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 2009  marzo 27 Venerdì calendario

FRANCESCO RUGGERI PER LIBERO

«BOOM DI DISOCCUPATI». MA COME LI CALCOLANO?

Come si calcola il numero ufficiale dei disoccupati? Fino a qualche giorno fa avremmo detto che l’Istat provvede a determinare l’entità di chi cerca lavoro raccogliendo dati reali, presso l’Inps o le associazioni di categoria, piuttosto che da centri per l’impiego, camere di commercio, sindacati o enti locali. E invece così non è. L’Istituto statistico nazionale effettua la ”Rilevazione continua sulle forze lavoro” (Rcfl) unicamente attraverso un sondaggio (in gran parte telefonico) tra gli italiani. Avete capito bene: una mera indagine campionaria, con cui si chiede ai componenti di alcune migliaia di famiglie estratte a caso dall’anagrafe comunale, se sono o meno alla ricerca d’occupazione e disponibili a lavorare. Fidandosi della risposta sulla parola. Senza alcun possibile controllo, o pezza d’appoggio.
un paese in allarme

 con questo sistema che la scorsa settimana è stato annunciato il forte incremento del tasso di disoccupazione nell’ultimo trimestre 2008, passato al 7,1% dal 6,6 anche a seguito dell’improvviso boom di ex inattivi a caccia di un posto. Portando acqua al mulino dei catastrofisti che dipingono un’Italia in ginocchio, e dei centri studi di Cgil e Confindustria che a questi dati si appoggiano. Prudenzialmente la stessa Istat - con la sobrietà che la contraddistingue - li definisce una ”stima”. Ma pur nel rispetto degli standard internazionali per la realizzazione dei sondaggi, e aldilà del recente adeguamento ai parametri europei, l’indagine sul mercato del lavoro rimane sempre uno strumento di autovalutazione e autocertificazione, per giunta randomico. Con tutti i limiti connessi. Amplificati dall’italica attitudine alla furbizia. E trattandosi di un ausilio conoscitivo ”indispensabile per decisori pubblici e media”, forse sarebbe lecito aspettarsi un supplemento d’attenzione.

Per farsi un’idea di come si giunga al computo dei disoccupati, basta scorrere le domande del ”Questionario elettronico” adoperato dai rilevatori Istat, una copia del quale è consultabile su http://www.istat.it/lavoro/lavret/forzedilavoro/05_Questionario.pdf. Si comincia coi due quesiti ai punti F7-F8: ”Lei cerca un lavoro?”, ”Nelle ultime 4 settimane ha fatto qualcosa per cercare un lavoro?”. In caso di risposta negativa, il tentativo è di trovare un appiglio, a costo di arrampicarsi sugli specchi: ”Anche se al momento non sta cercando lavoro, vorrebbe comunque lavorare?” (F12a), ”Ha intenzione di cercare lavoro nei prossimi 12 mesi?”(F15). A quanti dichiarano di aver cercato un impiego nel corso dell’ultimo mese, viene quindi chiesto di specificare se sarebbero ”disponibili a lavorare entro 2 settimane”. E soprattutto quale azione di ricerca abbiano effettuato, segnalandola da un elenco talmente vago da risultare inutile. Tra le azioni in lista figurano infatti le seguenti possibilità: ”Si è rivolto a parenti, amici, conoscenti”, ”Ha esaminato offerte di lavoro su giornali o internet”, ” stato segnalato a potenziali datori di lavoro da amici o parenti”, ”Ha avuto contatti con un centro pubblico per l’impiego (ex collocamento) o agenzia interinale”, ”Ha inviato una domanda per un concorso o consegnato curriculum”. O persino ”Altra azione”, a piacere. sufficiente un semplice sì per barrare una voce, ed esser conteggiati tra i disoccupati (coloro che cercano lavoro attivamente) invece che negli inattivi. D’altronde chi già in partenza si dichiara disoccupato, difficilmente tenderà a smentirsi. Specie se non deve dimostrarlo. Il problema è se poi il famoso lavoro, ma uno qualsiasi, lo si cerca davvero (e con urgenza).

Ad esempio i disoccupati organizzati napoletani, di cui vi abbiamo parlato giorni fa, finirebbero nel novero degli aspiranti a un impiego. Semplicemente perché fingono da una trentina d’anni di mendicare un posto da operatori ecologici. E la loro invasione violenta del palazzo regionale, o la frequenza dei corsi fantasma, potrebbero figurare come ”azione attiva” secondo i criteri Istat, magari nella sezione ”Altra”. Analoghe fattispecie rappresentano tutt’altro che un unicum. Anzitutto al sud, dove il sommerso e l’arte di arrangiarsi la fanno da padrone. E il lavoro viene identificato quasi soltanto col posto pubblico a tempo indeterminato. Eppure il discrimine utilizzato dal Questionario per dividere occupati da non occupati, coincide con l’improbabile ammissione d’aver svolto ”almeno un’ora di lavoro” nell’ultima settimana. Ricavandone un generico guadagno (financo in natura o in servizi), o anche senza guadagno, ove effettuata presso la ditta di un familiare. Come appare evidente, chiunque lavori (si fa per dire) in condizioni tante precarie e risicate, difficilmente lo confesserà nel corso di un sondaggio mirato a determinare la propria condizione occupazionale. Tendendo piuttosto a presentarsi come disoccupato tout court. Quand’anche nel timore di perdere eventuali sussidi, o l’iscrizione al collocamento. Di un simile rischio dev’esser ben conscia anche l’Istat. Che guarda caso nella sezione I, ”Condizione attuale”, domanda direttamente all’intervistato di chiarire ”in conclusione come si considera: occupato, disoccupato in cerca di nuova occupazione o di prima occupazione”. Un quesito specifico sulla condizione soggettiva percepita, mantenuto in griglia benchè i regolamenti comunitari non lo prevedano. Tornando al tasso di disoccupazione 2008, non è affatto da escludere che tra i migliaia definitisi alla ricerca di un impiego dopo inattività più o meno lunghe, molti lo abbiano fatto sull’onda emotiva del clima di generale pessimismo. Come campavano fino a ieri altrimenti?
che pessimismo

In tempo di crisi si ha qualche remora in più a presentarsi come nullafacenti, e cassintegrati o affini già ricadono tra gli occupati. Esiste inoltre tutta una serie di possibili errori connaturati alla metodologia sondaggistica. E a questa dell’Rcfl in particolare. Ne dà conto proprio l’Istat nel volume ”La rilevazione delle forze lavoro: metodologia e organizzazione”. Il campione base dell’indagine comprende 77.000 famiglie a rotazione trimestrale, pescate casualmente dalle anagrafi dei residenti di 346 grandi città e 1.246 medio piccole parimenti sorteggiate. L’estrazione la fanno i comuni sulla scorta di una lettera di istruzioni e di un software. La prima intervista dovrebbe essere faccia a faccia, le altre 3, a distanza di 3, 12 e 15 mesi, telefoniche (Cati), e realizzate da una ditta esterna. Il telefono viene utilizzato anche per smaltire carichi arretrati e recuperare lo stop di agosto e delle vacanze natalizie. Vengono sentiti, ove disponibili, tutti i membri del nucleo familiare tra i 15 e i 64 anni.

I guai arrivano quando non si riesce a sondare la famiglia prescelta. Ma lasciamoci illuminare in merito dal volume Istat, pag. 134 e successive. ”Come accade per la maggioranza delle indagini campionarie anche per la Rcfl il numero di famiglie realmente intervistate è inferiore a quello previsto dal disegno campionario a causa dell’impossibilità di intervistare alcune famiglie per difficoltà di reperirle, reticenza nel fornire informazioni, e rifiuto a partecipare associato a eccessive interviste e pesantezza del questionario. Realizzando meno interviste del dovuto per certe tipologie familiari si determina una distorsione dei campione che può distorcere le stime finali. Il meccanismo di sostituzione delle famiglie decadute non garantisce l’uniformità rispetto a quelle base. ormai noto che alcune tipologie difficili da reperire (giovani single e coppie) vengono sostituite con altre più disponibili (coppie anziane, famiglie numerose). In secondo luogo, in caso di irreperibilità o rifiuto la procedura telefonica non prevede alcuna sostituzione, generando un sottodimensionamento del campione”.
troppi errori

E ancora: ”A livello individuale il campione effettivo non rappresenta adeguatamente i giovani di 25-34 anni e sovrarappresenta gli over 55. Rendendo necessario un correttore. Le differenze sono accresciute dal fatto che il dato anagrafico è aggiornato a 3 mesi dal trimestre mentre le famiglie del campione sono estratte fino a 2 anni prima. La quota di stranieri è più bassa che nelle fonti anagrafiche, e sono esclusi i conviventi in istituti religiosi e caserme. Solo il 63.6% dei comuni ha effettuato l’estrazione dei nominativi secondo le specifiche Istat”.

A gestire le interviste ”autocertificanti’ è una rete di 300 rilevatori che, manco a farlo apposta, si autoformano. ”La fase di autoapprendimento, tramite un pacchetto multimediale, dura 5 giorni”. Comprensibile che nemmeno l’Istat si fidi in pieno di loro, e metta in atto un controllo telefonico a posteriori sulle famiglie, per verificare l’avvenuto sondaggio e il suo andamento.