Sandro Iacometti, 25 marzo 2009
NEL 1993 STAVAMO IN UFFICIO 5 GIORNI IN PIU’ ALL’ANNO
Lavorare di più? Lo facciamo già. O meglio, lo facciamo più degli altri. Questo almeno è quello che ci dicono le statistiche internazionali. In Italia, secondo gli ultimi dati dell’Istat relativi al 2007, le ore pro capite lavorate in un anno sono in media 1.824. La cifra, ci spiega ancora l’Istituto nazionale, è andata progressivamente scendendo nel corso degli anni. Nel 1993, ad esempio, ogni occupato lavorava nei 12 mesi 1.862 ore. La riduzione non è però bastata a farci scendere nella classifica Ocse che riunisce tutti i Paesi industrializzati. In Europa siamo praticamente i più stacanovisti. Dietro di noi ci sono il Regno Unito (1.670 ), la Francia (1.561), la Spagna (1.652) e la Germania (1.433). Solo la Polonia (1.975) ci batte. Ma i nostri lavoratori superano persino gli americani, che più di 1.794 ore l’anno non riescono proprio a fare.
Siamo davvero così sgobboni? Non proprio. I numeri, come spesso accade, mentono. Intanto, c’è da dire che il metodo di calcolo utilizzato funziona negli altri Paesi, ma non per l’Italia, dove il secondo lavoro è una regola e non l’eccezione. Dividendo il monte ore per le posizione lavorative si ha infatti un dato molto più onesto e veritiero di 1.513 ore l’anno. Ma anche questo è fasullo. In Italia esistono infatti moltissime piccole imprese dove gli orari di lavoro sono superiori a quelli delle grandi imprese e molto spazio ha il lavoro indipendente, i cui orari pro capite annui risultano generalmente superiori a quelli dei lavoratori dipendenti in quasi tutti i settori.
Insomma, quando Silvio Berlusconi dice che bisognerebbe lavorare di più, non sbaglia. Semmai non dice tutto. Già, perché il problema italiano più che l’orario di lavoro, dove tutto sommato stiamo nella media, è quello della produttività. E qui non ci sono trucchi o calcoli che tengano. Da dovunque la si guardi, il lavoratore italiano produce di meno anche se lavora di più. quello che è accaduto nel 2007, dove il monte ore è cresciuto dell’1,7%, mentre il prodotto interno lordo solo dell’1,5%. «La stima del Pil per ora lavorata», si legge nel rapporto Istat, «mostra tassi di crescita molto bassi, con tassi di variazione negativi negli anni 1996, 1998, 2002, 2003 e 2007». Il confronto internazionale, del resto, parla chiaro. In Italia, secondo i dati Ocse relativi sempre al 2007, ogni ora di lavoro produce 39,3 dollari. Negli Stati Uniti il valore è di 52,4, nel Regno Unito di 44,5, in Germania del 49,6, in Francia del 52,7. Ci rifacciamo, però, con la Polonia che a fronte di più ore lavorate produce soltanto 20,2 dollari l’ora.
La situazione poco incoraggiante era stata già fotografata dall’Ocse alcuni mesi fa nel rapporto annuale proprio sulla produttività. L’Italia era infatti risultata all’ultimo posto dei paesi industrializzati con una crescita del Pil per ora lavorata inferiore allo 0,5% nel periodo 2001-2006 rispetto ad una media complessiva di tutta l’area Osce di +1,4%. Il risultato è scontato: se non cresce la produzione non cresce neanche il reddito. E l’Italia infatti risulta maglia nera anche sull’aumento del Pil pro capite, con percentuale, sempre nel periodo 2001-2006, vicina allo zero.
Con la crisi i dati non faranno che peggiorare. Se proprio non si vuole lavorare di più, come dice Berlusconi, si dovrebbe almeno lavorare meglio.