Massimo Onofri, Avvenire 21/3/2009, 21 marzo 2009
O TROPPO AVANTI O TROPPO INDIETRO, L’«ANACRONISMO» DI DEL GIUDICE
Non credo si possa valutare opportunamente questo libro di Daniele Del Giudice, Orizzonte mobile – che arriva dodici anni dopo il precedente, i racconti di
Mania – senza presupporre almeno due domande. La prima: che libro è, di cosa si compone Orizzonte mobile? La
Nota finale arriva onesta e provvidenziale a spiegarcelo.
Intanto, il resoconto d’un viaggio compiuto dallo stesso scrittore, nel 1990, tra Punta Arenas e la Terra del Fuoco, in Antartide. Poi quello d’un ritorno, con data 2007: ma del tutto ’ immaginario’, come ci confessa lo stesso Del Giudice.
Quindi i taccuini, « altrimenti sconosciuti alla maggioranza dei lettori » , di due importanti spedizioni, di cui si riportano, anche in traduzione o riscritti, ampi lacerti: uno relativo alla « spedizione australe italoargentina del 1882 » dell’italiano Giacomo Bove; un altro dedicato, invece, alla « spedizione promossa dalla Reale società geografica di Bruxelles » , effettuata dal belga Adrien de Gerlache de Gomery « tra il 1897 e il 1899 » . La seconda domanda è strettamente connessa alla prima: è sufficiente tale assemblamento di materiali diversi a fare di questo
Orizzonte mobile proprio un libro di Del Giudice?
Una domanda ben strana, direte voi: e strana, forse, sino alla pretestuosità. Il fatto è, però, che Del Giudice è stato sin da subito, e cioè dal suo acclamatissimo esordio – non so se per vera fortuna o per sicura condanna ”, prima ancora che uno scrittore, un’idea della letteratura, che ha continuato ad agire su di lui, e sul suo futuro di prosatore magro e non prolifico, come una specie di archetipo platonico: fino a diventare l’archetipo platonico di se stesso. Sarà stato merito – o colpa – dell’intelligentissimo Calvino, che dal suo iperuranio, e magari alla ricerca di eredi, ne dettò il ritratto in una quarta di copertina, splendidamente vero e suggestivo anche in assenza del corpo del testo, magnificamente sintonizzato con gli idola letterari allora correnti? Sarà stato merito – o colpa – dei molti zelanti interpreti che, non mancando un appuntamento, hanno continuato a spiegarcelo e chiarircelo, prosciugando ogni zona d’ombra della sua pagina? Sarà stato merito – o colpa – solo suo, considerata la stessa disposizione a spiegarsi e chiarirsi? Non lo so: ma so che tutto questo è accaduto.
Per adesso, posso confortare i lettori: sì,
Orizzonte mobile
è proprio un libro del coltissimo Del Giudice, di quelli che ci si aspetta da lui, scrittore mentalmente tutto a giorno, nato come per essere mappato.
Un libro scritto, come sempre, attraverso i tanti libri letti, compreso il solito Chatwin di
Patagonia. Un libro, come di consueto, scritto anche per i teorici della letteratura: « ma cominciare significa decidere un prima e un dopo, dare un ordine, isolare dal flusso, rompere la simultaneità, uscire dalla compresenza, fare come se esistesse una frase alla volta » .
Un libro epistemologicamente consapevole: « Il guaio delle storie, con i pinguini, è che sono narrate da un unico punto di vista, quello umano » .
Ferocia della Storia: se, con Lo stadio di Wimbledon ( 1983), gli specchi ottusi del tempo ci restituivano uno scrittore al passo e carico di futuro, ora, invece, ne riflettono l’immagine irrimediabilmente datata. Con questo, non voglio dire, per forza di cose, che il nostro oggi sia migliore di ieri.