Marco Fortis, il Messaggero 21/3/2009, 21 marzo 2009
MA L’ITALIA NON FRANA COME GLI ALTRI
La recessione sta raggiungendo probabilmente in questi primi mesi del 2009 la sua massima intensità e tocca ormai tutti i Paesi del mondo, Italia inclusa. Ma il nostro Paese non frana come molti altri. Non soltanto le banche italiane sono le meno colpite dalla crisi finanziaria, ma anche il sistema produttivo e socio-territoriale del ”made in Italy”, grazie alle capacità delle imprese e al meccanismo degli ammortizzatori, ”tiene” meglio, come dimostrano i dati Istat sulla disoccupazione e quelli Eurostat sulla produzione industriale diffusi ieri.
Dunque il nostro Paese non cessa di stupire per le sue capacità di resistenza che appaiono notevoli grazie ad elementi che fino a poco tempo fa erano invece considerati fattori di ”arretratezza”, come la vocazione retail delle nostre banche e la scarsa propensione all’indebitamento da parte delle famiglie italiane. Per non parlare del tanto ingiustamente vituperato nostro modello di sviluppo incardinato sulla triade manifattura-agricoltura-turismo e, a livello territoriale e sociale, sulla formula vincente distretti-PMI-solidarietà-sussidiarietà. Anche la cassa integrazione e gli altri ammortizzatori rappresentano un punto di forza di tale modello: un prezioso strumento di economia sociale di mercato per mantenere i livelli occupazionali in tempi di crisi, secondo criteri solidaristici completamente estranei alla logica delle grandi multinazionali che stanno tagliando centinaia di migliaia di posti di lavoro in tutto il mondo.
Capita così che persino l’Ufficio Studi della Royal Bank of Scotland, come ha evidenziato nei giorni scorsi Morya Longo su ”Il Sole 24 Ore”, scopra con sorpresa che dal punto di vista finanziario oggi l’Italia sia più resistente di Paesi come l’Olanda, il Belgio, l’Austria o la Spagna. Lo rivela un indice di ”fragilità” finanziaria che, nonostante il nostro elevato debito pubblico, ci pone tra i Paesi meno a rischio subito dopo Germania e Finlandia e ad un livello medio-alto di stabilità abbastanza simile a quello della Francia. Con ciò confermando ciò che scriviamo da mesi su queste colonne.
Le rilevazioni Istat sulla disoccupazione hanno invece ieri dato ragione al Ministro del Welfare Maurizio Sacconi che qualche giorno fa nel corso di una trasmissione televisiva aveva pronosticato che i dati ufficiali avrebbero clamorosamente smentito alcune previsioni pessimistiche diffuse nei giorni precedenti. Infatti, secondo i dati destagionalizzati Istat ed Eurostat, da marzo a dicembre 2008 il numero dei disoccupati è cresciuto nel nostro Paese di sole 79 mila unità, poco più di quanto non sia aumentata la disoccupazione in Irlanda (+75 mila), vale a dire una nazione la cui popolazione è di poco superiore a quella di Roma e del suo hinterland.
Nello stesso periodo la crescita dei senza lavoro è stata invece molto forte in Gran Bretagna (+375 mila unità), Giappone (+410 mila) e davvero impressionante in Spagna (+1,2 milioni) e Stati Uniti (+3,3 milioni). Sicché il tasso di disoccupazione italiano, a fine 2008, figura tra i più bassi nel panorama dei Paesi più avanzati: 6,9% contro il 6,6% del primo trimestre 2008 secondo le serie destagionalizzate Istat. Restano su valori molto più alti dei nostri, pur non sottovalutando la storica bassa partecipazione al lavoro italiana, i tassi di disoccupazione destagionalizzati di dicembre 2008 di Germania (7,2%) e Francia (8,2%). Rispetto a inizio 2008 ci hanno inoltre sorpassato, di slancio ed in peggio, l’Irlanda (8,3%) e gli Stati Uniti (7,2% a dicembre 2008 ma siamo già arrivati a 8,1% a febbraio 2009), mentre è avviata a superarci anche la Gran Bretagna (6,4% a dicembre 2008 contro 5,2% a marzo 2008). Affonda, infine, la Spagna (14,3% a dicembre 2008, già salito a 14,8% a gennaio 2009).
Intanto a gennaio 2009 la produzione industriale italiana è diminuita, secondo i dati destagionalizzati Eurostat, dello 0,2% soltanto rispetto a dicembre 2008, mentre i cali sono stati superiori per gli altri maggiori Paesi UE: -2,4% Gran Bretagna; -3,1% Francia; -7,5% Germania. Un’altra evidente dimostrazione di tenuta del nostro sistema produttivo.