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 2009  marzo 26 Giovedì calendario

L’EQUIVOCO CHE CALTAGIRONE DOVREBBE CHIARIE


Sono passati quasi nove anni da quando, sfruttando una memorabile fase di euforia borsistica, Francesco Gaetano Caltagirone collocò con successo quella che allora era la sua newco per l’editoria, battezzata Caltagirone Editori. Strappò ai nuovi soci un prezzo che non si sarebbe più rivisto al listino, pari a 18 euro per azione, oggi più che decimato. Già cronicamente depresso quando la borsa non era ancora sprofondata nel baratro attuale, negli ultimi due anni il titolo è precipitato da 7 euro fino al fondo di 1,56 euro e nel solo primo scorcio del 2009 ha accusato un ennesimo arretramento del 27%. A dire il vero il mercato ha costantemente mostrato verso questo titolo ben poca passione, prim’ancora che l’editoria fosse travolta da una delle peggiori congiunture. La ragione è nota: stracolma di liquidità in seguito a un collocamento che le ha permesso di incamerare circa 500 milioni, la casa editrice ha sempre dimostrato di considerare tutta quella cassa come denaro a disposizione per coltivare affari e situazioni di potere. Nei suoi bilanci si sono viste transitare pertanto partecipazioni in Rcs, in Bnl, Mps e Generali, asset che - salvo il primo - con l’editoria poco avevano a che fare. Operazioni, sia chiaro, che negli anni hanno portato anche guadagni cospicui alla casa editrice (non meno di 90 milioni) ma che non hanno mai trovato riscontro nella quotazione del titolo. Paradossalmente, quando Caltagirone ha compiuto un vero, per ora unico, investimento nell’editoria, lo ha fatto per acquisire un quotidiano come il Gazzettino di Venezia dalla redditività piuttosto problematica, spendendo circa 200 milioni con cui oggi sarebbe possibile entrare in possesso di quasi metà della Rcs o, a scelta, del 70% dell’Editoriale Espresso.

Il momento nero della carta stampata e della raccolta pubblicitaria da un lato e la caduta drammatica delle borse hanno imposto alla società di chiudere per la prima volta un bilancio in passivo (per 10,9 milioni). Nel contempo il mercato, esprimendo una capitalizzazione di 200 milioni, mostra di valutare zero l’attività della Caltagirone Editore (Messaggero, Mattino, Leggo, oltre al Gazzettino) e addirittura pretende uno sconto rispetto alla stessa liquidità che la società ha in cassa (262 milioni). Una situazione oggettivamente imbarazzante. Di fronte a ciò, viene da domandarsi se non sia il caso di prendere atto del verdetto della borsa e ripensare al significato della quotazione da parte di una realtà di questo tipo. Per modificare tale situazione vi sono solo tre strade: 1) rilanciare la scommessa sull’editoria, approfittando dei prezzi favorevoli per chi si proponesse oggi come compratore; 2) restituire ai soci la forte liquidità che ancora la società possiede tramite un dividendo straordinario; 3) la via estrema del delisting, che avrebbe il pregio di mettere fine a una situazione quanto meno equivoca dal punto di vista dell’investitore che si trova a partecipare a un ibrido societario. Che però avrebbe il difetto di mettere alla porta i soci di minoranza nel momento per loro meno favorevole. Da questo punto di vista, la soluzione meno punitiva resta la restituzione ai soci della liquidità residuale.