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 2009  marzo 26 Giovedì calendario

DANIELE MARTINI PER PANORAMA 26 MARZO 2009

Vogliamo essere milionari. L’Italia che gioca Superenalotto, poker online, gratta e vinci, lotterie, corse dei cavalli... Nel 2008 sono stati spesi quasi 48 miliardi di euro in scommesse. Perché, ora che le puntate non sono più clandestine e illegali, il sogno di diventare ricchi aiuta a esorcizzare la crisi. Radiografia di una mania che cattura una persona su tre.
La crisi? E chi l’ha vista? Se le banche soffrono, le fabbriche traballano e la cassa integrazione aumenta, per il settore dei giochi è sempre primavera. Quarantasette miliardi e mezzo di euro di giocate nel 2008, più 12,7 per cento, 50 miliardi a fine 2009 secondo le previsioni degli esperti confermate dall’andamento dei primi mesi dell’anno. Nel primo bimestre sono stati complessivamente giocati altri 8,6 miliardi, più 9,5 per cento rispetto allo stesso periodo di un anno fa.
Non sono fiammate o bolle destinate a rapido sgonfiamento. è una tendenza stabile, il fenomeno di massa più vistoso degli ultimi anni. «La crescita non sembra destinata a fermarsi, almeno in tempi brevi» sintetizza Paolo Franci, direttore dell’Agipronews, agenzia di stampa specializzata in giochi e scommesse. Nel 2008 sono stati venduti 2 miliardi e mezzo di tagliandi del Gratta e vinci, i giocatori sono stati 17 milioni, un italiano su tre compresi bambini e lattanti. Le «new slot», le macchinette di bar e tabaccherie, hanno incassato da sole quasi 22 miliardi di euro (più 15,2 per cento). Le scommesse sportive sono cresciute del 51 per cento rispetto all’anno precedente e il Superenalotto, che sembrava destinato a una tranquilla maturità, è tornato a correre grazie al montepremi da 100 milioni dell’inizio d’autunno, e tuttora fila spedito sfruttando l’onda lunga di quel fortunato successo.
A ottobre 2008 è stato lanciato in rete il poker e l’impatto è stato così travolgente, a colpi di decine di milioni di giocate di euro in più da un mese all’altro, da lasciare esterrefatti i più ottimisti. Anche le donne sono entrate in partita, protagoniste di tornei seguitissimi, tanto che ora sta nascendo una specie di Facebook del poker in rosa, un luogo dove le giocatrici si scambiano esperienze e consigli. Secondo Fabio Felici, direttore dell’Agicos, l’altra agenzia specializzata nei giochi, la crescita è così tumultuosa che a fine 2009 il fatturato del poker online sarà di almeno 2 miliardi di euro.
Sono anni che il settore va avanti così, un record dopo l’altro, con incrementi impressionanti: 19 miliardi e mezzo giocati nel 2004, 27 l’anno successivo, 34 nel 2006, 40 nel 2007, 47 nel 2008 (vedere la tabella nella pagina accanto).
Sembra che le aziende del settore, le tre storiche, Lottomatica, Sisal e Snai, le straniere. come la greca Intralot, e le ultime arrivate, tipo la Gioco digitale, si divertano un mondo a sfatare una teoria consolidata, e cioè che il «gambling» per sua natura sia anelastico e quindi raggiunto un certo livello si fermi. Invece, i giochi sembrano senza fondo, come il pozzo di San Patrizio.
Ci sono almeno tre modi di interpretare il fenomeno, non necessariamente in contrasto. Prima spiegazione: il boom è frutto di un gigantesco effetto di sostituzione. Al posto di quel mare torbido costituito dall’azzardo, in mano da decenni alla camorra e alla delinquenza organizzata, si sono imposti giochi regolari e puliti. Solo per quanto riguarda le macchinette da bar, per esempio, in un quinquennio sono stati sequestrati 700 mila videopoker illegali e la loro eliminazione ha aperto le porte a una generazione di 300 mila new slot legali, poi in parte di nuovo inquinate dall’illegalità e ora in via di sostituzione con impianti presentati come a prova di truffa. Idem le scommesse sportive, soprattutto quelle online, lanciate da siti improbabili a Malta o nell’Isola di Man e via via sostituite da un’offerta trasparente affidata a 130 concessionari riconosciuti dai Monopoli di Stato.
L’emersione dal sottoscala del gioco nero, però, da sola non basta a spiegare il boom. Neppure gli effetti psicologici prodotti dalla congiuntura economica sfavorevole aiutano a capire fino in fondo il fenomeno. Economisti e sociologi sostengono che proprio nei momenti di crisi come questo, quando le prospettive di crescita e le aspettative di benessere diventano incerte, la gente si tuffa sulla fortuna non rinunciando almeno al sogno, magari sottraendo quattrini alle spese impegnative, ai beni durevoli come l’automobile o i grandi elettrodomestici, oppure alle uscite voluttuarie, ma costose, come i viaggi verso mete esotiche. è insomma lo stesso meccanismo che gli esperti di marketing notano a proposito dei prodotti alimentari: quando le cose non girano per il verso giusto, i consumatori si gratificano con la tavola. Però la crisi è roba recente, mentre i giochi crescono ininterrottamente da anni.
Il boom ha una terza spiegazione, più profonda e in parte collegata alle due precedenti. Fino alla fine degli anni Novanta l’Italia era un paese sostanzialmente disinteressato al gioco, fenomeno considerato moralmente poco raccomandabile e osteggiato dalla Chiesa. L’idea che si potesse giocare alla luce del sole, sotto la sorveglianza dello Stato, che oltretutto ci guadagna riscuotendo le tasse, si è fatta strada piano piano e alla lunga è stata dirompente perché non solo ha dato un’alternativa pulita a molti clandestini assatanati, ma ha sdoganato il gioco avvicinandolo a chi ne era lontano.
Oggi il giocatore non è più considerato un reietto, anzi la figura del maniaco incallito è stata sostituita da un identikit più sfumato, meno preciso e marcato. Giocatori possono essere tutti e nessuno; giocare non è più ritenuto per forza un vizio, l’inevitabile anticamera di ludopatie devastanti, ma un’attività come un’altra per chi è appassionato, un passatempo, di tipo particolare quanto si vuole, da regolamentare con oculatezza e da tenere sotto controllo tramite un’agenzia statale, ma non da ostacolare o sabotare. Il gioco, in sostanza, è diventato una componente della quotidianità di molti italiani, che lo hanno accettato così come 20 anni prima avevano scoperto che comprare azioni in borsa o quote di fondi di investimento non era un tabù o una faccenda di pochi, ma una scelta e un’opportunità.
Nessuno poteva prevedere che finisse così quando, una decina di anni fa, pronubo Massimo D’Alema, il governo di centrosinistra si fece promotore del lancio del Bingo, che con il Superenalotto irruppe su una scena polverosa dominata dai vecchi concorsi a pronostico, tipo Totocalcio e Totip. Senza saperlo avevano scoperto un filone d’oro. Che come tutti i filoni ha bisogno di cure e di uno sfruttamento razionale per essere coltivato al meglio.
Non tutti i giochi sono uguali e non tutti sono destinati ad avere fortuna; proprio la vicenda del Bingo, che vivacchia senza infamia e senza lode con appena poche centinaia di sale aperte rispetto alle 1.000 e passa dell’inizio, sta a dimostrarlo.
Ci sono giochi che, mentre il settore galoppava, sono stati praticamente spazzati via, come il Totocalcio e il Totogol. Altri che stanno cercando un livello di stabilità dopo aver raggiunto la maturità, come il Lotto. E altri, infine, che stentano dopo avere vissuto giorni di gloria, tipo le scommesse ippiche. Gli esperti dicono che ora è il tempo dei giochi veloci e comodi, perché i giocatori non hanno tanta voglia di aspettare per sapere se hanno vinto o perso, magari puntano pochi euro alla volta, ma vogliono il responso immediato. Oppure si siedono sul divano di casa davanti al computer e dedicano al gioco il tempo che ci vuole, anche lunghe sedute se si tratta di «skill game» (giochi di abilità) come il poker.
Ogni grande concessionario ha la sua strategia di mercato, partendo dal presupposto che i giocatori si conquistano e si perdono come qualsiasi altro tipo di cliente, tutto dipende dalla qualità e dalla specificità dell’offerta.
Per esempio alla Sisal guidata da Emilio Petrone, per non disperdere il boom innescato dal jackpot da 100 milioni, a metà gennaio hanno lanciato un nuovo modo di puntare, il Gioca facile, con tagliandi molto simili a quelli del Gratta e vinci della rivale Lottomatica. E ora aspettano di capire se la trovata funziona o meno.
Per le scommesse sportive Snai e Lottomatica si contendono il mercato con strategie quasi opposte. Alla Snai il patron Maurizio Ughi sta elaborando una formula battezzata Fai con me per consolidare la posizione di leadership detenuta in questo settore ormai da anni. L’idea si basa sulla convinzione che il cliente vada coccolato in un luogo tutto dedicato a lui. In pratica il giocatore entra in un’agenzia, si trova davanti a un monitor da 32 pollici e può effettuare le sue scelte e la sua puntata che poi viene convalidata dal personale di sala con giubbotto e cappellino con il marchio.
Alla Lottomatica, invece, le agenzie dedicate non piacciono: «Ci sembrano borderline e rischiano di allontanare il cliente normale a cui puntiamo. Preferiamo gli spazi aperti dentro bar e tabaccherie» spiega Renato Ascoli, direttore del servizio giochi. Dopo nemmeno 2 anni di attività la Lottomatica ha conquistato una quota di mercato di quasi il 20 per cento, mentre la Snai conserva nelle scommesse il suo punto di forza con il 35. I giochi sono aperti.