Guido Bolaffi, Corriere Economia 23/3/2009, 23 marzo 2009
NON CHIEDIAMO SOLO I BADANTI
Non chiediamo solo badanti
Perché gli immigrati romeni, tra tante alternative, scelgono di venire proprio in Italia? E perché così numerosi al punto che il nostro Paese, dopo la Spagna, è quello che in Europa ne ha accasati di più? Domande complicate e a risposta multipla. Ma che bisogna porsi se si vuole risalire alle cause di quella che un po’ sommariamente viene definita come «questione romena». L’inchiesta di Corriere Economia testimonia, infatti, che nonostante significative eccezioni, il tratto distintivo di questi nuovi arrivati non è quello di un radicato, strutturale tratto di devianza comportamentale. Visto che la loro maggioranza «silenziosa e poco visibile» presenta grandi differenze tra un individuo e l’altro e, in molti casi, anche tanta voglia di fare.
Quanto invece quello di un generale, scarso livello di qualificazione e di poca, pochissima specializzazione. Il loro problema, dunque, non è etnico- antropologico ma professionale. Non è dell’homo rumenus quanto dell’immigrazione romena. Se è così, dunque, perché, come chiedevamo all’inizio, questo tipo di immigrati sceglie l’Italia e non va altrove?
Semplicemente per il modo d’essere e di funzionare della nostra politica alle frontiere. Infatti, come spiegano gli esperti della materia, sono fondamentalmente quattro le ragioni che condizionano la scelta di un immigrato. L’esistenza di legami storici tra il suo Paese e quello di destinazione, tipo quelli tra Inghilterra o Francia ed ex-colonie. La distanza geografica, con i relativi costi di viaggio e le difficoltà a mantenere costanti contatti con la madrepatria. La presenza nella nuova terra di importanti nuclei di ex compatrioti che assicurano l’assistenza e le informazioni necessarie, soprattutto all’arrivo. Infine le caratteristiche delle politiche di immigrazione dei Paesi di accoglienza. Che, sia pur con grossolana approssimazione, possiamo dividere in base a due macro criteri.
Il primo che riguarda la storia e la tradizione di, relativa, apertura o chiusura verso l’esterno. Il secondo, non meno rilevante, che consiste nell’ usare o meno i controlli alle frontiere per selezionare la qualità culturale ed il livello di specializzazione di chi entra. E ,contemporaneamente, nella più o meno spiccata propensione a ricorrere a sistematiche, massicce regolarizzazioni erga omnes per sanare, dopo che sono entrati, illegali e clandestini. In questo secondo e poco invidiato gruppo, purtroppo, l’Italia occupa i posti di prima fila. Divenendo così una delle mete più ambite per tanti stranieri poco qualificati e, spesso, con i documenti non in ordine. E’ su di noi, dunque, più che su di «loro» che bisogna riflettere.
Tanto è vero che uno studio sulle regolarizzazioni degli illegali nella Ue, pubblicato pochi giorni fa dall’International Center for Migration Policy Development, parlando del Bel Paese è arrivato a sostenere «the regularization as an alternative program to immigration policy » («la regolarizzazione come programma alternativo alla politica di immigrazione»). I numeri , d’altronde, parlano chiaro. Dei circa 5,5 milioni di «sanati » in sedici nazioni tra il 1996 ed il 2007 quelli italiani sono oltre 1,7 milioni. Mentre sul totale delle domande di regolarizzazione presentate, quelle italiane pesano per l’80%. Più sanatorie e più sanati di tutti, dunque. Tanto è vero che oggi i nostri immigrati regolari sono, per la stragrandissima maggioranza, gli ex o post irregolari di ieri. Un sistema di reclutamento cinicamente barbaro che non sa e forse nemmeno vuole selezionare chi entra in base alle capacità professionali e al talento. Con il risultato che accogliamo, anche in questo unici al mondo, più badanti che studiosi, ricercatori, tecnici professionali o specialisti. Al punto che lo scorso anno il loro numero, 700mila, ha superato quello dei 670mila addetti del nostro Servizio sanitario nazionale.
Se a queste manchevolezze, per così dire tecniche, aggiungiamo quelle che in una materia delicatissima come l’immigrazione funzionano da vere e proprie bombe di profondità, tipo l’indulto carcerario o le resistenze ad aumentare l’attuale, insufficiente numero dei centri di identificazione per i clandestini, non possiamo poi meravigliarci se dall’estero , in luogo dei talenti, riceviamo tante braccia e tanti, tantissimi problemi.