Francesca Bonazzoli, Corriere della sera 25/3/2009, 25 marzo 2009
COLOSSEO, TEATRO DI MATTANZA
La sua inaugurazione, nell’estate dell’anno 80 d.C., fu una carneficina: cinquemila fiere vennero uccise in un bagno di sangue che durò cento giorni, sotto gli occhi di una folla sempre più esaltata. La mattanza che «battezzò» il nuovo Colosseo fu aperta solennemente dall’imperatore Tito, il quale ricavò un grande consenso (il popolo lo soprannominò «delizia del genere umano») da quell’enorme anfiteatro voluto dal padre Tito Flavio Vespasiano. All’epoca, però, non era ancora del tutto terminato e quindi anche il fratello minore di Tito, Flavio Domiziano, che prese il potere nell’81, se ne occupò perfezionando i sotterranei per consentire messe in scena ancora più spettacolari. Ecco perché, dal nome della famiglia che lo costruì, l’Anfiteatro fu chiamato Flavio, mentre sull’origine del nome Colosseo si sono fatte solo ipotesi. La prima è che sia dovuto alle proporzioni «colossali »; la seconda alla statua bronzea del Colosso di Nerone collocata a pochi passi e quest’ultima circostanza, secondo alcuni, potrebbe aver indotto il popolo ad acquisire l’abitudine di dire «ad colossum eo» (vado al colosso).
L’ellisse misura all’esterno 188 X 156 metri (per un totale 24 mila metri quadri mentre la basilica di San Pietro ne occupa «solo» 22.067); per erigere i pilastri della struttura portante furono necessari oltre 100 mila metri cubi di travertino. Secondo alcune ricostruzioni, negli archi del secondo e terzo anello potevano esserci statue di marmo anche se non sono stati trovati né resti, né impronte delle basi; mentre è certo che nell’ultimo ordine, tra una finestra e l’altra, fossero collocati quaranta scudi in bronzo dorato, di cui restano i fori che li sostenevano e in cui erano forse raffigurate teste di divinità.
La capienza di oltre 50 mila spettatori a sedere era unica al mondo a fronte dei 20/30 mila posti disponibili nei maggiori stadi. Ma straordinario era anche il velario, l’enorme telone di lino che proteggeva dal sole e le cui funi venivano fissate dai marinai della flotta di Capo Miseno su pilastrini che circondavano esternamente l’anfiteatro, cinque dei quali sono ancora oggi visibili davanti alle arcate XXIII, XXIV e XXV.
All’interno, il piano di calpestio in legno dell’arena era cosparso di sabbia gialla (rena) proveniente dalle cave di Monte Mario e l’intero perimetro era disseminato di nicchie per gli arcieri con il compito di uccidere le belve che avessero tentato di superare la rete metallica fra gli spalti e l’arena. Dai sotterranei, attraverso botole e montacarichi, uscivano gli scenari e anche le belve che potevano apparire all’improvviso, suscitando sorpresa. La mattanza aveva infatti una regia e ai gladiatori si insegnava addirittura a morire da attori.
Fu Costantino, nel 326, a emanare una legge che proibiva gli spettacoli gladiatori, ma al Colosseo i combattimenti continuarono fino al 404, quando Onorio ne ordinò la fine in Occidente. Al tempo stesso, però, cominciò la spoliazione dell’anfiteatro: dei marmi si fece calce e molte delle pietre finirono nei secoli in San Giovanni in Laterano, San Pietro, nel Ponte Emilio, nei Palazzi Venezia e Barberini, nella Cancelleria o nel porto di Ripetta. Anche le grappe metalliche (circa 300 tonnellate) che congiungevano i blocchi di travertino, furono asportate nel Medio Evo e oggi se ne vede il segno nei numerosi fori che punteggiano archi e pilastri. Tuttavia, se da una parte il Colosseo era visto come un edificio pagano da distruggere, allo stesso tempo cominciò ad essere collegato al culto dei martiri cristiani. Anche se non ci sono certezze che i discepoli di Cristo fossero mandati a morte nel Colosseo (di solito venivano giustiziati sull’Esquilino), la vox populi si diffuse (assieme alla consuetudine di tenere lì riti demoniaci) finché nel XVIII secolo Benedetto XIV lo consacrò loro. Da quel momento terminò lo spoglio e il Colosseo rimane, ancora oggi, il monumento simbolo allo stesso tempo del mondo pagano e cristiano.