Lauretta Colonnelli, Corriere della sera 25/3/2009, 25 marzo 2009
SCULTURE E RILIEVI PER RACCONTARE IL BOOM EDILIZIO DELLA SUE URBE
«Fu di statura tarchiata, con membra compatte e robuste, il viso come di chi si sforza: per questo un burlone, alla domanda da lui rivoltagli di dire qualcosa di spiritoso, rispose: "Lo farò quando avrai smesso di liberarti il ventre"». la descrizione di Vespasiano fatta da Svetonio. Descrizione immortalata nel ritratto che apre la mostra dedicata all’imperatore per celebrarne la nascita, avvenuta esattamente duemila anni fa, il 17 novembre del 9 d.C.
La testa in marmo, proveniente dal Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, raffigura un vecchio sdentato, dal cranio calvo e squadrato e dal volto estremamente rugoso, che però esprime una grande energia e determinazione. Un ritratto inconsueto, anzi addirittura scioccante, dato che fin dai tempi di Augusto i romani erano abituati a vedere i loro imperatori scolpiti con volti idealizzati e inespressivi. L’immagine così prosaica di Vespasiano dovette apparire estranea alle stesse botteghe dello scultore, tanto che accanto ad essa circolava un secondo tipo di ritratto, nel quale l’imperatore era rappresentato molto più giovane con i lineamenti abbelliti. Anche un paio di questi ritratti si possono osservare in mostra. Tuttavia il fondatore della dinastia dei Flavi preferiva il primo modello, convinto che le forme eccessivamente realistiche della sua espressione lo facessero sentire più vicino ai comuni cittadini. Così come non rinnegò mai le sue origini da una famiglia modestissima della Sabina, priva di tradizioni aristocratiche. Dopo la dinastia giulio-claudia, appartenente alla più alta nobiltà repubblicana, nel 70 d.C. si insediava all’improvviso questo amministratore provinciale e dell’esercito, sessantenne, acclamato imperatore dai soldati.
L’idea centrale della mostra parte proprio dall’immagine di Vespasiano, dalla novità dell’ascesa alla massima carica dello Stato da parte di uomo che si era fatto da solo e dalla politica popolare e innovativa che esercitò a Roma e nelle province dell’Impero. Il secondo tema della mostra è Roma, che sotto i nove anni del regno di Vespasiano, e poi sotto quello dei suoi figli Tito e Domiziano, conobbe una intensa stagione edilizia che ne cambiò completamente il volto. Appianato un debito pubblico di 40 milioni di sesterzi con drastici tagli alle spese di corte e con nuove tasse, Vespasiano cominciò a progettare la nuova città restituendo alla comunità gli spazi che Nerone aveva «privatizzato» e incluso nella Domus Aurea, come la valle tra Oppio, Celio e Palatino. Qui, prosciugato il lago artificiale creato da Nerone, Vespasiano avviò la costruzione dell’Amphitheatrum Flavium, destinato a diventare il luogo più celebre della romanità come «Colosseo», denominazione che però compare per la prima volta solo mille anni più tardi (Amphitheatrum Colyseus) per designare l’edificio che si trovava vicino alla statua colossale in bronzo di Nerone.
E dall’ambulacro del primo piano del Colosseo parte la mostra, che prosegue negli spazi della Curia, al centro del Foro e riaperta al pubblico per questa occasione e in quelli del Criptoportico neroniano sul Palatino. Un percorso esterno tocca inoltre i grandi monumenti flavi ancora conservati, dall’Arco di Tito alla Domus Flavia, dall’Arco di Domiziano al Tempio della Pace. La mostra ha infine offerto l’occasione per realizzare spazi espositivi permanenti, all’interno del Colosseo, dedicati alla storia dell’anfiteatro. I temi trattati spaziano dall’architettura del monumento, completamente rivestito di marmo e travertino e capace di contenere dai 50 ai 60 mila spettatori, al funzionamento dell’apparato tecnico che consentiva il sollevamento di uomini e animali dai sotterranei all’arena. All’interno, le scale e i corridoi erano dipinti di rosso, verde, giallo e nero, gli scenari erano invece di colore azzurro. Grumi di questo azzurro sono esposti insieme alle ossa degli animali feroci ritrovate nelle fogne del monumento, a travi di legno e alle tante lucerne indispensabili al personale che lavorava alacremente nel buio dei sotterranei per garantire la buona riuscita degli spettacoli.