri padovani hanno messo piede almeno una volta. Per le partite di calcio o quando il Petrarca Rugby collezionava scudetti, ma anche per i grandi concerti e i primi «eventi» popolari. Oggi malinconicamente lo stadio è il simbolo della Padova che gira le spalle alla sua storia, sportiva e non: abbandonato e vuoto, come i vicini impianti Tre Pini della polisportiva targata Antonianum.
Il sipario sulle glorie calcistiche dell’Appiani è sceso il 29 maggio 1994: Padova-Palermo concludono i 90 minuti senza un gol. E per riconquistare la serie A a distanza di 32 anni i biancoscudati dovranno piegare il Cesena nello spareggio a Cremona. Ma il nuovo stadio (con la pista d’atletica a tener lontano il pubblico) diventa un incubo anche per chi gioca in uno scenario surreale: né curve dietro le porte né tetto in tribuna, ma con l’eco del traffico in tangenziale amplificato dal deserto di periferia. E il Padova precipita senza paracadute, fino a piombare in C/2 giusto quando lo stadio delle tangenti viene completato e si immagina di spianare definitivamente l’Appiani.