Giuseppe Bedeschi, Libero 25/3/2009, 25 marzo 2009
L’EX ARISTOCRAZIA ROSSA SUONA LA RITIRATA
Il fallimento politico della sinistra è il risultato diretto e inevitabile del suo fallimento culturale: non capita spesso di ascoltare una ammissione di questo genere fatta da un esponente di rilievo di quella intellighenzia di sinistra che per decenni ha esercitato una larga egemonia nella cultura italiana. Bisogna dare atto ad Aldo Schiavone (per molti anni - dal 1980 al 1988 - direttore dell’Istituto Gramsci, autore di apprezzati studi e organizzatore culturale assai noto) di aver fatto questa ammissione senza reticenze nel suo ultimo saggio ancor fresco di stampa, L’Italia contesa. Sfide politiche ed egemonia culturale (Laterza, pp. 90, euro 14).
In costante ritardo
Il vecchio Pci, dice Schiavone, dopo la morte di Berlinguer ha perduto anni preziosi. «Se, al momento della sua crisi, la Dc avesse avuto alla sua sinistra già da qualche anno un partito saldamente al di là del marxismo, con una revisione limpida e coraggiosa completamente compiuta e pronta a cogliere l’occasione, è molto probabile che la vicenda italiana avrebbe preso una strada completamente diversa, e ora dovremmo scrivere un altro racconto». Senonché, non solo il Pci-Pds non fece alcuna revisione ideologico-politica e rinunciò a diventare un onesto partito socialdemocratico, ma continuò a riproporre, in modo sempre più stanco e scolastico, il suo vecchio armamentario marxista. Il risultato fu che il partito post-comunista nulla capì delle straordinarie novità che, già a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, irrompevano sulla scena: il notevolissimo ridimensionamento della classe operaia impiegata nella fabbrica tradizionale (rivoluzionata dalle nuove tecnologie), il fortissimo impatto dell’informatica in tutti i settori della vita economica e sociale, una mondializzazione dei mercati e una dematerializzazione dell’economia, il sorgere di nuove professioni, di nuovi ceti, di nuove mentalità, di nuovi stili di vita. Mentre tutto ciò accadeva in Occidente, in Oriente l’Urss e i Paesi comunisti, additati per tanti anni come modelli, collassavano drammaticamente.
Di qui la crisi del pensiero marxista, del tutto incapace di intendere i nuovi sviluppi; di qui, anzi, la vera e propria scomparsa della cultura marxista. Schiavone rende assai bene il senso di crollo irrimediabile che quella eclisse del marxismo suscitò in molti: «Quel che risultava particolarmente penoso - e si sarebbe rivelato carico di conseguenze - era il modo in cui il marxismo abbandonava la scena: uno sconcertante sprofondare nel silenzio, un desolato ”rompete le righe” per una tradizione che pure aveva saputo dare contributi importanti alla storia intellettuale italiana, e che si era a lungo illusa di essere temprata per ogni battaglia». Il risultato fu che «da allora - dalla fine degli anni Ottanta - mentre tutt’intorno cambiava il mondo, a sinistra non c’è stata più un’analisi della nostra società degna di questo nome: della sua nuova configurazione, delle sue tendenze, dei suoi orientamenti, delle sue culture».
Ma i riconoscimenti di Schiavone non finiscono qui. Quella percezione del nuovo che è mancata alla sinistra, egli la trova in Berlusconi e nel ”berlusconismo”. Il leader di Forza Italia, egli dice, è «riuscito in una combinazione difficilissima», ha «condensato intorno a sé - starei per dire quasi fisicamente sulla sua persona, come forse solo Reagan, in America, aveva fatto con altrettanta intensità ed efficacia - un insieme di tendenze, di esigenze, di stati d’animo, di domande inappagate che appartenevano alla parte più veloce e trainante della nostra società - al suo segmento, appunto, più moderno», ed è «stato capace di collegarle con le pressioni e le richieste di un’Italia più elementare, arretrata e di secondo piano, ma non per questo meno desiderosa di contare ed esprimere le sue preferenze».
Berlusconi, insomma, ha «saputo ricavare da questa congiunzione eterogenea un amalgama relativamente stabile, dandogli non solo forma e consistenza politica, ma traducendolo poi in un messaggio potente, in grado di suscitare sentimenti forti - ripulse veementi di sicuro, ma anche un’onda di consensi come l’Italia del dopoguerra non aveva mai espresso per un suo leader».
Dopo questi lusinghieri riconoscimenti (del tutto insoliti, bisogna dirlo, sotto la penna di uno scrittore post-comunista), Schiavone inverte la rotta, e introduce nel suo quadro colori completamente diversi. Berlusconi non è riuscito a realizzare il suo programma, è fallito nel suo disegno di rivoluzione liberale.
Retorica del nuovo
L’occasione migliore l’ha avuta nei primi anni del Duemila, ma ora è troppo tardi. Tanto più che il contesto economico mondiale è cambiato profondamente, la vecchia fiducia liberal-liberistica nelle virtù taumaturgiche del mercato è andata distrutta sotto i colpi di una gravissima crisi del capitalismo; ora bisogna ritornare a politiche keynesiane, lo Stato deve ritrovare un nuovo ruolo nell’economia e nelle istituzioni. Questo è dunque, dice Schiavone, il momento della sinistra, la quale, se riesce a ripensare tutte le proprie categorie, può dare una risposta alta ai difficili problemi che incombono, può battere culturalmente e politicamente l’avversario, può ritrovare la perduta egemonia.
Direi che questa conclusione di Schiavone è una sorta di ”fuga in avanti”, in un certo senso obbligata per uno scrittore di sinistra, ma che non discende affatto dall’analisi condotta dall’autore in tutto il suo libro. E infatti Schiavone non è in grado di indicare una sola manifestazione di ripensamento culturale e politico della sinistra: le cui categorie restano irrimediabilmente vecchie e obsolete, la cui concezione della società è sempre di tipo assistenzialistico, la cui insensibilità per i necessari ammodernamenti da apportare al nostro sistema politico-istituzionale è totale (si pensi al nostro bicameralismo perfetto, unico al mondo, causa certo non ultima di una esasperante lentezza legislativa: ma affrontare questi problemi è per la sinistra segno di ”bonapartismo strisciante”, e anche Schiavone, purtroppo, indulge a questo brutto vezzo). Con questi chiari di luna parlare di una sinistra rinnovata è un puro esercizio retorico.