Paolo G. Brera, la Repubblica, 25/3/2009, 25 marzo 2009
«MACCHE’ STUPRATORE, VOLEVO FARMI MONACO»
«Da bambino sognavo di diventare monaco: volevo fare voto di castità». Per 38 giorni, chiuso nel carcere romano di Regina Coeli, Karol Racz è stato "faccia da pugile". stato Il mostro dello stupro della Caffarella, il pedofilo con gli incisivi ridotti a mozziconi neri, il romeno che ha evocato orrore e rabbia attirando nuove ondate di razzismo. Ieri, seduto sul palco di Porta a Porta accanto al suo avvocato, ha potuto finalmente raccontare se stesso in un altro modo, e la sua verità che per un mese nessuno aveva accettato.
«Non riuscivo a capire perché ero finito in carcere. Non lo so perché Loyos mi accusava - ha detto rispondendo a Bruno Vespa attraverso un´interprete - Siamo sempre stati amici, l´ho aiutato anche economicamente. Quel sabato ho lavorato fino alle 16, e anche la mattina di domenica. Poi, alle 13 sono partito per Livorno. Non ho lasciato il campo per fuggire ma solo per raggiungere mio fratello e trovare lavoro. E poi quel parco, la Caffarella, io non so neanche dove sia. Non ci sono mai stato, e sono convinto che non ci sia mai stato nemmeno Loyos».
«Non ho mai conosciuto i miei genitori. Avevo sei fratelli, ma uno non c´è più. Sono stato affidato a una casa famiglia all´età di cinque mesi, e ci sono rimasto fino a 18 anni. Quando sono uscito, ho cominciato subito a lavorare onestamente. Sono panificatore e pasticcere, ho lavorato quattro anni nelle cucine di un convento, e ho aiutato un prete come ragazzo alla pari, senza essere pagato ma ricevendo vitto e alloggio. Dicono che abbia fatto furti? Non è vero, nella mia vita ho preso solo una multa perché ho viaggiato in treno senza biglietto, e durante l´epoca di Ceausescu era considerato un reato».
Un´agenzia, intanto, diffonde notizie dettagliate secondo cui «in Romania è stato condannato quattro volte in otto anni, tra il 1997 e il 2005». Vespa lo riferisce in trasmissione, Racz dice che non è vero, il suo avvocato (anche lui in trasmissione) allarga ancora le braccia: «La mobile, la questura e la procura non lo hanno mai riferito. Negli atti non c´è nulla di tutto questo, ci sono invece la fedina penale romena e italiana di Racz e sono pulite».
«La prima volta - riprende Racz - sono venuto in Italia nel 2007. Sono stato a Livorno per sei mesi. Facevo piccoli lavoretti nel campo rom. Sono tornato in Italia a giugno 2008. Vivevo in un campo a Primavalle, raccoglievo ferro e rame e lo rivendevo». «Lo sapeva che quel lavoro è al limite della legalità?», lo incalza Vespa. «Veramente no». Vespa prova il colpo di teatro, guarda dritto la telecamera e avverte: «Su Karol vorremmo fare una scommessa. arrivato nel nostro paese chissà come, è stato accusato ingiustamente, vorremmo farlo diventare una persona che lavora normalmente, con tutti i documenti in regola». Uno come tanti, quello che sogna anche Racz: «Vorrei rimanere in Italia, vorrei lavorare qui. Tornare in Romania? Non saprei cosa fare, là». Ci stava già provando, prima che lo trascinassero in un incubo.