Giancarlo Dotto, La stampa 26/3/2009, 26 marzo 2009
«VIVO NEL LETTO MA HO MURATO IL MIO SESSO»
Chi le vuole bene, ora le vuole ancora più bene. Si è fatta fotografare da un amico come una barbona, una signora barbona da manuale, di più, da romanza, che sbuca intirizzita da un fagotto di cartoni e stracci, sulla panchina di un parco pubblico a Roma, stretta al suo peluche, Richard Gere, il cagnolino complice con un testicolo solo. Una strenna per televisioni e giornali, che infatti si buttano ingordi e sparano le foto a confronto, la barbona di oggi e la vamp di ieri, quando posava per «Playboy», uno schianto di donna. Vere, verosimili e finte allo stesso tempo, l’una e l’altra, la biondona che era, la barbona che è o quella che forse sarà.
Una come Concetta Immacolata Biagini, detta Isabella, la puoi raccontare in mille modi, io ne conosco solo uno. Lo strepitoso clown che la smuove dentro, il talento spesso bestemmiato, esibito in privato per pochi amici fortunati piuttosto che al mondo, per il quale Isabella Biagini resta la dimenticabile pupazza supermaggiorata degli Anni 70, sogno all’asta della caserma che è in noi e fuori di noi. Nata con la vocazione della crocerossina, a tredici anni è già la bonona pronta per il Grande Equivoco. Ambizione zero. Troppo Concetta e troppo poco Isabella. Poteva diventare la più grande attrice comica del cinema italiano, aveva e non le importava niente di averlo lo stesso genio guitto di Totò, ma troppe tette e troppo culo, troppo bella, troppo mamma.
Il dolore di madre
Da dieci anni in qua, da quando ha perso la figlia Monica, cancro fulminante al fegato, il clown si sveglia tutte le mattine con il dolore infinito addosso della madre. Insieme sono uno spettacolo, questo sì, che non si può raccontare. «Aveva 36 anni Monica e andavamo a misurarle l’abito da sposa il giorno in cui si sentì mancare». Per il resto, è vero, la Biagini non se la passa bene. Seicentocinquanta euro il mese di pensione, l’occhiale da vista da tre euro e il batticuore tutte le volte che apre la cassetta della posta, come si fa con le carte da poker. Un sollecito di pagamento o una bolletta inevasa?
L’ultima volta l’avevo incontrata, Isabella, nel camerino del Teatro Cristallo a Trieste, quindici anni fa, più o meno, seguendo lungo le scale la voce di Anna Magnani. «A Spartaco, mannali via ’sti signori....». Insaccata in un pigiama rosa, che divorava uno yogurt dopo l’altro e misurava la pressione a chiunque, mentre si aggiustava il cappello e le ciglia finte da baronessa. «Mi piace misurare la pressione alla gente, è una cosa che crea intimità». Non imitava Anna Magnani, era Anna Magnani. Caso impressionante di trance. «La pupazza bionda è finita, non c’è più, è morta», lo diceva con la voce di Tina Pica, mentre strofinava con l’alcol qualunque cosa. «Non sono mai stata una donna da sesso. Sul letto faccio di tutto, dormo, mangio, prego, scrivo, aspetto Monica. Tutto meno che il sesso. E invece ho sempre incontrato uomini assatanati, per questo un giorno me la sono murata viva», racconta oggi con la voce di Greta Garbo doppiata da Tina Lattanzi.
Anna Magnani l’aveva adottata. «Diventai intima della sua casa a Palazzo Altieri, dei gatti bianchi, della sua vestaglia tigrata. "Te possin’ammazzatte, pare proprio che t’ho partorita io a te», mi diceva. La veneravano Silvana Mangano e Fabrizio De Andrè. «Veniva a trovarmi a casa e mi cantava "Marinella" con la sua chitarra che io avevo riadattato...". Questa è la storia vera di Isabella». Fellini l’adorava. «Federico mi chiamava: sto arrivando Isabellina. Gli piacevano tanto due uova al tegamino, l’insalata e i miei racconti di bimba. Mi chiese se volevo doppiare la francese Magali Noel in "Amarcord" e io gli dissi "no", volevo la parte. E lui: "Isabellina tu hai un viso ottocentesco, non ce l’hai l’occhio di quella che porta via il marito e s’attacca all’alcol. Quella notte che morì all’ospedale, un freddo cane, ero lì al suo capezzale. Federico non ci ha mai provato con me, era troppo intelligente. Aveva capito che con una così, si gioca e si ride, ma non si scopa».
Michelangelo Antonioni, la sua prima vittima maschile. «Avevo dieci anni. Mia madre mi portava la domenica a via Veneto. Vidi un signore che inciampò in un’aiuola e crollò comicamente a terra. Lo aiutai a rialzarsi. Era Antonioni. Sono caduto per colpa dei tuoi occhi, mi disse con delicato imbarazzo». Sul set de «Le amiche», Isabella era la mascotte della troupe. Luchino Visconti la esortava a studiare. «Ma io non ho mai studiato, faccio solo i personaggi che dentro hanno l’animella. Recitare mi ha sempre fatto schifo».
Buttò a mare la grande occasione. Dino De Laurentiis la voleva in America per reincarnare Jean Harlow. Doveva essere la bella concupita nella riedizione di «King Kong». «Rifiutai l’America, King Kong, la Cadillac tutta d’oro e la parte andò a Jessica Lange». Paura di volare, paura di lasciare Monica a casa. Strappò quasi la lingua a Steve Reeves che voleva baciarla in bocca e respinse Alain Delon che aveva la stessa fregola, al motto di «La bouche è sacra». «La Biagini? Brava ma inaffidabile», si cominciò a dire nell’ambiente. Le restarono i film con Montesano e Noschese, la televisione, le serate a «biaginare» nelle balere più trucide, ma vicine a casa, quando tornava la notte a casa dalla madre, dalla figlia e dai cani con i bigliettoni avvoltolati nel reggiseno extralarge.
Dieci anni dopo, a 64 anni, Isabella è sempre lì che passa gran parte del suo tempo nel lettone di casa pieno di reliquie. «Sotto il cuscino tengo il pigiama e il pannolone di nonna Damiana, conservato nel cellophane. L’ho rubato in ospedale il giorno che è morta cinquant’anni fa. Lo annusavo e c’era nonna che mi dava tanta forza. Quell’odore misto di pipì e sudore, dell’ultimo momento del suo respiro. Non lavarlo, supplicavo mia madre, perché se no non c’è più nonna, c’è il detersivo». Nonna Damiana, che portava la nipotina Concetta a vegliare cadaveri sconosciuti dentro i portoni listati a lutto di Taranto, a surrogare e surclassare i parenti veri.
Il letto-sepolcro
Soprattutto, c’è Monica nel letto sepolcro di Isabella e nel suo irriducibile, macabro amore di madre. «Ho conservato la sua camicia da notte e i rimasugli del fegato che ha vomitato dalla bocca prima di morire. Li tengo custoditi sotto vetro e alcol. E’ tutto quello che resta di questa mia bambina. Non stavo nella pelle il giorno che me l’hanno messa al seno... Avrei voluto darle un pezzo del mio fegato, ma era già tardi». E’ stata, allora, la sua ultima grande prova d’attrice. «Mi chiudevo nel bagno dell’ospedale a impupazzarmi tutta. Il rossetto forte, gli occhi sbaffati alla Charlot, i capelli giallo pannocchia, perché così Monica si tranquillizzava, se mi conciavo a quel modo, allora non era così grave».
Oggi Isabella recita solo per Richard Gere, il suo cane. Gli fa il verso di Paperino e pantomime varie quando lo vede triste. «La storia della barbona nasce così: ascolto il pezzo di Marco Masini di Sanremo, la frase "dare voce a chi non ha voce" e l’ingiustizia che vivo dentro da due vite mi scoppia nel cuore, mi scatta qualcosa. In questi anni ho fatto di tutto per campare, anche la commessa. Mi dicono che esiste questa legge Bacchelli, il vitalizio per gli artisti in miseria. Ho chiamato il mio amico fotografo e mettiamo in scena il mio prossimo futuro, il giorno in cui mi butteranno fuori di casa. Non devo inventarmi nulla, la disperazione ce l’ho, è tutta mia. Che dici, ho fatto bene o male? Me lo chiedevo anche l’altra sera quando mi sono addormentata con la televisione accesa e la camomilla sul fuoco. Sognavo Monica, De André e Gaber sull’altalena con la chitarra che mimavano la canzone di Masini. Mi sono svegliata che la casa era invasa dal gas, Richard Gere mezzo morto e io pure. Posso dire che Marco Masini mi ha salvato la vita».
1. Concetta Biagini, in arte Isabella, agli inizi della carriera 2. In posa da maggiorata svampita: al suo attivo ha più di venti film. 3. Con Maurizio Costanzo, in una delle innumerevoli apparizioni in tv. 4. Barbona, su una panchina: così Isabella Biagini ha messo in scena quello che potrebbe essere il suo prossimo futuro, se la cacceranno di casa.