Fabio Martini, La stampa 24/1/2009, 24 gennaio 2009
IL MARATONETA DEI SALOTTI BUONI
Da qualche tempo, con la proverbiale professionalità, si era adattato ai dieci metri quadrati dello studio di «Repubblica Tv», dove moderava i dibattiti con i politici di turno. Fino a quando - due giorni fa - Paolo Garimberti ha ricevuto la telefonata di Dario Franceschini: «Direttore, avrei pensato che tu potresti essere un ottimo presidente della Rai...». Sessantasei anni, quarantasei dei quali vissuti da giornalista, Garimberti si è detto disponibile. E nel giro di qualche ora, si è chiuso l’accordo anche con Gianni Letta e Silvio Berlusconi, che porterà Garimberti dal piccolo studio insonorizzato di largo Fochetti al nono piano di viale Mazzini. Da 23 anni nel gruppo «La Repubblica-Espresso», Garimberti è stato individuato da Dario Franceschini perché rispondeva ad un profilo tratteggiato già da settimane: un personaggio di garanzia al quale appellarsi laddove il Pdl esagerasse nello strapotere in Rai, ma anche una personalità non riconducibile alla cultura e alla storia democristiana, ma semmai a quella più vasta della sinistra politica ed editoriale e questo per una questione di pesi e contrappesi interni al Pd, dopo la «presa del potere» da parte di un ex Dc come Franceschini.
Certo, sarebbe impossibile etichettare il nuovo presidente della Rai come un personaggio targato Ds. Laico, negli anni della giovinezza con simpatie repubblicane, Garimberti semmai è stato per anni uno dei personaggi di punta del gruppo «Espresso» guidato dall’ingegner Carlo De Benedetti, nel cui salotto romano da qualche anno ha avuto accesso anche Dario Franceschini. Gentilissimo, una gran simpatia che raramente diventa calore, Garimberti arriva alla presidenza della Rai dopo quasi cinquant’anni di carriera giornalistica. Ligure di Levanto, una laurea in legge a Genova, a 20 anni al «Corriere Mercantile», a 26 entra a «La Stampa» e qui un direttore rigoroso come Alberto Ronchey decide che nonostante la giovanissima età, il «Garimba» possa andare a fare il corrispondente da Mosca, un’esperienza che gli consentirà di diventare un esperto di politica internazionale. Quando torna in Italia è uno di quei giornalisti - ed erano pochi - che parlava con l’Avvocato, un privilegio che - sommato all’aspetto giovanile - negli anni Ottanta gli attira le invidie e le battutine salaci dei colleghi: «Il Robert Redford di largo Chigi...». Una passione smodata per l’attività fisica, Garimberti è uno che fa sport di tutti i tipi. Il calcetto, per esempio. Giocava di punta, era sgusciante anche se segnava poco e non sopportava il gioco falloso. Come quella volta che, ricevuto un takle un po’ deciso da parte di Mario Sconcerti, gli disse: «Tu non verrai mai alla Stampa!». Correva maratone, va in bici, ama il tennis, che gioca con personaggi come Nicola Pietrangeli e Lea Pericoli.
Patito della carta stampata, nella stagione di grande libertà della «Rai dei professori», Garimberti nel 1993 diventa direttore del Tg2. Ci resta per un anno e la sua tendenza ad apparire spesso suscita critiche, ma poi sarà destinata a far tendenza, a cominciare da Enrico Mentana. Scriverà Bruno Vespa nel suo libro sulla storia della Rai: «Memorabili i suoi fluviali collegamenti con Eugenio Scalfari». Ed è in questa fase che rilascia una fiammeggiante intervista all’«Espresso». E’ il 1994, Berlusconi ha appena vinto le elezioni e Garimberti racconta che molti giornalisti Rai «fino a ieri tributari della Dc e del Psi, oggi si riciclano impudicamente verso i vincitori. Con un’operazione di camaleontismo davvero straordinaria: non li tollero e per quanto mi riguarda, li piglierò a calci nel sedere». Quindici anni più tardi alcuni di quei giornalisti che Garimberti voleva sferzare, sono diventati personaggi potenti nella Rai che Paolo Garimberti è chiamato a presiedere.