Ilya Prigogine, il Manifesto 26/3/2009, 26 marzo 2009
TRAIETTORIE TEMPORALI
Grazie alle scoperte più recenti, la materia non ci appare passiva, come voleva la visione meccanicistica del mondo, ma è associata all’attività spontanea. Un cambiamento così profondo da far pensare a un nuovo dialogo tra uomo e natura. Un’anticipazione da «Lettera internazionale»
Una volta, il giovane Werner Heisenberg andò a fare un’escursione con Niels Bohr. Quello che segue è il racconto di ciò che Bohr disse quando giunsero al Castello di Kronberg: «Non è strano come cambia questo castello appena immaginiamo che Amleto ha vissuto qui? Come scienziati, pensiamo che un castello sia fatto solo di pietre, e ammiriamo il modo in cui l’architetto le ha messe insieme. Le pietre, il tetto con il suo muschio verde, le incisioni in legno della chiesa: tutto questo costituisce il castello. Nulla di tutto ciò può essere cambiato dal fatto che Amleto vivesse in questo luogo - eppure tutto è diverso. All’improvviso, le mura e i bastioni parlano una lingua diversa... Eppure, tutto quello che sappiamo di Amleto è che il suo nome compare in una cronaca del XIII secolo... Ma tutti conoscono le grandi questioni che Shakespeare gli mise in bocca, gli abissi umani che avrebbe rivelato, e dunque anche lui doveva trovare un posto su questa terra - qui a Kronberg».
Alla base del mondo meccanico
Naturalmente, questa storia ci porta a un problema che è antico quanto l’umanità stessa: il significato della realtà. Ed esso non può essere dissociato da un altro: il significato del tempo. Per noi, il tempo e l’umana esistenza, e dunque anche la realtà, sono concetti indissociabili. Ma è necessario che sia così? Cito uno scambio epistolare tra Einstein e il suo vecchio amico Besso. Negli ultimi anni, Besso tornava molto spesso sul tema del tempo. Che cos’è il tempo? Che cosa l’irreversibilità? Pazientemente Einstein rispondeva sempre: l’irreversibilità è un’illusione, un’impressione soggettiva, che deriva da condizioni iniziali eccezionali. La morte di Besso, pochi mesi prima di quella di Einstein, avrebbe interrotto quella corrispondenza. Alla morte dell’amico, in una lettera commovente alla sorella di Besso e al figlio, Einstein scriveva: «Michele ha lasciato questo strano mondo precedendomi di poco. Non è importante. Per noi fisici convinti, la distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione, ancorché persistente». Solo un’illusione. Devo confessare che questa frase mi ha molto colpito. Mi sembra che esprima in maniera straordinariamente efficace il potere simbolico della mente. Di fatto, nella sua lettera a Besso, Einstein reiterava ciò che Giordano Bruno aveva scritto nel XVI secolo e che è diventato il credo della scienza: « dunque l’universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l’atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere compreso; e però infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato, e per conseguenza inmobile». Per lungo tempo, la visione di Giordano Bruno avrebbe dominato la visione del mondo occidentale. E avrebbe condotto al mondo meccanico con i suoi due elementi di base: le sostanze immutabili come gli atomi, le molecole o le particelle elementari, e il moto. Certo, con la teoria dei quanti, sono intervenuti molti cambiamenti; tuttavia, le caratteristiche di fondo di questa concezione restano immutate. Ma come comprendere la natura senza tempo che pone l’uomo al di fuori della realtà che egli descrive? (...)
Nel Cimitero marino, Paul Valéry descrive la lotta dell’uomo per venire a patti con il tempo in quanto durata, con il suo arco limitato aperto su di noi. Nei Quaderni - quei numerosi volumi di appunti che scriveva di prima mattina - torna sempre e di nuovo sul problema del tempo: «Durata, scienza da costruirsi». In Valéry, c’è un senso profondo dell’inaspettato. Certo, egli non poteva accontentarsi di un determinismo universale che presuppone, in certo senso, che tutto è dato. Scrive Valéry: «Il determinismo - sottile antropomorfismo - dice che tutto accade come in una macchina così come posso comprenderla. Ma ogni legge meccanica è in fondo irrazionale - sperimentale... Il senso della parola determinismo è vago quanto quello della parola libertà... Il determinismo rigoroso è profondamente deista. Perché ci vorrebbe un dio per percepire questo incatenamento infinito completo. Bisogna immaginare un dio, un fronte divino per immaginare questa logica. un punto di vista divino. Di modo che il dio, sottratto alla creazione e all’invenzione dell’universo, viene restituito per la comprensione di questo universo. Che si voglia o meno, un dio è posto necessariamente nel pensiero del determinismo - ed è un’ironia rigorosa»
L’eredità del XIX secolo
Valéry fa un’osservazione molto importante: il determinismo è possibile solo per un osservatore posto al di fuori del suo mondo - mentre noi descriviamo il mondo dall’interno. Il tema del tempo non è un fenomeno isolato, nella prima parte del XX secolo: possiamo citare alla rinfusa, oltre a Valéry, Proust, Bergson, Teilhard, Freud, Peirce o Whitehead. Come abbiamo detto, il verdetto della scienza è definitivo: il tempo è un’illusione. Eppure, com’è possibile? Veramente siamo costretti a scegliere tra una realtà senza tempo che porta all’alienazione umana e un’affermazione del tempo che sembra rompere con la razionalità scientifica?
La maggior parte della filosofia europea da Kant a Whitehead appare come un tentativo di superare in qualche modo la necessità di questa scelta. La distinzione kantiana tra mondo noumenico e mondo fenomenico era un passo in questa direzione, come anche l’idea di Whitehead di filosofia del processo. Nessuno di questi tentativi ha avuto grande successo e il risultato è la progressiva decadenza della «filosofia della natura». Concordo pienamente con Leclerc quando scrive: «In questo secolo, subiamo le conseguenze della separazione tra scienza e filosofia che ha seguito il trionfo della fisica newtoniana del XVII secolo. E non è solo il dialogo tra scienza e filosofia che ha sofferto». Ecco una delle origini della dicotomia tra le due «culture». Esiste un’opposizione irriducibile tra ragione classica con la sua visione non-temporale e la nostra esistenza con la sua visione del tempo ben rappresentata dalla piroetta che Nabokov descrive in Guarda gli Arlecchini. Ma nella scienza sta accadendo qualcosa di drammatico - una cosa inaspettata quanto la nascita della geometria, o quanto la visione grandiosa del cosmo come è stata espressa nell’opera di Newton. Diventiamo progressivamente sempre più consapevoli del fatto che, a tutti i livelli, dalle particelle elementari fino alla cosmologia, la scienza sta riscoprendo il tempo.
Un dialogo tra scienze naturali e scienze umane, incluse le arti e la letteratura, può essere un nuovo inizio e forse svilupparsi in qualcosa di fruttuoso, come è stato nella Grecia classica o durante il XVII secolo con Newton e Leibniz. Per comprendere i cambiamenti del nostro tempo, può essere utile partire dall’eredità scientifica del XIX secolo. Questa eredità include due contraddizioni fondamentali a cui non è stata data alcuna risposta. Il XIX secolo è stato essenzialmente il secolo dell’evoluzione. Si pensi al lavoro di Darwin in campo biologico, di Hegel in filosofia o alla formulazione della famosa legge dell’entropia in fisica.
Cominciamo da Darwin. A parte l’importanza dell’Origine della specie, pubblicato nel 1859, c’è un elemento generale dell’approccio darwiniano che voglio sottolineare: l’idea di fluttuazioni spontanee nelle specie biologiche che, attraverso la selezione, conducono a un’evoluzione biologica irreversibile. Quindi, il suo modello coniuga due elementi: l’idea di fluttuazione, di casualità, di processo stocastico, e l’idea di evoluzione, di irreversibilità. Diciamo subito che, dal punto di vista biologico, questa idea conduce a un’evoluzione che corrisponde a una crescente complessità, all’auto-organizzazione.
Ciò è in aperto contrasto con il significato che generalmente è associato alla legge dell’aumento entropico così come è stata formulata da Clausius nel 1865. L’elemento fondamentale di questa legge è la distinzione tra processi reversibili e irreversibili. I processi reversibili non conoscono alcuna direzione privilegiata nel tempo. D’altro canto, i processi irreversibili implicano una freccia del tempo. Tale distinzione è ripresa nella formulazione della seconda legge della termodinamica che postula l’esistenza di una funzione, l’entropia, la quale, in un sistema isolato, può solo aumentare a causa della presenza di processi irreversibili, rimanendo invece invariata nel caso di processi reversibili. Dunque, in un sistema isolato, quando il sistema arriva all’equilibrio e i processi irreversibili a una conclusione finale, l’entropia raggiunge il suo massimo.
Probabilità e irreversibilità
stato uno dei più grandi fisici teorici di tutti i tempi, Ludwig Boltzmann, a dare la prima interpretazione microscopica dell’aumento dell’entropia. Egli si dedicò alla teoria cinetica dei gas con l’idea che il meccanismo del cambiamento, dell’evoluzione debba essere descritto in termini di collisioni tra molecole. La sua scoperta più importante fu che l’entropia è strettamente collegata alla probabilità. Di nuovo, come in Darwin, evoluzione e probabilità, casualità, sono strettamente connesse. Tuttavia il risultato di Boltzmann contraddice quello di Darwin. La probabilità raggiunge il suo massimo quando viene raggiunta l’uniformità. Si pensi a un sistema di due scatole che comunicano attraverso un forellino. Ovviamente, l’equilibrio sarà raggiunto quando il numero di particelle nelle due scatole è lo stesso. Ergo, l’approccio all’equilibro corrisponde alla distruzione delle condizioni iniziali, all’oblio delle strutture iniziali, in opposizione a Darwin per il quale evoluzione significa creazione di nuove strutture.
Così arriviamo alla prima questione, alla prima contraddizione che abbiamo ereditato dal XIX secolo: come possono Boltzmann e Darwin avere entrambi ragione? Come possiamo descrivere, da un lato, la distruzione delle strutture e, dall’altro, i processi che comportano l’auto-organizzazione? Eppure entrambi i processi usano elementi comuni: l’idea di probabilità (espressa, nella teoria di Boltzmann, in termini di collisioni tra particelle) e l’irreversibilità che emerge come risultato della descrizione probabilistica.
Ma prima di spiegare in che modo Boltzmann e Darwin abbiano entrambi ragione, analizziamo la seconda contraddizione. Le problematiche che affrontiamo ora sono molto più profonde dell’opposizione tra Boltzmann e Darwin. Il prototipo della fisica classica è la meccanica classica, lo studio del moto, la descrizione delle traiettorie che portano un punto dalla posizione A alla posizione B. I due tratti fondamentali della descrizione dinamica sono il suo carattere deterministico e quello reversibile. Una volta indicate le condizioni iniziali, possiamo predire rigorosamente la traiettoria. Quindi, a livello dinamico, sembra non esserci posto per la casualità o per l’irreversibilità. In certo modo, la situazione resta identica nella teoria dei quanti, dove parliamo di funzione d’onda e non di traiettorie. Di nuovo, la funzione d’onda evolve secondo la legge deterministica reversibile.
Un nuovo dialogo tra uomo e natura
Conseguentemente, l’universo appare come un grande automa. Abbiamo già detto che, per Einstein, il tempo nel senso di tempo direzionale, di irreversibilità, era un’illusione. Generalmente, come affermano molti libri e pubblicazioni, l’atteggiamento classico nei confronti del tempo è stato una sorta di sfiducia. In L’universo ambidestro, Martin Gardner scrive che la seconda legge della termodinamica rende solo improbabili certi processi, mai impossibili. In altre parole, la legge dell’aumento dell’entropia si riferisce solo a una difficoltà pratica, senza alcun fondamento profondo.
Analogamente, in Il caso e la necessità, Jacques Monod esprime l’idea che la vita sia solo un accidente nella storia della natura. una sorta di fluttuazione che per ragioni non chiare è in grado di mantenersi. certo che, qualunque sia la nostra comprensione di problemi così complessi, il nostro universo ha un carattere pluralistico. Le strutture possono scomparire, come in un processo di diffusione, ma possono anche nascere, come in biologia e, in modo ancora più visibile, nei processi sociali. Alcuni fenomeni sono ben descritti da equazioni deterministiche, come nel caso dei moti planetari; ma alcuni altri, come l’evoluzione biologica, possono comportare processi stocastici. Perfino lo scienziato più convinto della validità delle descrizioni deterministiche esiterebbe nell’affermare che al momento del Big Bang la data di questa mia conferenza fosse già iscritta nelle leggi di natura.
Viviamo in un unico universo. Cominciamo a vedere che l’irreversibilità e la vita sono iscritte nelle leggi fondamentali, anche a livello microscopico. Inoltre, l’importanza che attribuiamo ai vari fenomeni che possiamo osservare e descrivere è molto diversa, per non dire opposta, da quanto suggeriva la fisica classica per la quale i processi erano deterministici e reversibili. I processi che implicavano casualità o irreversibilità erano considerati eccezioni, meri artefatti. Oggi, ovunque vediamo all’opera processi irreversibili, di fluttuazione. I modelli considerati dalla fisica classica sono per noi limitati a situazioni che possiamo creare artificialmente, per esempio mettendo una certa quantità di materia in una scatola e aspettando che essa raggiunga l’equilibrio.
L’artificiale può essere deterministico e reversibile. Il naturale contiene elementi essenziali di casualità e di irreversibilità. Ciò conduce a una visione della materia in cui essa non è più passiva, come affermava la vecchia visione meccanicistica del mondo, ma è associata all’attività spontanea. Questo cambiamento è così profondo che credo si possa veramente parlare di un nuovo dialogo tra l’uomo e la natura. (...)
Se avessimo chiesto a un fisico, solo pochi anni fa, che cosa la fisica è in grado di spiegare e che cosa lascia aperto, ci saremmo probabilmente sentiti rispondere che ovviamente non conosciamo abbastanza le particelle elementari o le caratteristiche cosmologiche dell’universo nel suo insieme, ma tra questi due estremi le nostre conoscenze sono abbastanza soddisfacenti. Oggi, una minoranza crescente (alla quale anche io appartengo) non condividerebbe un atteggiamento tanto ottimistico. Personalmente, sono persuaso che ci troviamo solo all’inizio di una più profonda comprensione della natura intorno a noi, e ciò mi sembra di enorme importanza per includere la vita nella materia e l’uomo nella vita. (...)