la Repubblica 25/3/2009, 25 marzo 2009
ROMA CELEBRA LE GLORIE DI VESPASIANO, TITO E DOMIZIANO
Roma celebra Vespasiano, l´imperatore soldato fondatore della dinastia dei Flavi, che con i suoi successori, i figli Tito «delizia del genere umano» e Domiziano «spregiudicato nell´esercizio del potere» - nei giudizi di Svetonio - resse le sorti dell´impero dal 69 al 96 dopo Cristo. Meno di trent´anni, che hanno influito sulla storia di Roma come non avveniva dal tempo d´Augusto con i successi militari, la riorganizzazione dello stato, il consolidamento dei vasti domini, l´accesso al senato delle nuove élite provinciali, la fioritura delle arti e delle scienze, il rinnovamento urbanistico di Roma e di tanta parte dell´impero. Mentre con questi imperatori si ponevano così le basi di quel benessere che sarebbe stato poi assicurato al mondo romano sotto Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio e Settimio Severo, apparvero con essi anche i primi sintomi di cedimento dello stato e si aprì la strada alla crisi politica, economica e sociale che a partire dal terzo secolo avrebbe snervato la potenza di Roma. Nonostante la ripresa, tutta propagandistica, della concezione divina della Pace, ispirata all´ideologia augustea, si manifestarono durante il principato flavio la legittimazione di forme sempre più autoritarie e accentrate di un potere imperiale insofferente delle prerogative del Senato, l´esasperante sfruttamento dei popoli assoggettati, efferate atrocità nelle province riottose, l´ingresso sulla scena politica di potenti comandanti delle legioni dislocate ai confini dell´impero. Quando prese il potere, Vespasiano era al comando delle operazioni nella guerra giudaica, la maggiore impresa militare sua e poi del figlio Tito. Si è conservato proprio per Vespasiano, e solo per questo imperatore, il testo della legge votata dal popolo per conferirgli quel potere autocratico che era stato dei suoi predecessori. inciso su una tavola di bronzo dei Musei Capitolini, ora restaurata.
Un grave limite allo sviluppo dell´economia, di cui pure con i Flavi si tentava il risanamento, fu l´eccessiva distrazione di risorse per favorire il finanziamento di grandiose opere pubbliche del tutto improduttive, come il Colosseo, l´edificio più audace e dispendioso, e poi il tempio della Pace, la domus Flavia sul Palatino, il tempio del Divo Claudio, il tempio dei Flavi, lo stadio e l´odeum nel Campo Marzio, la naumachia, e altre ancora, a cui si aggiunsero, specialmente con Domiziano, ingenti spese per spettacolari follie. Il proposito di costruire un anfiteatro stabile, adeguato alla dimensione della città, era stato coltivato e quindi abbandonato persino da Augusto. Erano espedienti, tutti questi, per sopperire alla mancanza di quel prestigio di cui aveva potuto godere la dinastia giulio-claudia grazie alla sua discendenza da Cesare e da Augusto; era il modo più facile per acquisire popolarità presso le masse urbane e per ottenere sostegno dai nuovi ceti plebei di estrazione municipale, in larga parte formati da quella folla di imprenditori, banchieri, affaristi e pubblicani da cui erano emersi gli stessi Flavi.
Opere d´arte e documenti esposti nei luoghi di Roma ove più evidenti sono i segni di questa dinastia danno corpo alla mostra ideata da Filippo Coarelli, grande studioso di Roma antica, per illustrare lo stato delle conoscenze sugli aspetti della politica e della cultura d´età flavia, alcuni dei quali hanno lasciato memoria indelebile. Basti pensare alla distruzione del Tempio di Gerusalemme, intesa da Dante come punizione per la crocifissione di Cristo, e alla costruzione del Colosseo, finanziata con il bottino della guerra giudaica raffigurato sui rilievi dell´arco di Tito. L´impresa costruttiva dell´anfiteatro è efficacemente rappresentata con orgoglio sui bassorilievi dei Musei Vaticani provenienti dal sepolcro degli Haterii, i ricchi appaltatori di questa e di altre opere degli imperatori flavi. Scavi archeologici e studi eseguiti in anni recenti su monumenti di Roma, e in particolare nel Foro alle pendici del Campidoglio, sul Palatino nel Palazzo dei Cesari, nel Colosseo e soprattutto nell´area del Tempio della Pace, anch´esso costruito con i proventi del sacco di Gerusalemme, hanno grandemente ampliato la conoscenza dell´opera svolta dai Flavi per il rinnovamento edilizio di Roma dopo l´incendio del 64 e dopo l´abbandono degli insani programmi costruttivi di Nerone. I monumenti di età flavia tuttora connotano poderosamente il paesaggio di Roma anche quando sono latenti, come lo stadio di Domiziano, ma riconoscibili nella forma della città moderna.
In occasione dell´esposizione hanno ritrovato la propria collocazione ideale due colossali teste marmoree di Vespasiano e di Tito, della cui provenienza si era persa memoria, ora presentate nella Curia, la sede del Senato romano nel Foro. La prima, confluita con le collezioni Farnese nel Museo di Napoli, era stata raccolta intorno alla metà del Cinquecento nell´area del tempio di Vespasiano alle pendici del Campidoglio verso il Foro: apparteneva alla statua di culto di questo imperatore, così identificata da Filippo Coarelli. L´altra testa, pure conservata a Napoli, è stata riconosciuta da Eugenio La Rocca in quella di Tito rinvenuta a Roma tra il 1872 e il 1873 ov´era il grandioso Templum Gentis Flaviae, nell´area poi occupata dalle Terme di Diocleziano.