Carlo Jean, il Messaggero 21/3/2009, 21 marzo 2009
LA MANO TESA E IL GIOCO DELLE PARTI
Il presidente Obama ha mantenuto la sua promessa di dialogare direttamente con l’Iran. Ha scelto una data simbolica per inviare un messaggio televisivo al popolo ed ai dirigenti iraniani: quella del 20 marzo, della festa del Nowruz, che segna l’inizio sia della primavera che del nuovo anno. proprio da ciò che Obama ha preso lo spunto: di ricominciare da capo fra gli Usa e l’Iran, superando le incomprensioni degli ultimi trenta anni. Anno nuovo, vita nuova! «L’Iran ha affermato Barack Obama deve riprendere il posto che gli spetta nel concerto delle nazioni». Lo può fare solo con un dialogo responsabile ed il rispetto delle regole internazionali. Con le minacce otterrebbe il risultato opposto.
Il discorso ha confermato le alte doti oratorie ed il fascino del presidente americano. A parte questo, la sua politica della ”mano tesa” è un segnale, forse collegato alle elezioni presidenziali che si terranno in Iran all’inizio di giugno. I moderati dovrebbero trarne vantaggio. I toni sono stati molto diversi da quelli usati in precedenza. Per Bush, l’Iran era sempre parte dell’’asse del male”; per gli iraniani gli Usa erano ”il Grande Satana”.
Ma Obama non è un idealista sprovveduto. Con i suoi collaboratori sta conducendo nei confronti dell’Iran una specie di ”gioco delle parti”, alternando ”bastone e carota”. A febbraio, il vicepresidente, Joe Biden, aveva dichiarato che un dialogo con Teheran era possibile solo se l’Iran avesse cessato l’arricchimento dell’uranio ed il sostegno dato al terrorismo. Cioè alle condizioni di Bush. Il 3 marzo, il Segretario di Stato, Hillary Clinton, aveva affermato che con il solo dialogo non si sarebbe combinato nulla con Teheran. Il giorno dopo, Obama aveva inviato un messaggio al presidente russo Medvedev. Chiedeva il sostegno di Mosca per bloccare la proliferazione nucleare iraniana e comunque per nuove sanzioni. Offriva in cambio la disponibilità degli Usa di riconsiderare lo schieramento degli antimissili in Europa centrale. Il 19 marzo cioè proprio il giorno prima del messaggio all’Iran gli Usa avevano prolungato per una durata illimitata le sanzioni a Teheran.
Il medesimo ”tira e molla” è stato seguito dai dirigenti iraniani. Il presidente Ahmadinejad aveva inviato un messaggio di congratulazioni ad Obama all’atto della sua elezione.
di CARLO JEAN
La ”Guida Suprema”, Ayatollah Kamenei, lo aveva invece duramente condannato per il sostegno dato ad Israele, ”bubbone cancerogeno” nella terra dell’Islam.
Ma il problema non sta nella retorica della public diplomacy, ma nell’esistenza di interessi comuni fra i due Paesi. Solo essa giustifica un accordo. Usa ed Iran hanno sempre avuto contatti. Sono divenuti negoziati segreti dopo il surge, quando Teheran si era convinta che gli americani non si sarebbero ritirati dall’Iraq, consentendo che divenisse un suo satellite. Teheran aveva collaborato, contribuendo al successo dell’iniziativa Bush-Petraeus. In cambio, gli USA avevano affermato in un importante documento (il National Intelligence Estimates, del dicembre 2007) che l’Iran aveva cessato sin dal 2003 i tentativi di dotarsi di armi nucleari. Era un chiaro impegno a non bombardarlo. A parte questo, gli interessi comuni fra gli Usa e l’Iran sono molti. Taluni sono negativi, altri positivi. Tra i negativi, per gli Usa, è che l’Iran non diventi egemone in Iraq; per Teheran, che Baghdad non cada sotto il completo dominio sunnita, rappresentando nuovamente una minaccia. Altri interessi sono invece positivi. L’economia iraniana soffre enormemente per l’embargo. Solo la sua fine potrebbe consentire di modernizzarla. Per gli Usa, la collaborazione dell’Iran sarebbe importante per l’Afghanistan. Può costituire una via per i rifornimenti, minacciati dalla crescente instabilità del Pakistan. Il transito per l’Iran sarebbe alternativo a quello per la Russia, che sta imponendo condizioni sempre più esose. Inoltre, Teheran potrebbe dare una mano per stabilizzare l’Afghanistan. Vi esercita un’influenza importante: il 18% degli afghani è sciita (gli Hazara) ed il 30% è di etnia persiana (i Tagiki). Inoltre, è naturalmente nemica dei Talebani e anche di al-Qaeda, che appartengono alle sette sunnite più rigoriste e che considerano gli sciiti eretici da distruggere. Nemico comune, amicizia quindi possibile.
Ma allora perché si è detto che il discorso di Obama segna una discontinuità rispetto alla politica di Bush? Perché si è dovuto aspettare lui per tendere la mano all’Iran? Il motivo è che sia gli Usa che l’Iran sono stati e sono tuttora prigionieri della loro retorica. Il discorso di Obama può contribuire a superarne il blocco esistente. Altro non può ottenere. Gli Usa non possono politicamente cessare le sanzioni, come l’Iran rinunciare al suo programma nucleare, soprattutto sotto elezioni. Oltre questo non possono andare. Lo dimostrano le reazioni iraniane. Un portavoce del presidente Ahmadinejad ha affermato che, per essere creduto, Obama dovrebbe per prima cosa riconoscere i torti e gli errori fatti dagli Usa a danno dell’Iran, a partire dal colpo di Stato contro Mossadegh del 1953. Questo Obama non potrà farlo. Invierà altri messaggi ed effettuerà altre aperture, che tanto piacciono agli europei. La situazione potrà sbloccarsi solo lentamente. Per ora, si dovrà procedere con l’usuale metodo della diplomazia, di alternare incentivi e sanzioni, buone parole e minacce.