Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  marzo 21 Sabato calendario

STANLEY, UN DURO DAL CUORE TENERO


Sono passati dieci anni dalla morte di Stanley Kubrick, e la ricorrenza non ha suscitato particolare emozione, anzi è trascorsa nell’indifferenza quasi generale. E dire che il cinema di Kubrick è come il monolito che apre 2001: Odissea nello spazio: un oggetto ancora misterioso ma denso di suggestioni destinate a incidere in profondità sulla nostra visione del mondo. Ora l’editore minimum fax manda in libreria un piccolo gioiello, cioè Con Kubrick (pp. 108, euro 12) firmato da un grande scrittore, Michael Herr, che del regista americano fu collaboratore in qualità di sceneggiatore di ”Full Metal Jacket” e soprattutto amico per vent’anni.

Herr è forse un nome che dice poco, ma è autore di un libro-reportage strepitoso sul Vietnam, Dispacci, ora ristampato da Rizzoli con prefazione di Roberto Saviano. Non solo. C’è lo zampino di Herr anche in ”Apocalypse Now”, altro capolavoro cinematografico di Coppola. Un pezzo da novanta, quindi. Un reporter fuori da ogni schema. E fuori da ogni schema è il suo ritratto di Kubrick. Herr si tiene lontano dall’immagine consolidata nei media del regista: solitario, misantropo, gelido, duro, serioso, polemico. In tre parole, un uomo impossibile. E giunge a contestare anche l’accusa tipica rivolta dai benpensanti della critica alle opere di Kubrick: nichilismo allo stadio terminale. Herr mostra come queste caratteristiche fossero sì presenti in Kubrick, ma in modo superficiale.

I due si conoscono nel 1980. Kubrick gli sottopone un romanzo di Arthur Schnitzler che lo aveva sconvolto, Doppio sogno. proprio il libro destinato a diventare, vent’anni dopo, ”Eyes Wide Shut”. Il regista vuole un parere, e dichiara di aver acquistato i diritti sulla storia fin dagli anni ”70. il progetto della sua vita: un dettaglio, come vedremo, decisivo per capire chi è Kubrick. Almeno secondo Herr. Il quale scopre che in effetti Kubrick non incontra molte persone, ma non è certo isolato: passa ore e ore (anche sette di fila) al telefono. Stanley ha opinioni su tutto. Odia chi separa arte e commercio, per lui è scontato che un capolavoro debba sbancare i botteghini. E un film che incassa cento milioni di dollari non può essere completamente brutto. Kubrick tiene molto ai soldi: tira al ribasso anche con Herr e, dopo anni, è ancora infuriato con Jack Nicholson perché in ”Shining” ha guadagnato più di lui.

Innamorato deluso della democrazia, forse scherzando dice di preferire una tirannia illuminata, rispettosa del capitalismo. Quando la discussione si fa troppo seria ricorre a un umorismo da adolescente, spesso sboccato (sublimato nelle allusioni sessuali contenute, ad esempio, nei dialoghi di ”Lolita”). Racconta storielle sui neoconservatori: «Ehi Michael, lo sai cos’è un neoconservatore? Un democratico che è appena stato rapinato, ah ah ah». E sul sogno americano: «Ehi Michael, sai cos’è il Sogno Americano? Dieci milioni di neri che nuotano verso l’Africa con un ebreo sotto ogni braccio». Si infervora per la letteratura: Stendhal, Balzac (amatissimo), Conrad, Crane, Hemingway (un’ossessione), Céline e Kafka. Ma divora anche Jung, James Frazer, Niccolò Machiavelli (L’arte della guerra), Swift, Malaparte, Burroughs.

A prima vista, Kubrick si presenta impacciato e conciato maluccio. Si veste come un campagnolo e nel suo armadio ci sono dodici completi uguali: frusti pantaloni cachi, camicia da lavoro, giacca da fatica in cotone antistrappo, scarpe da corsa, piumino buono per tutte le stagioni. Stringe la mano in modo goffo, dà l’impressione di non saper gestire un contatto fisico come un abbraccio. Commenta Herr: «Per dirla con un pallidissimo eufemismo, aveva molto autocontrollo». Ma non era una sfinge.

Stanley si rivela un ottimo amico e persino gli attori da lui vessati con richieste impossibili, come Matthew Modine, protagonista di ”Full Metal Jacket”, gli riconoscono, dietro al carattere non facile, un cuore capace di grandi slanci. (Beh, a dire il vero, Herr forse un po’ esagera, secondo Kirk Douglas la definizione giusta è: «Una merda di talento»).

Il fatto che il regista viva isolato in una tenuta nelle campagne inglesi non significa che odi l’America. Si è trasferito lì per motivi pratici: costa meno allestire i set, scelti di solito a non più di un’ora da casa, anche se il film è ambientato in Vietnam. Negli anni in cui manca la tv satellitare, si fa mandare tonnellate di videocassette con i programmi Usa. Molto football e talk show. Diventerà un fan accanito di cartoni animati e telefilm come ”I Simpson”, ”Seinfeld”, ”Pappa e ciccia”.

Al di là degli aneddoti, c’è un aspetto più serio toccato da Herr. All’uscita di ”Eyes Wide Shut”, il progetto di una vita, l’ormai defunto Kubrick fa il pieno di recensioni negative. Stroncato il film, stroncato l’uomo nei necrologi, spesso aggressivi: «Stanley il tiranno, Stanley il perfezionista ossessivo, il freddo Stanley» etc. etc. Brutta cosa secondo Herr: «Non sono molti gli spettacoli più avvilenti di questo: la brillante combriccola dei critici culturali, unita nel disprezzo, che si dà alla spaventosa occupazione di spremersi le meningi». A tutti sfugge, con le dovute eccezioni, il testamento morale affidato all’ultimo film, quello più a lungo studiato. In ”Eyes Wide Shut” non c’è la rassegna di interminabili scopate che tutti si attendono. E non ci sono neanche il cinismo o la suspense del thriller. Alla fine Tom Cruise e Nicole Kidman, i due interpreti, ripetono «senza la minima astuzia ipocrita», sostiene Herr, verità ”vecchie” come il matrimonio. Dopo aver superato con successo il ”doppio sogno”, la coppia di coniugi rinnova il proprio voto d’amore. Altro che nichilismo.